Declann Delia Drummond

È strano il sangue di drago
Lei prende fuoco se lui apre bocca e le dice "Ti amo"
È sangue di drago

"Sei un po' presuntuoso," dissi, arricciando il naso. Quando si alza mi rendo conto dei centimetri che ci separano: probabilmente non l'avrei raggiunto nemmeno con le corna cresciute di un mezz-ifrit adulto. Poco male, alzai lo sguardo verso di lui, sostenendolo con fermezza.
Le sue parole mi scivolarono addosso, senza molto interesse, gli occhi nei suoi, la strana conversazione sulle mazze da Quidditch che si perdeva nel nulla. A separarci, soltanto il basso tavolino dove, normalmente, le persone poggiavano tazze, o libri per studiare. Io, invece, utilizzavo qualsiasi superficie per annullare la distanza che ci separava, l'altezza che lo allontanava dal mio viso.
Per la stessa presunzione di dargli fastidio, perché se non sapeva essere gentile a parole, glielo avrei insegnato a suon di spazi rubati. Con slancio, poggiai il piede sul tavolinetto, issandomi quei giusti centimetri necessari per essere più alta di lui, il velo nero dei suoi capelli a coprirgli gli occhi: lo guardai, dall'alto verso il basso, vicina il minimo indispensabile per dargli fastidio.
"Anche tu," soffiai, come si fa coi gattini per farli ringhiare "dovresti crederci un po' di meno." Allungai una mano verso il suo viso, due dita che sbattono coi polpastrelli contro la sua fronte, prima di somministrargli un sorriso sagace alla Drummond. "In ogni caso: scorgerai la mia bravura dagli spalti delle riserve," gli feci l'occhiolino, alzandomi dalle punte ai talloni come fossi un dondolino di quelli dei bambini. "Un posto privilegiato, magari scriverai qualcosa su di me sul tuo quaderno." Ed eccolo, ritornare dritto, diretto, al galeotto momento in cui ci eravamo uniti. Per un mio errore, sacrosanto, nel tentativo di avvicinarmi a qualcuno che, inconsciamente, chiedeva di essere avvicinato ma che, per una sorta di strano ed ancestrale motivo, non voleva farlo.
"E comunque, non mi hai risposto." Alzo le spalle, irrimediabilmente vicina. "Alla domanda nel quaderno, dico."

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VICTOR LEDREC ▾ cespuglio farfallino

Non mi aspettavo quella reazione, di nuovo. Kharis aveva imparato a sorprendermi in molteplici aspettative. Non ebbi il tempo di reagire, e mi lasciai trascinare nuovamente da lei, dai suoi movimenti fermi, dalle sue vere certezze. Mi sedetti senza smettere di sorridere, lo sguardo glaciale in direzione di Sybilla e della sua presenza che aveva riaperto qualcosa che mi ero sforzato di dimenticare: nessuno sapeva di noi e nemmeno lei, in quel momento, sembrava ricordarlo.
La serata stava prendendo una nuova piega, interessante, al sapore di liquore, mentre sentivo l'alcool che scivolava rapido nella mia gola, mentre le labbra di Kharis ritornavano a giocare sulle mie: in qualche modo, sì, mi era mancata anche quella sensazione, quella intraprendenza, quel genuino piacere. Deglutii sentendo delle lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi, le mani che ritornavano come un tempo a vagare sul suo corpo.
Che mi importava di cosa avrebbero pensato gli altri intorno a noi, che mi importava assolutamente di nulla. Ero un disastro, lo era la mia vita, lo sarebbe stata per tanto tempo fino a quando qualcuno non mi avrebbe trovato morto in overdose o per troppi pugni. Quindi, tanto valeva non pensarci poi così tanto.
"Dovete esservi annoiate tantissimo, senza di me, immagino..." Biascicai, riprendendo fiato dal famelico interesse di Kharis, il fiato che si faceva corto, la testa che iniziava a girare. Oh, sì. Quanto amavo quelle sensazioni.
Assottigliai lo sguardo verso Sybilla, attraverso i fili di capelli di Kharis, uno sguardo che avrebbe potuto significare tanto e che, in realtà, era una smorfia spenta dall'alcool.

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Declann Delia Drummond

È strano il sangue di drago
Lei prende fuoco se lui apre bocca e le dice "Ti amo"
È sangue di drago

"E allora stai nella squadra per guardare le ragazze giocare, oppure perché anche in questo caso ti ha obbligato la tua famiglia?" Chiesi, tastando il terreno con la delicatezza del macigno che sapevo essere. Lo guardai, con quella stilettata dritta a coglierne la reazione, gli occhi che si perdevano nell'oscurità dei suoi. Perché quel ragazzo parlava così poco, perché non faceva altro che perdersi in frasi fatte, in battute con la stessa voce sprezzante, in gesti impossibili da interpretare. "In ogni caso, apprezzo che tu mi abbia detto una cosa che non so di te, dato che non ti fai scoprire in nessun modo è comunque un passo avanti."
Mi alzai di scatto, mentre parlava, troppo presa a muovere le gambe, le caviglie, le giunture, le ginocchia. Ogni parte che era rimasta troppo ferma per i miei gusti, troppo immobile per le mie competenze. Mi aveva bloccato in una stasi glaciale, obbligata a non toccarlo, non guardarlo, non avvicinarmi più del dovuto, ma non poteva impedirmi di stare in piedi.
In piedi, più alta di lui, a distanza da lui. Mi guardai intorno, cercando resti di divise da Quidditch di qualcun altro, scope abbandonate, pluffe senza peso, mazze. Recuperai con la destra l'oggetto oblungo lo soppesai col movimento del polso. Era di una taglia un po' più grande, ma riuscivo a gestirne la pesantezza senza problemi. La puntai verso di lui, vicino al suo volto, ma premurandomi di non toccarlo. Sorrisi, spavalda, alzando il mento per osservarlo da quella posizione di rilievo, più in alto, più potente.
"Non serve avere il fisico, se si ha la tecnica," dissi, ondeggiando la punta della mazza a distanza dal suo volto, come fosse il mio catalizzatore. Poi ritirai il braccio, muovendo piano l'oggetto come se fosse un'estensione di me, approfittando delle sue parole per fingere di starmela tirando quando, in realtà, volevo soltanto sgranchirmi le gambe. Qualsiasi oggetto poteva diventare un oggetto di scena, anche una mazza da Quidditch. Mi ci appoggiai come se fosse un bastone, approfittando di quella posa obliqua per far scricchiare un po' la schiena, riponendo l'oggetto al suo posto.
"E poi, no. Non penso che mi peserà mai tenere una mazza in mano tutto il giorno."

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Declann Delia Drummond

È strano il sangue di drago
Lei prende fuoco se lui apre bocca e le dice "Ti amo"
È sangue di drago

Rimasi interdetta a quelle parole. Se fossimo stati il gioco dell'oca, e io il punto d'arrivo, lui era la pedina che faceva due passi in avanti e uno indietro. Due passi in avanti e uno indietro. Per ogni cosa che sembrava essere carina, ce n'era qualche altra di sprezzante, indisposta, sagace, saccente. Non sapevo nemmeno di conoscere tutte queste parole. Avrei voluto approfondire il motivo per cui non mi avrebbe lasciata cadere dalla scopa, qualcosa nel ventre mi faceva pensare che si sarebbe gettato a braccia aperte per salvarmi, ma io ero troppo realista per pensarlo. "Nessuno mi salverebbe," dissi, accorgendomi troppo tardi di star parlando ad alta voce. Gli occhi si facevano piccoli piccoli, mentre come lui aveva cambiato discorso, anche io l'avevo fatto, ricercando nella mente qualcosa per tergiversare.
Era vero che più ti impedivano qualcosa, più sentivi il bisogno di farla: io ero come incatenata nella mia postazione, non potevo muovermi, non potevo avvicinarmi, la gente intorno a noi che iniziava a passare con più frequenza e noi, immobili, rimanevamo a guardare. "Servo decisamente di più come battitrice," gli feci l'occhiolino. Ero brava a Quidditch, non poteva negarlo nessuno, la mia maglia col numero 17 mi dava sempre grandi soddisfazioni e su quello, il signor riserva-portiere non avrebbe potuto dirmi qualcosa di sprezzante e strafottente.
"Appunto per questo, ci sei tu a fare il tifo." Dissi, infine, con un tono ambiguo e divertito. Stava a lui interpretarne il significato, pensare che fosse importante per me avere qualcuno, negli spalti o tra le riserve a farmi il tifo, oppure pensare che lo stessi semplicemente prendendo in giro come ultimo arrivato? Nemmeno io sapevo la risposta, nemmeno io volevo trovarla e, probabilmente, mi sarei adattata alla sua.
Nonostante ciò, comunque, il bruciore alla bocca dello stomaco continuava a sfrigolare.

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