Dopo una giornata di lezioni,
Hogwarts spesso si fa vuota e vacua. È la stanchezza che attanaglia i corpi e li trascina per le sale del castello come burattini sciolti. Senza una
direzione, ogni studente prende la propria, decisa dalle necessità e dai legami, dalla volontà di trovare riposo o, forse, semplicemente da
qualcosa di più. E finisce che si spopolano i corridoi, le sale comuni, soprattutto quando fuori è freddo e il tempo non aiuta. È un giorno come tanti altri. Piove, piove a dirotto, e anche volendo uscire non riusciresti neanche a vedere a un palmo dal tuo naso: dalle colline a circondare il castello nel loro freddo abbraccio è scesa una
nebbia fitta, tanto fitta da appannare le finestre e far sembrare le sbarre delle decorazioni gotiche una sentenza di prigionia più che il risultato del gusto artistico dei tempi dell'edificazione dell'istituto stesso.
Ma oggi c'è qualcosa di diverso nell'aria. Il sapore
d'elettricità si frange fra le tue labbra, una carica statica che ti si avvolge attorno come un manto indefinito e indefinibile. Forse è solo ansia quella che percepisci, forse invece è solo la stanchezza, il peso del giorno odierno e di quelli a precederlo, di quelli a venire. Forse invece è tutt'altro. Ma poi alla fine ha veramente importanza?
Sparisce come è arrivato, in un attimo, un momento, e viene relegato a quello e a nulla di più. Una sensazione strana, un brivido, un'intuizione, forse, che il tuo corpo poi accetta essere un falso positivo. E probabilmente lo era, sì.
Quando c'è la nebbia, è normale cercare qualcosa di più,
oltre di essa. E forse in un certo senso è normale che il corpo se lo immagini, lo provi a tastare e sentire con mano, a dargli una forma fisica affinché prenda davvero vita. Quando c'è la nebbia spesso a guardarci attraverso ci si cerca qualcosa di familiare, qualcosa di concreto. Un ricordo, un frammento di un pensiero recondito, lasciato a sé stesso, che ora invece diventa
realtà. Un meccanismo naturale, per l'uomo, che dalla nascita è programmato per avere...
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