Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Stunts In the Dark

[Per Kenn (in disguise cit.Quack)]

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    Chandra Taylour-Parsons // II anno
    Chandra non si sarebbe mai stancato di sognare ad occhi aperti. Durante i primi mesi di permanenza nel mondo reale, potersi rapportare con della gente era stato di vitale importanza per poter portare avanti il suo progetto destinato a tutta l'umanità: ristabilire la pace e gettare via con un bel calcio assestato, quelle futili guerre che non portavano mai a nulla. Già riusciva a pregustarlo: popoli interi che decidevano di abitare insieme nei boschi, in mezzo alla miriade di piante esotiche e maestose, tra i ruscelli, in cima ai monti: rispettandosi e basandosi la nuova società su valori quali la solidarietà e la gentilezza. Chandra avrebbe sacrificato se stesso per ottenere un simile premio...o forse no? Scuotendo la testa e spalancando gli occhi, si tirò via bruscamente dalla balaustra di una delle immense e maestose torri del Castello. Premuta una mano sul petto e deglutito più e più volte, chiunque avrebbe potuto dedurre che la condizione di disperazione in cui si trovava il giovane, fosse dovuta dalla paura per la terribile altezza o per l'avvistamento di qualche Troll. Sarebbe deludente però, venire a conoscenza del fatto che Chandra non sarebbe mai stato il tipo di ragazzino che si spaventa per certe futili cose. I motivi erano tutt'altri. Sarebbe stato davvero capace di mandare a monte la propria morte gloriosa, nonostante avrebbe con essa potuto salvare l'intera umanità. Aggrottando le sopracciglia, il Serpeverde si abbassò imbarazzato su se stesso, poggiando le mani sulle ginocchia nodose e socchiudendo gli occhi deluso. Sentendosi poco stabile, decise di poggiare la schiena al muro grezzo di pietra...aveva sempre desiderato volare? Chandra si chiese quand'è che avesse iniziato a bramare una cosa simile. Forse perché voleva essere il più vicino possibile alla sua amica Luna, per potersi accoccolare tra le sue morbide e chiare braccia. Peccato, che se avesse continuato su quella rotta, avrebbe abbracciato solo il solido e duro terreno. Un grido smorzato si librò nell'aria e Chandra ancorandosi con tutta la forza con la punta del piede alla fessura della finestra, per la prima volta vide il mondo da un'altra prospettiva. Percependo quasi il proprio sangue arrivare alla testa, decise che avrebbe dovuto trovare una soluzione: il mondo capovolto non gli dispiaceva, ma morire forse si. D'altronde, aveva appena realizzato che alla sua vita ci teneva più della pace nel mondo, avrebbe dovuto salvarsi per potersi poi rimproverare in qualche modo, non poteva lasciarsi così in sospeso, eh no! Trovando uno spazio vuoto tra una pietra e l'altra riuscì ad ancorarsi con una e poi anche con l'altra mano, cercando di risalire all'indietro, come un piccolo ragnetto. Poi, perse la presa. Nell'aria soffice che scompigliava i capelli ricci, pensò che non voleva morire per la pace, poiché lui era la ribellione e la pace, il nuovo e il vecchio mondo. Perché avrebbe voluto esserci, ad ammirare la nuova società. Si rammaricò di non aver potuto trovare una degna persona che avesse potuto proseguire con i suoi ideali.
    E infine, sentì l'aria uscire fuori dai propri polmoni, gli occhi fuori dalle orbite e il cuore dal petto. Si sentì scaraventato di nuovo in alto e poi di nuovo in basso e ancora riacciuffato in volo. Infine, dopo secondi che gli parvero secoli, il buio.
    [...]
    "Oh è un così fortunato ragazzo! E tu sei un'eroina, brava Cassandra!"
    "Scherza? E' stata l'esperienza più bella della mia vita! Doveva proprio esserci, avrebbe dovuto esserci il Giornale e tutto il mondo Magico! Puff, Bada-bum e subito afferrato eroicamente con la mia bellissima nimbus!"
    "Non vantatevi voi giovanotti! Questa è stata una delle poche volte in cui quei pericolanti spalti di Quidditch e quelle scope pazze son servite a qualcosa!"
    Chandra non se la sentì di chiedere ulteriori spiegazioni, aveva il presentimento che sarebbe stato rimproverato bruscamente e la cosa non gli andava esattamente a genio. Un dolore costante sulla tempia gli fece strizzare gli occhi ma fu tutt'altro motivo, quello che gli fece bloccare il respiro: non riusciva a sentire la mano destra. Con un urletto a mezza gola, si sollevò a fatica dalle morbide lenzuola bianche, nelle quali era immerso e si osservò ansiosamente attorno. Le luci sterili e i colori chiari della stanza, facevano da cornice ad un orribile contesto di morte, carestia, dolore e malanni. Chandra rabbrividì, sentendosi terribilmente a disagio in quella malefica Infermeria Scolastica. Appoggiando la testa sul cuscino, con maggiore calma afferrò con l'altra mano il polso molleggiante e strinse i denti non appena un fitta gli impedì di stringer troppo l'arto. Si voltò supplicante verso l'infermiera che, come aveva immaginato, lo fulminò con un semplice sguardo. Tossicando un poco, con voce raschiata le si rivolse con ingenua gentilezza: "Mi scusi, cara signora, non volevo farla lavorare, ma cosa gli è successo a..." e con sguardo confuso sollevò dolorante il polso.
    Inutile star a ricordare tutti gli epiteti poco carini che Chandra dovette sorbirsi, con tanto di obbligo medico di tanto, troppo, riposo in Infermeria causa polso rotto (le ossa eran troppo piccole per poter usare una pozione? Davvero? Chandra non lo ammetterebbe mai, non vorrebbe sembrare cospiratorio, ma giurerebbe di aver visto un ghigno sulla faccia di colei che avrebbe dovuto curarlo?. E poi, insomma, si era preso una grossa febbre. Chandra non avrebbe saputo dirsi il perché. O per quelle giornate che aveva deciso di passare dalla cima di un albero all'altro o forse ancora per quelle lunghe discussioni con la Luna a notte fonda...il Serpeverde decise di nuovo, saggiamente, di non proferir altra parola.
    Ma i giorni passavano e la noia lo consumava fin dentro le ossa. Una sola ragazzina non lo aveva abbandonato durante quelle dure settimane di permanenza. Si era così tanto abituato a veder passare un via vai di malati e moribondi, da essersi davvero affezionato a quella biondina dalla pelle diafana, che era giunta un giorno dopo lui e si era posizionata nel letto accanto al suo, senza lasciarlo più.
    Chandra, abituato ai numerosi insulti e scappellotti, aveva desiderato parlarle fin da subito con la paura costante di esser deriso. Avrebbe perso l'unica costante lì dentro e sarebbe potuto impazzire.
    Ma più le ore passavano, più si convinceva del fatto che sarebbe diventato un fungo o una pianta di licheni ben assestata su quell'odioso letto, se non avesse fatto della bellissima conversazione con un altro essere umano.
    Per cui, aspettando l'ora più consona, sapendo che se avesse voluto la fanciulla avrebbe anche potuto usare contro di lui, quelle parole brutte che a Chandra non piacevano proprio, senza esser rimproverata dalla signora Infermiera. In realtà, si limitò a scrivere un biglietto. Era davvero troppo giù per potersi permettere di risultare gioioso e contento. E lui detestava proprio non essere al meglio di sé davanti alle persone.
    Per cui, con una mira invidiabile, diresse lo stropicciato pezzo di pergamena, sulle gambe della ragazzina.
    Poi, incassò la testa sul petto e attese fremente.

    Ciao! Sono Chandra e mi piace la Pace nel Mond-, e sono un bravo ragazzino! Ti va di parlare?






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    L'infermiera era una spietata aguzzina.
    Ecco cos'aveva capito in quasi due settimane di ricovero nel carcere che insegnanti, preside e infermieri asserivano fosse una semplice infermeria. Non quale esatta malattia l'avesse colpita, non come le fosse stata trasmessa o da chi, solo che l'infermiera godeva a tenerla inchiodata al letto, sotto il suo occhio vigile. In quel posto si entrava e poi non si sapeva neanche se si riusciva a uscire. Nell'abbondante tempo libero trascorso sul letto troppo morbido del reparto, si era spesso chiesta quanti compagni conoscesse che fossero stati ricoverati e poi dimessi, ma per quanto si sforzasse la risposta era una, sola e inquietante: zero. Nella sua cerchia di conoscenze, piuttosto ristretta a dire il vero, il paziente zero era lei, la cavia scelta per stabilire se quello fosse il luogo della guarigione o del non ritorno. La parte peggiore della storia, la vera beffa, era che a rivolgersi alle infermiere era stata proprio lei. Lei si era recata di corsa a raccontare dei capogiri intermittenti, intervallati da fitte alle tempie, e dei brividi lungo tutto il corpo, delle strane bolle che emetteva a ogni starnuto o ancora delle lacrime dense e di colore sospetto che le bagnavano gli occhi. A sua discolpa, ci si era svegliata una mattina in quello stato, senza preavviso se si ignorava il sonno inquieto della notte precedente, e subito era andata nel panico. Senza dire niente a nessuno si era precipitata giù dalla torre, dritta all'ala in cui gli studenti andavano a farsi curare. Forse.
    In un primo momento l'infermiera era stata gentile e comprensiva. Le aveva posto un sacco di domande, poi le aveva somministrato una pozione che l'aveva mandata k.o. per diverse ore. Lo aveva bevuto per diversi giorni di seguito quell'intruglio, a intervalli regolari, e a intervalli regolari si era accasciata sul cuscino a causa di esso. I risvegli erano la parte peggiore. Appena aperti gli occhi non ricordava di essersi addormentata, di dove si trovasse e spesso aveva la sensazione che gli occupanti dei letti attorno a lei fossero diversi, di meno o di più rispetto a un vago concetto di "prima". Nei giorni immediatamente successivi, i due o tre in cui l'avevano davvero imbottita di farmaci, non le era importato di stare a letto tutto il giorno. Non si era annoiata, e anzi la prospettiva di dormire e saltare qualche lezione le era risultata piacevole. Poi la frequenza delle pozioni era calata, e la sua mente lucida aveva iniziato a pretendere di essere intrattenuta. Per un po' aveva giocato con i poteri di metamorfosi fino a prenderci la mano, davvero! Finalmente riusciva a cambiare colore e forma insieme in un battito di ciglia, e anche ad eseguire tre, quattro trasformazioni di fila.
    Raggiunto il record, quel gioco le era giunto a noia e ne aveva escogitato un altro: indovinare come i suoi compagni di reclusione erano finiti in quel posto. Alcuni, aveva deciso, erano stati traditi dagli amici più fidati e condotti là dentro con l'inganno, altri avvelenati perché qualcuno desiderava eliminare i migliori o i propri rivali, altri, come lei, perché ingannati dalla fama positiva dell'infermeria.
    Quel secondo gioco si era concluso il giorno in cui l'infermiera l'aveva dichiarata ufficialmente guarita. Lei si era rallegrata, troppo presto però. Dopo una pausa ad effetto, utile soprattutto a illudere lei, sospettava, la donna malefica in camice bianco le aveva detto che preferiva tenerla in osservazione per qualche altro giorno, per evitare ricadute o prevenire sintomi nascosti.
    Da allora ne erano passati tre, di giorni, e a ogni visita la diagnosi era la stata.
    "Oh stai riprendendo colorito," e quel commento già era strano di suo. "Ma è meglio se resti ancora un po'," delle due opzioni, se di un presunto colorito mai avuto da recuperare o del sempre rimandato rilascio, non aveva ancora capito quale presa in giro fosse peggiore. A furia di insistere e chiedere, quella mattina una delle infermiere di guardia che mai perdevano d'occhio i pazienti le aveva procurato una matita e qualche foglio bianco. Nelle ore seguenti si era divertita a disegnare, ma, arrivata alla sera, perfino la sua vena artistica si era prosciugata per mancanza di stimoli. L'ultimo disegno era il più triste tutti: una versione sghemba, realizzata contro voglia, del vado si fiori vuoto accanto al letto di fronte a lei.
    Solo a ripensarci le veniva voglia di cancellarlo e non avendo altro con cui distrarsi lo fece. Recuperò il foglio dai piedi del letto e lo osservò. Provò anche a capovolgerlo ma l'aspetto del vaso non migliorò affatto. Posò allora il foglio sulle gambe e con la matita tracciò sopra una grossa croce. Rotto e sepolto, pensò. Sollevò la matita per tornare alla carica, guidata dalla voglia di scaricare la frustrazione su qualcosa o qualcuno, ma un leggero tocco nella zona delle gambe attirò la sua attenzione altrove. Non era stata una mano a sfiorarla, bensì un pezzo di carta avvolto alla meno peggio su se stesso. Incuriosita, concesse una tregua al quadro e lo raccolse.

    CITAZIONE
    Ciao! Sono Chandra e mi piace la Pace nel Mond-, e sono un bravo ragazzino! Ti va di parlare?

    Rilesse una seconda volta, poi una terza. Trovava molto buffa la parte cancellata. Perché quel tale, Chandra, sentiva di dover sottolineare, come prima informazione di una presentazione, il suo sostegno alla pace nel mondo? non piaceva un po' a tutti? Forse in lui il desiderio era più profondo che in altri. A colpirla fu anche la parte finale. La richiesta di parlare la fece sentire in colpa per non aver tenuto in gran considerazione i compagni di prigionia. Li aveva usati come passatempo, dando per scontata che sarebbe uscita presto avendo sofferto di una non meglio identificata e semplice influenza magica. Scostò il paravento, tirato solo per metà a coprirle il volto e parte del busto, ampliando così la sua visuale. Il letto a destra era vuoto, nessuno camminava tra le corsie per tornare furtivo al suo letto, e l'unico a distanza di un tiro da seduti era il ragazzo sulla sinistra. Solo... sembrava non stare troppo bene.
    "Va... va tutto bene?" teneva la testa bassa, attaccata al petto, e dato che si trovavano in infermeria pensò subito a un qualche tipo di malore. "Vuoi che chiami l'infermiera?
    Per un attimo esitò, poi, senza riuscire a tenere a freno la curiosità aggiunge: "sei tu Chandra?"

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    Chandra Taylour-Parsons // II anno
    Il piccolo Chandra puntò gli occhi sbarrati in direzione del lettino vuoto che gli stava di fronte. Gonfiò goffamente le guance di aria e poi fece fuoriuscire tutto pian piano per evitare di fare troppo rumore e di essere notato. Aspettare non gli era mai piaciuto, per cui girò di scatto la testa verso la fanciulla e, accortosi che stava ancora leggendo, si affrettò a posare nuovamente lo sguardo sull'interessante arredamento dell'infermeria scolastica. Quanto ci metteva, poi? Avrebbe dovuto preparasi a qualche battutaccia? Chandra non ne aveva proprio voglia, le medicine che continuavano a somministrargli gli facevano venire un gran sonno e quindi il suo bellissimo cervello non era in grado di farsi troppe paranoie. Colpito da quell'affermazione, incassò la testa nelle spalle e annuì tra sé e sé: Una notte per non pensare troppo, in fondo l'amore, la pace e tutte quelle cose belle non avevano bisogno di essere ragionate, arrivavano in modo straordinariamente naturale. Felice per la propria tesi, si girò con un sorriso sghembo verso la biondina e aggrottò le sopracciglia dopo aver sentito la domanda postagli. Poi capì il fraintendimento e scrollando le spalle rispose con noncuranza ed ingenuità: "Oh dici prima? Penso che fossi imbarazzato perché sei molto bella e avevo paura che mi prendessi in giro!". Il giovane serpeverde si grattò il naso ridacchiando, senza rendersi conto di ciò che aveva appena detto. "Si, sono proprio io Chandra, in carne ed ossa! Tu come ti chiami?" mentre poneva la domanda, si sbilanciò pian piano dal proprio letto, sinceramente incuriosito di conoscere maggiormente la ragazzina e genuinamente felice di non aver dovuto combattere con qualche parola cattiva. Purtroppo cadde. Probabilmente i kiwi cadono con molta più eleganza dagli alberi. Chandra si rialzò subito dal pavimento, saltellando su se stesso , ridacchiando pure e con tono vivace cercò di mettere un cerotto alla situazione: "Sto bene, bene, bene tranquilla!". Il moretto si sedette con velato imbarazzo sul bordo del proprio letto e solo dopo aver posato lo sguardo sul pavimento su cui era caduto, si accorse di quanto fosse nei casini. Un liquido denso e verdastro era riverso in una macchia orripilante tra il letto della biondina e di Chandra, e quest'ultimo deglutì cercando di darsi un calmata, prima di ricostruire gli eventi. Aveva di sicuro urtato l'ampolla che inclinata del tutto, era rimasta miracolosamente intatta sulla mensola sopra i loro letti. Dopodiché dovette affrontare la parte peggiore: constatare i danni. Di sicuro, ora la sua anonima camicia da notte bianca era colorata di un verde foresta ben acceso. Ma il disgusto per lo sporco di Chandra, avrebbe avuto molto da ridire sull'ottimismo di quella situazione. In compenso, si sprigionava solo un sottile odore di succo di zucca, e Chandra si chiese come mai non fosse stato investito da una folata pestilenziale. Dimenticandosi subito, erroneamente, la domanda, il serpeverde si concentrò sul problema che più lo premeva: decontaminarsi. Saltando la pozza orripilante, iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di un cambio. Per fortuna vi era solo un tassorosso insieme a loro, che ancora beatamente dormiva, per cui Chandra spostò il suo sguardo disperato sulla ragazzina "Di solito, non chiederei aiuto, è più bello aiutare! Però, ecco, sono in difficoltà e non possiamo svegliare la Signora Foster, non mi va di essere rimproverato!" e spalancando le braccia, mostrò ulteriormente il disastro sulla sua tunica. Maledetto il momento in cui aveva deciso di staccare la spina del cervello.

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    Al richiamo della sua voce il ragazzino si voltò a guardarla. In volto aveva un'espressione dubbiosa, gli occhi però erano vispi, nessun segno della mancanza di sonno li cerchiava e anche il colorito della pelle sembrava a posto. Veniva quasi da chiedersi perché si trovasse in infermeria. Forse aveva ingerito per sbaglio una pozione che gli faceva dire frasi strane, che la maggior parte delle persone avrebbe tenuto per sé, soprattutto nel rivolgersi a un'estranea. In quanti avrebbero giustificato uno strano comportamento confessando all'altra persone di trovarla molto bella? Pochi, e lei non era tra quelli. Non lo avrebbe ammesso nemmeno se fosse stata la verità. Che fosse vero o no, il complimento la mise in imbarazzo, anche perché espresso con molta naturalezza. Dopo un momento iniziale di stupore si ricompose. Per fortuna non era il tipo di persona che arrossiva. Se non fosse stato per il resto della frase probabilmente avrebbe cercato un pretesto per tornare alle sue occupazioni, temendo altre uscite fuori luogo. Perché la colpì che di tutto temesse proprio di essere preso in giro. Era sensibile e per qualche ragione non faticava a dimostrarlo. "Perché avrei dovuto prenderti in giro?!" chiese con reale interesse.
    "Io invece sono Leah," rispose non appena le chiese il nome, dopo aver confermato di essere proprio lui Chandra. Nel tempo necessario a pensare a qualcosa da aggiungere, Chandra riuscì a scivolare giù dal letto, rovesciare qualcosa di pesante dal comodino, rialzarsi e tentare di rassicurarla mentre tornava a sedersi sul bordo del letto con fare impacciato. In pochi istanti Leah sperimentò differenti sensazioni, dallo stupore per la goffaggine del ragazzo, al timore che potesse trattarsi di una ricaduta o che si fosse fatto male, e per finire divertimento. Riuscì in qualche modo a ricacciare indietro la risata che sentì nascere nel vederlo rialzarsi come una molla, certo che sarebbe riuscita soltanto a farlo sentire ancora peggio, dopo la pessima figura.
    "Si vede che stai bene. Per fortuna non ti sei sentito male," esternò il suo timore. La sua attenzione venne attirata subito dalla grossa macchia verde che si allargava sul davanti della tunica di Chandra. Doveva essere una medicina, non puzzava, però, anzi profumava come quel succo di zucca dalla dolcezza stucchevole che tanto piaceva servire in quella scuola. A terra la macchia era perfino più estesa, e continuava ad allargarsi, con suo grande sconforto. L'odore non contribuiva infatti a farlo sembrare meno schifosa la sostanza. Quel verde poteva benissimo appartenere a una cura quanto a un veleno o una scoria tossica. Chandra però le domandò aiuto, e non le sembrava carino rifiutare. L'improvvisa urgenza le svuotò la testa, poi, da qualche parte, emerse il ricordo dei fazzolettini che l'infermiera si premurava di portarle a ogni ora del giorno fin dal suo arrivo.
    "Prova con questi," allungò il braccio verso il lato opposto a dove si trovava il ragazzo in difficoltà, raccolse il porta salviette a forma circolare dal comodino e glielo porse. "Non strofinare o rischi di allargare la macchia". Sedette sul bordo del letto, con le gambe in direzione del ragazzo. Anche se i piedi non toccavano terra il lento allargarsi della strana medicina la infastidiva. Se avesse avuto la bacchetta avrebbe potuto farla sparire, invece il suo catalizzatore giaceva inutile dove l'aveva riposta l'infermiera, da qualche all'interno del suo studio.
    "Funzionano? La macchia resterà comunque, dovresti cambiarti. Se l'infermiera ti vedesse così probabilmente ti direbbe che quella medicina va bevuta, non spalmata, e ti costringerebbe a berne un'altra bottiglia". La sua opinione sullo staff medico del castello non avrebbe potuto essere più bassa. Per quello e per un senso di solidarietà tra reclusi aveva scelto di esprimere il suo pensiero ad alta voce. "Se avessi la bacchetta forse potrei farla sparire. Tu ce l'hai?"
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    Non mi piace lasciare le cose in sospeso: eccoti quindi la chiusura, tivibi ora scompaio



    Chandra Taylour-Parsons // II anno
    Chandra dovette contare fino a dieci prima di decidere se piangere, ridere o sparire con un puff! dalla faccia della Terra. Ma come ci era finito con le vesti imbrattate di uno strano liquido verde, con un viso sempre più tendente al rosso-grifondoro e una strana sensazione di fastidio al centro del petto?
    Nel dubbio, prese un profondo sospiro e annuì grato quando Leah riuscì a passargli dei tovagliolini di carta. Con mani impacciate tentò di tamponare ed eliminare la macchia, ma con scarsissimi risultati. E se l'Infermiera l'avesse scoperto? Andando sempre più nel panico, fece accidentalmente cadere i fazzoletti a terra, proprio dentro la pozza verdastra. Quindi Chandra rise. Cos'altro avrebbe potuto fare? Rise talmente tanto che si chiese perché non avesse deciso prima di affrontare il problema in questo modo. "Scusa, rido spesso quando sono nei casini, d'altronde tutto ciò che mi circonda è meraviglioso, questo è solo un divertente ostacolo che dobbiamo oltrepassare insieme, con un bel saltello!". Il Serpeverde si mise alla spasmodica ricerca di una soluzione: avrebbe potuto trovare un cambio da qualche parte...o magari trovare la sua bacchetta e risolvere la situazione con un po' di magia? Ma si sa, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare e spesso, nel caso del piccolo Chandra, un'intero oceano. Notando come la bimba continuasse ad osservare con sguardo divertito ma dubbioso quell'orrida situazione, Chandra sentì l'improvviso e irrimediabile bisogno di fluttuare via, lontano, verso la sua amica Luna: così sarebbe riuscito a valutare meglio la situazione da un più ampio punto di vista e forse, sarebbe potuto sopravvivere a quella spiacevole situazione. Le risa si arrestarono progressivamente e mentre tentava di formulare un discorso convincente per persuadere Leah ad aiutarlo nella disperata ricerca di vestiti o di una bacchetta, il rumore sordo di passi umani si fece improvvisamente largo nella quasi deserta Infermeria. Chandra d'impulso, lanciò uno sguardo inorridito in direzione della ragazza e indicandole con il capo, il letto dietro di lei, ebbe appena il tempo di convincerla a coricarsi prima che anche lei potesse finire nei guai. Lui era fregato, nulla da fare, ma perché non salvare il salvabile?
    Lo sguardo assassino della Signora Foster lo perforò e il Serpeverde poté solo deglutire spaventato e accennare un sorriso sdentato "Pensavo che un po' di colore non potesse far male….quest'infermeria è talmente, beh, anonima e triste!". Pronto a ricevere il contraccolpo, capì che avrebbe affrontato pure quella senza rimorsi o rimpianti: in fondo, un tocco di luce d'orata era più forte di un'orrenda macchia verde.


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