Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Un Dolce Spavento

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    Serpeverde
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    La domenica era sempre stata anonima per me, di solito la si scambia per un giorno di riposo, ma per me era uno giorno come un altro. Con mio nonno che sfogliava e risfogliava album vecchi per non parlare di mia nonna che si divertiva a lavorare ai ferri davanti al cammino scoppiettante, non era una cosa davvero cosi bella per un bambino come me, voglio dire alla mia età ci sono altri interessi, erano davvero poche le persone con cui potevo socializzare, ogni tanto veniva mia zia Sofia, ma non è che rimaneva in eterno. Le cose ad Hogwarts cambiarono quando ero libero dal mio dovere di studente, uscivo fuori all’aria fresca, andavo al cerchio di Pietre o anche il Ponte Sospeso a volte da solo o in compagnia di Stella Giulia o Lalith o solamente con la mia gatta bella, ma quella domenica era diversa. La notte prima decisi di scrivere una lettera ai miei nonni e a zia sofia e anche perche no a mia madre anche se sapevo che non l’avrebbe mai letta, appena fini di scriverla decisi che era il momento di spedirla, ma al solo pensiero di andare in Guferia la cosa mi fece rabbrividire, avevo un po di timore dei gufi, allocchi e civette che si trovavano lì. Si trovava poco distante dal castello, era una vecchia torretta con varie finestre dove si affacciavano, sporgendo la testa di fuori qualche volatile che si trovava li sopra ogni tanto qualche gufo partiva e qualcuno andava via, percorsi velocemente il cortile incontrando studenti che giocavano a Giobbiglie o chi studiava assorto nei proprio pensieri o chi faceva solamente schiamazzo rincorrendosi tra di loro, appena mi allontanai da tutto quell’inquinamento acustico mi ritrovai ai piedi della torretta dove con molta fatica salì quei grandi scalini di pietra molto scomodi “chissà quanti anni ha quella guferia“, feci un lungo respiro prima di entrare, appena misi un piede dentro inciampai in un teschio appartenente ad un roditore molto probabilmente ad un povero topo, feci una smorfia di disgusto cosi avanzai ancora di più guardando in alto, mentre tanti occhioni color ambra mi guardarono straniti e curiosi.
     
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    "Se hai cambiato idea fai ancora in tempo a venire anche tu," la testa di Olib, spuntata all'improvviso alle spalle della borsa dietro cui si nascondeva, puntava le lettere sul tavolo. I babbani erano soliti paragonare persone incapaci di movimenti aggraziati o articolate espressioni facciali a ciocchi di legno e manici di scopa, proprio a indicare la scarsa capacità comunicativa non verbale di tali soggetti. Ma se i babbani avessero potuto vivere con un asticello l'intero vocabolario dei loro modi di dire sarebbe andato in crisi, come quello di Leah. Benché Olib non sapesse articolare la minima parola, alla grifondoro fu sufficiente notare il bagliore di decisione dietro gli occhietti scuri e il taglio preoccupato delle labbra per comprendere cosa frullasse in testa al suo piccolo compagno. L'asticello le girava attorno abbastanza spesso da sapere che ovunque ci fosse carta o pergamena dovevano esserci, non troppo distanti, matite in legno da salvare.
    "Perdi tempo, ho scritto tutto ieri," disse divertita. L'asticello sollevò la testa e la osservò con fare dubbioso, come se stesse decidendo se crederle o meno.
    "Sai, prima o poi dovrai affrontare qualche altra creatura, perché non iniziare dai gufi?" osservò, quasi con leggerezza, salvo poi rendersi conto che un qualcosa di simile le era stato detto in passato dalla madre, senza gufi, ma con riferimenti a meno piacevoli compagni di scuola. Il pensiero la fece sentire a disagio, non voleva somigliarle o parlare come lui, fu però l'espressione di terrore sul volto di Olib a farla sentire in colpa e indurla a un passo indietro. "Ti prendevo in giro," lo rassicurò. "Scusa ma devo andare," con la sinistra afferrò la borsa per una spallina, la trascinò a sé, demolendo l'ultimo rifugio sicuro di Olib, e la ripose sopra al letto per ristabilire un minimo di ordine. Dalla pila di abiti tirati fuori al mattino raccolse la sciarpa regalatela per natale da nonno Gareth, un fiero stendardo della casa grifondoro: fondo rosso mattone, in tono con il colore di capelli che sfoggiava dal ritorno al castello, spezzato da sottili strisce gialle. Di norma non avrebbe indossato niente con uno stemma tanto antiquato in bella vista, a Hogwarts però riusciva semplice abbinare il tutto con la divisa della scuola, così la avvolse stretta attorno al collo e fin sul mento.
    "Tornerò presto, non far guai o le altre se la prenderanno con me," lo ammonì, pur conoscendo bene l'indole compassata dell'asticello. Passando accanto al tavolo raccolse le due lettere e le infilò nella tasca interna del mantello, al sicuro, poi uscì dal dormitorio.
    Come ogni domenica il castello era immerso in quell'aria irreale di quiete tra una tempesta, le lezioni, e l'altro, molto simile a quella respirata nella mezza giornata trascorsa senza lezioni a natale, prima di partire per il Galles. A Leah Hogwarts piaceva molto in quelle occasioni. Gli studenti non era frenetici come quando si recavano in classe, tutti passeggiavano tranquilli, in gruppo o da soli, persi in conversazioni o pensieri e del tutto indifferenti a chi li circondava in senso buono, quell'indifferenza, insomma, di chi non si ferma a giudicare o seccare una ragazza del primo anno per motivi futili. Quel giorno anche le scale sembrarono adeguarsi al clima di pace. Per tutti i sette piani di discesa Leah non ebbe problemi con cambi improvvisi o deviazioni forzate. In poco tempo raggiunse il portone d'ingresso e uscì nel parco, dove gruppi sparuti di studenti sfidavano le basse temperature a suon di giochi e risate.
    Leah, che di freddo intendeva sopportarne il meno possibile, sollevò la sciarpa a coprire le labbra, da cui il calore cominciava a defluire, infilò le mani in tasca e tirò dritta verso la guferia. Quando arrivò in cima all'alta torre aveva le guance arrossate, e il fiatone, dovuto alla lunga salita, condensava in nubi imponenti davanti al viso. Attese davanti alla porta per pochi istanti, poi, prima che le ciglia cristallizzassero, entrò all'interno della sala circolare in cui, dalle fessure scavate alle pareti, centinaia di gufi attendeva, scrutando con i loro occhi severi i possibili mandanti di un futuro viaggio, o più semplicemente poltrivano dopo una notte di caccia. Anche con la punta del tutto insensibile, gli odori di escrementi e resti di pasti abbandonati si fecero strada su per le narici della grifondoro, incuranti di poter uscire dalle ampie volte aperte su ogni lato della costruzione o dalla porta.
    "Che schifo," lamentò, preferendo sollevare lo sguardo dopo aver indugiato per un istante su un ammasso informe di cui non voleva indagare oltre la natura depositato a terra. Solo allora si rese conto di non essere sola e l'imbarazzo le paralizzò le gambe. L'aveva sentita lamentarsi, quel tipo sconosciuto di cui non vedeva la faccia? Nel dubbio, valeva la pena salutare, così da non passare per maleducata oltre che volgare, poi sbrigarsi ad affidare le lettere a un qualche gufo e sparire il prima possibile.
    "Buongiorno," salutò sollevando la voce. Recuperato l'uso degli arti, chiuse la porta e mosse qualche passo incerto verso destra, in direzione di un gruppo di gufi all'apparenza svegli. Prima di sfilare le lettere dal cappotto ne avrebbe scelto uno o due dall'aria forte e affidabile, e quelli sembravano adatti!

     
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    Ora che ci penso forse era meglio
    lasciar perdere, non sapevo come dovevo mandare una lettera, non avendolo mai fatto e quei volatili non avevano di certo un aria gentile "Perchè l'hai fatto Matthew dovevi domandare prima a qualcuno più grande di te dannazione!" mi ripetei a mente scuotendo fortemente la testa, voglio dire dove la metto la lettera? ad una Zampetta? o forse sotto ad un ala, ma come poteva fare avrebbe volato male "Cavolo Matthew" mi rimproverai ancora una volta, ma quando mi senti dire Buongiorno da dietro mi rigirai di scatto impaurito facendo agitare qualche gufo li dentro nelle loro stanzette, uno di loro mi guardò scocciato come per capire cosa fosse tutto quel baccano. Quando mi calmai intravidi bene e non potevo credere ai miei occhi era Leah la Grifondoro che tanto mi colpì in senso positivo nelle varie lezioni con cui ci eravamo frequentati "Ehm... ciao Leah .." dissi facendo un sorriso da pesce lesso, sembrava una bambina pulita, cosi normale e molto carina. Rimasi impietrito per alcuni istanti guardandola per poi riprendere subito parola "ehm...hai le. .. lascia perdere" dissi non riuscendo a finire di parlare facendomi un pò rosso in volto mentre fissai le sue guance diventate come due rosse ciliegie mature per via del freddo che c'era fuori "Anche tu qui per spedire una lettera?" chiesi indicando la sua lettera con la mano destra, mentre feci un lungo respiro cercando di non andare in panico.
     
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    Di gufi Leah capiva davvero poco. Per lei tutti i pennuti che si trovavano in guferia si somigliavano. Certo, ad alcuni crescevano piume alte tipo corna accanto gli occhi, il piumaggio di certi era bianco, di altri grigiastro, marroncino o screziato, nessuno di quegli elementi però l'aiutava a distinguere un gufo da una civetta o un allocco da un barbagianni. Non che avesse importanza. Già alla seconda lettera spedita aveva compreso l'inutilità di classificare i pennuti e scelto di affidarsi a una valutazione più semplice e analitica basata sulla stazza e l'aspetto, su quanto, cioè, un esemplare apparisse più o meno sano e forte rispetto ai suoi colleghi postini.
    Oltre al piumaggio folto e in perfetto ordine, nella sua scala rientrava lo sguardo: un gufo dagli occhi severi, attenti ai movimenti dei nuovi arrivati, era preferibile a uno che sonnecchiava o il cui sguardo sfuggiva a quello degli estranei, anche se quest'ultimo risultava meno inquietante e spingeva a maggior empatia.
    Aveva appena iniziato l'osservazione di un gufo cornuto dagli occhi arancioni che ricambiava il suo sguardo con astio, quando al saluto appena pronunciato rispose qualcuno che conosceva il suo nome. Leah lasciò perdere il gufo e si voltò, trovandosi davanti il gigante di serpeverde con cui aveva avuto a che fare a lezione. Non si sorprese nemmeno di non averlo riconosciuto: il ragazzino era così alto, grande di stazza, che le riusciva difficile identificarlo come uno del primo anno senza guardarlo in faccia.
    "Ciao... Matthew," esitò. L'abitudine di riferirsi a lui, tra sé, come gigante di serpeverde per un'istante le aveva fatto dubitare circa il nome di lui. "Non ti avevo riconosciuto," aggiunse a mo' di scusa. Di trovare un compagno di classe in guferia, per puro caso, in una domenica mattina in cui tanti oziavano o si mettevano in pari con i compiti, non le era neanche passato per la mente, e forse neanche a Matthew. Sulle prime attribuì all'imbarazzo creato dal non saper bene cosa dire il comportamento impacciato del compagno, poi realizzò, alle parole bofonchiate di lui, che la ragione doveva essere un'altra e peggiore.
    "Cosa? Ho qualcosa in faccia?" chiese concitata, avvertendo un fiotto di panico misto imbarazzo risalirle il collo. Poteva capire la difficoltà di Matthew. Al suo posto, nel dover dire a una quasi estranea di avere dello sporco in faccia, si sarebbe fatta degli scrupoli. Lei però era il tipo che voleva sapere quel genere di cose per porvi rimedio prima di gironzolare per la scuola con una striscia nera sulla fronte, sul naso o sotto gli occhi come un panda, per di più in un'occasione simile, con lo specchietto abbandonato sul fondo della borsa in dormitorio. Ancor prima di avere risposta dal serpeverde Leah allentò la sciarpa e controllò la parte interna. Era pulita. In qualunque modo si fosse sporcata, dopo essere uscita - prima si era assicurata di essere presentabile - la sciarpa di grifondoro c'entrava poco. Per levare ogni dubbio strinse la manica della divisa tra le dita, tese la stoffa e strofinò due volta una zona tra naso, labbra, mento e una parte delle guance nel modo più discreto possibile. "Ce l'ho ancora?" domandò al ragazzo una volta terminato, l'aria afflitta di chi avrebbe preferito parlare di auto da corsa, partecipare a gare di bacio del rospo o eventi ancor più disgustosi, anziché che affidarsi a un compagno di classe quasi sconosciuto per un parere delicato.
    Forse era solo la sua immaginazione, o la scarsa abilità sociale a parlare, ricordandole di non essere in grado di trovare argomenti per far partire una conversazione, ma a Leah sembrò che anche a seguito dell'archiviazione dell'incidente sulla guferia fosse calato un manto invisibile che impediva a entrambi di tornare alle proprie occupazioni, legandoli a una sorta di silenzio forzato. Per fortuna Matthew trovò il modo di rompere il ghiaccio e Leah di ciò fu grata. Detestava stare insieme ad altre persone senza sapere cosa dire. La faceva stare a disagio.
    "Si," rispose prontamente, e la sua voce sembrò quasi un urletto stridulo. "In Galles, ai nonni," aggiunse poi, incerta se quel dettaglio potesse interessare qualcuno - chiunque - o meno, ma fedele all'intenzione di ringraziarlo per aver spezzato la maledizione della guferia e soprattutto all'impegno con se stessa, assunto nell'aula di babbanologia, di sforzarsi nei rapporti sociali ogni volta che se ne presentasse l'occasione.
    "Stavo scegliendo un gufo," e si voltò di tre quarti verso la serie di celle prese in esame al suo ingresso, poco prima che Matthew rispondesse al saluto. Li il gufo dagli occhi arancioni attendeva, del tutto indifferente ai problemi degli esseri umani. Come lo invidiava. Leah tacque ancora, tormentò un po' l'involto che aveva in tasca, senza sapere bene cosa fare, se tornare alle proprie attività o se invece fosse scortese e quindi più adatto stare ferma e aspettare un qualche segnale di via libera. A patire le conseguenze dell'indecisione fu la salvietta stretta in mano dentro la tasca, il cui tessuto, fiaccato dall'umidità del palmo e dal contenuto all'interno, si strappò. Fu il segnale, per Leah, della necessità di sbrigarsi a fare una qualunque cosa.
    "Tu hai già fatto? Hai già spedito... tutto?" sperava di non essere troppo indiscreta e, nel caso, di avere una buona scusa per mettersi subito alla ricerca di un gufo e uscire al più presto da quel posto, di nuovo all'aria pulita dell'esterno.



    Scusa il ritardo
     
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    Dovevo imparare a stare zitto in certe situazioni o almeno pensare prima di parlare perché in certi contesti, non potevi mai sapere le persone come potevano reagire e se potevano rimanerci male o altro, questo è sempre stato un mio problema e l’avevo riscontrato anche adesso con Leah. Rimasi un po' imbarazzato, non volevo rovinare tutto con un complimento, lei la vidi molto ansiosa ci teneva alla sua bellezza almeno così potevo pensare per le innumerevoli domande che mi fece la Grifa riguardo al suo viso dato che pensava di essersi sporcata “Hey ….calmati non sei sporca da nessuna parte“ dissi facendo un lungo respiro “….Era riferito .. alle tue guance arrossate per il freddo..“ aggiunsi facendo un sorriso. Riuscì a spezzare quella situazione di imbarazzo cambiando discorso e chiedendogli se fosse li per spedire una lettera, che domanda certo era li quello, ma per fortuna lei mi rispose senza problemi dicendo che era li per mandare una lettere ai nonni in Galles. Rimasi stupito dalla sua frase visto che io era nato in Galles e ci vivevo attualmente, certo non li potevo conoscere e forse loro non conoscevano la mia famiglia. Il Galles è vasto, ma mai dire mai e forse era meglio non chiedere se conoscevano la mia famiglia “Dici davvero ? Io sono nato in Galles“ mi limitai a dire, mentre mi guardai attorno verso i gufi. “.. Anche io devo spedire una lettera ai miei nonni e mia zia …ma ecco beh non sono capace“ dissi alzando lo sguardo in alto verso tutti quei occhietti gialli che mi guardavano curiosi “Potresti darmi una mano ….“ aggiunsi rivolgendo lo sguardo a lei.

    Si può fare la role infinita? Hahaha


    Edited by Thranduil 11 - 1/2/2019, 18:20
     
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    Leah lasciò la presa sulla manica usata in precedenza per pulirsi, e con le stesse dita con cui l'aveva tenuta sistemò, di nuovo dietro l'orecchio, la ciocca di capelli che una folata di vento, entrata da una delle tante aperture sulla parete, aveva smosso e spostato davanti agli occhi. L'espressione sul suo volto, prima preoccupata, si accigliò appena. Che non avesse alcuna macchia era una buona notizia, ma la figuraccia l'aveva rimediata ugualmente andando nel panico. E Perché? In fondo non dipendevano dalla sua volontà, le reazioni al freddo del corpo. Perché Matthew aveva sentito il bisogno di farle notare il rossore alle guance? Davvero non lo capiva, e forse stava solo cadendo, come spesso le accadeva, nel vizio di analizzare troppo gli altri. Il sorriso del serpeverde sembrava non celare nessun secondo fine maligno, al che, tirando un sospiro rassegnato dedicato a se stessa tutto interiore, si costrinse a placare le nevrosi e mostrarsi cordiale come sarebbe stata in qualsiasi altra occasione.
    "Ah, ok," esordì, prima ancora di sapere cosa dire. "E' che... fuori fa freddo," terminò il concetto, in una esibizione di originalità così scarsa da basarsi sulle parole appena pronunciate dallo stesso Matthew.
    [...] L'aver buttato nella conversazione, senza una precisa ragione, la località di residenza dei nonni si rivelò tutt'altro che un dettaglio di scarso interesse, almeno in quell'occasione. Matthew era originario del Galles, come sua nonna e sua padre.
    "Sul serio? Che coincidenza," commentò interessata. Quali erano le probabilità di incontrare un compagno gallese nella guferia di una scuola scozzese di domenica mattina? A volte Leah si fermava a pensare alle coincidenze, ma ancora, dopo anni di riflessioni, non aveva deciso se credere o meno al carattere casuale di certi incontri o se invece, all'insaputa dei protagonisti, qualcosa di invisibile li favorisse, manovrando determinate scelte. Trovava affascinante anche solo pensarci e non voleva rovinare quei momenti prendendo una decisione affrettata. In più la guferia non era il luogo migliore per stabilire l'esito di una questione tanto importante, così lasciò cadere la riflessione teorica in favore di argomenti più pratici. "I miei nonni abitano a Wrexham, tu?" aggiunse, stimolata dalla semplicità dell'argomento a dare il proprio contributo alla conversazione. "Ci sono stata solo una volta, quest'estate, e non ho visto nessun'altro posto," si affrettò ad aggiungere. Non voleva certo passare per esperta, ricordava giusto la casa dei nonni e la forma di alcuni edifici pittoreschi che l'avevano colpita per il gusto di chi li aveva realizzati, però le sarebbe piaciuto conoscere meglio il paese di sua nonna, quello di suo nonno, l'Inghilterra, e anche la Scozia e l'Irlanda.
    Con il progredire della conversazione, anche dedicarsi alle attività originarie divenne più semplici. Risultò che neanche Matthew aveva spedito niente. A lezione le era sembrato di capire che il serpeverde non avesse origini babbane, o non solo, almeno, e saperlo incapace di spedire alla maniera magica la sorprese e divertì allo stesso tempo. Faceva piacere sapere di non essere l'unica discendente di maghi ad avere problemi con il mondo arretrato degli stessi maghi.
    "Certo," lo rassicurò, in risposta alla richiesta d'aiuto, aprendosi in un sorriso sincero. "Non sono sicura sia il metodo giusto, ma per me funziona," dalla tasca estrasse la mano sinistra e insieme a essa un involto bianco, ricavato da due o tre salviette di carta sovrapposte, chiazzato in alcuni punti, dove dalla pancetta, racchiusa all'interno del bozzolo, erano fuoriusciti dei liquidi. Il metodo di ingolosire i gufi per costringerli a planare sul trespolo le era venuto in mente vedendo il comportamento degli uccelli postini al tavolo della colazione. Ogni mattina stormi di gufi andavano e venivano, spesso gratificati da strisce di bacon offerte dai destinatari ai quali consegnavano i pacchi. Per una come lei, dotata di scarse abilità da addestratrice di animali, ideare quel metodo era stato una benedizione. Leah si avvicinò a una balaustra in pietra, vi posò il pacchetto e lo apri. Dentro c'erano due strisce di bacon.
    "Prendine una," disse a Matthew, raccogliendone a sua volta una fetta e avvicinandosi con cautela - quelle creature, per quanto ammaestrate, la inquietavano - al gufo dallo sguardo severo notato in precedenza. Di solito le avrebbe usate entrambe, ma in quell'occasione il postino piumato avrebbe dovuto accontentarsi di una sola fetta. Si fermò a un passo di distanza dall'apertura in cui la creatura riposava, spezzò la fetta di bacon in due e ne tese una verso il gufo, che dopo qualche attimo di esitazione fece scattare il becco e si servì. A pasto terminato, il gufo rivolse tutta la sua attenzione su Leah che, riconoscendo il segnale, gli mostrò l'altra metà della carne. A poco a poco, la grifondoro indietreggiò fino ad arrivare a tiro di uno dei posatoi. Quando si fermò, il gufo fissò la pancetta nella sua mano poi distese le ali e volò fino a poggiarsi sul trespolo. Cessato il frullare di piume, Leah lasciò che il gufo si servisse per la seconda volta, mentre lei ripuliva la mano su una salvietta sfilata da un'altra tasca. "Così è più facile affidargli la lettera, almeno credo. Se non altro è più facile farli uscire dalle loro... tane," con la sinistra grattò timidamente la testa del gufo, poi estrasse le lettere. Mentre recuperava il nastro con cui legarle alla zampa, il gufo spiegò le ali e diede in un verso stridulo che le fece irrigidire tutti i muscoli per la tensione. Leah si aspettava quasi di vederlo ripartire, o forse attaccarla per avere altro cibo, invece il pennuto si appollaiò nuovamente e prese a grattarsi il petto con il becco.
    "Non farmi fare brutta figura," sussurrò con un filo di voce al gufo, dopo aver tirato un sospiro di sollievo e riportato i battiti a un ritmo umano. Sarebbe stato orrendo se il gufo avesse deciso di volare via mandando in fumo la bella esibizione messa in scena fino a quel momento.


    Solo se hai familiarità con le sonorità anni '80 e hai un drago volante come animale domestico (click) :hmm:
     
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    Quell’aria cosi tesa andò a spegnersi pian piano grazie a me che riuscì a cambiare di discorso, d’altronde il problema l’avevo creato io e io dovevo rimediare, io e chi altro? Questo mio problema di dire le cose senza pensarci ce l’avevo fin da piccolo, ma il peggio ormai è passato se cosi si può dire buttando il discorso sulla mia provenienza. La sentì dire che aveva parenti in Galles per lo più a Wrexham, ne avevo sentito parlare della città, ma non ci sono mai stato, non ho viaggiato molto prima di venire qui ad Hogwarts se non per andare a Diagon Alley o qualche volta ad Abeerdeen da mia zia “Beh io abito nella Periferia di Cardiff c’è molto spazio alberi .. animali magici e non …“, dissi dicendo cose senza senso, ma magari avevo più possibilità di vederla dalle mie parti, non potevo invitarla anche perché ci conoscevamo da poco e di certo non potevo portare una grifa a casa mia. Poco dopo il discorso si chiuse concentrandosi sull’argomento principale chiedendole se poteva aiutarmi, accettò molto prontamente vedendola estrarre in un involucro bianco unto di grasso due fette di bacon croccante prendone un pezzo “Attenta Leah…“ dissi con tono preoccupato, avevo paura che le beccasse il gufo, ma il pennuto si limitò a mangiare il primo pezzo della pancetta riuscendo ad attirarlo sul trespolo. Riuscì a calmarmi per un attimo vedendo quel gufo cosi calmo dopo aver mangiato un primo pezzo di bacon aprendo le ali ed emettendo un lieve stridulo, ma tutto d’un tratto ritorno a fissare la Grifa come se già sapesse che quell’altro pezzettino di bacon le spettasse di diritto cosa che Leah gli porse lasciandoglielo mangiare e legandogli la lettera sulla zampetta, mentre lo teneva calmo accarezzandogli la testolina “ehm…. potresti poi quando hai finito fare la stessa cosa con la mia lettera…“ dissi tremolante e impaurito .
     
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    Se la memoria, più che le nozioni di geografia, valide soprattutto per il continente americano, non la ingannava, Cardiff era la capitale del Galles. Doveva per tanto trattarsi di una bella città, degna di essere visitata a prescindere dal verde - di quello ne aveva parecchio anche Seattle! - e animali, presenti in abbondanza nell'allevamento di nonno Ashfield, poco fuori Wrexham. Non era però il caso di fare distinguo ed esercitare la pignoleria nel corso di una presentazione con un compagno di classe, come non sarebbe stato adeguato dire che gli animali, per convincerla, dovessero sembrare soffici, mansueti, etichettati, se possibile, con un certificato che ne dichiarasse l'effettiva natura domestica.
    "Non ci sono mai stata, sembra un bel posto però," replicò in tono cortese.
    Se si escludevano i convenevoli, Matthew non sembrava un tipo di molte parole. Non che lei godesse di una spigliatezza tale da poter giudicare il prossimo. La sua era una semplice constatazione. In fondo, la cosa trovò il momento meno adatto per tornarle alla mente, a pochi passi dal becco di un gufo affamato, anche in aula Matthew tendeva a stare sulle sue, o almeno era quella l'impressione che aveva ricavato di lui stando agli opposti dell'aula: lui in ultima fila, lei al primo banco.
    Leah mosse un altro passo verso il gufo e la voce di Matthew la raggiunse, facendole voltare il capo nella sua direzione per un attimo. Forse era anche il modo di fare, compassato, a proiettare l'impressione che fosse un tipo schivo. Però almeno si interessava del prossimo, in modo sincero all'apparenza, e alla luce delle esperienze passate con i compagni di scuola Leah preferiva ignorare qualche minuto di silenzio imbarazzante di troppo che scherzi crudeli. In risposta, annuì con il capo, così da lasciar intendere che avesse sentito l'allerta lanciata dal compagno serpeverde.
    "Non sono così pericolosi," aggiunse, avvicinandosi ancora. E per quanto la intimorissero ci credeva davvero. Matthew però non sembrava condividere il suo ottimismo, né sul momento, né quando il gufo volò sul trespolo e neanche quando lei estrasse le lettere dalla tasca per affidarle al postino scelto. L'avvicinarsi del momento decisivo, in cui sarebbe spettato a lui ad avere a che fare con uno dei gufi della scuola, sembrava spaventarlo. Alla nuova richiesta di aiuto Leah si girò a guardarlo, le mani impegnate con spago e buste da spedire. Matthew sembrava in preda a un tremore non del tutto spiegabile con il clima. Era davvero strano vedere un tipo di stazza così imponente impaurito per delle creature tanto più piccole, quasi incomprensibile. A suo confronto, quasi si sentiva adatta a far parte della casa dei coraggiosi. Leah tornò a concentrarsi sul gufo, avvicinò le lettere arrotolate a cilindro alla zampa e legò il tutto ben saldo con lo spago. Confezionò il fiocco finale con più calma che attenzione, sfruttando il tempo per riflettere. Se in quanto a chiacchiere si somigliavano, la richiesta d'aiuto le fece capire in cosa i loro caratteri differivano. Al contrario della prima richiesta, di semplice informazioni o di una guida innocente, l'aiuto pratico richiedeva di delegare ad altri il compito da svolgere. Un po' per mancanza di fiducia, un po' per testardaggine e un po' per non dover dipendere da estranei, a lei non piaceva chiedere agli altri di fare un qualcosa al posto suo. Piuttosto preferiva rimandare, provare in un secondo momento, nel privato della camera, e tentare fino a riuscire. Per rispondere a Matthew si sforzò di trovare parole che non sembrassero dei giudizi, ma consigli, incoraggiamenti. Leah capiva la paura e non voleva che il Serpeverde ci rimanesse male, ma dovesse essere lui ad affrontare la cosa, per una motivazione difficile da spiegare però assolutamente seria e importante.
    "Mh-mh," disse scuotendo la testa. "Non è complicato, fai come ho fatto io. Se non lo fai oggi dovrai aspettare che arrivi qualcuno anche la prossima volta che vorrai spedire una lettera," cercò di far suonare la voce più naturale possibile, senza inflessioni dure o cattive. Si voltò a osservarlo, come per spronarlo ad avvicinare un gufo e tentare a sua volta la sfida.
    In quel momento si ricordò di un'altra considerazione fatta poco prima, una che avrebbe spiegato anche lo strano comportamento di Matthew per dei semplici gufi. Aveva sempre dato per scontato che fosse un mago discendente da maghi, ma poteva non esserlo, o poteva essere cresciuto come lei. Tra i babbani non era affatto comune avere a che fare con gufi e creature bizzarre.
    "Posso chiederti una cosa?" domandò al ragazzo dopo un'altra pausa, un po' titubante, come sempre quando si esponeva ed entrava negli affari di altre persone. "Quando hai scoperto di essere un mago?" forse non avrebbe svelato alcun mistero, ma magari parlare avrebbe aiutato il compagno a non concentrarsi troppo sul gufo.

     
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