Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Cerimonia di Inizio Anno

Anno scolastico 2018-2019

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    Il viaggio sull'Espresso per Hogwarts era giunto al termine, giungendo ad Hogsmeade. il cielo si era già oscurato e le stelle erano apparse timidamente tra le nuvole che coprivano gran parte della volta celeste.
    Ad attendere i numerosi studenti vestiti in abito cerimoniale nero vi erano i due guardiacaccia. La coppia non poteva essere più differente tra loro. Lo scorbutico Sandor, avrebbe guidato i ragazzi dal secondo anno in su verso le carrozze trainate dai Thestral, mentre la gentile Abigail avrebbe portato gli studenti del primo anno sulle rive del lago nero, dove numerose barchette di legno, ognuna illuminata da una lanterna di carta, erano pronte a salpare verso Hogwarts, dove il professore di erbologia Daniel Jackson li avrebbe aspettati.

    I ragazzi più grandi sarebbero arrivati per primi al castello, potendosi dunque accomodare in anticipo ai quattro lunghi tavoli disposti nella Sala Grande, ognuno dei quali avrebbe ospitato gli studenti di una delle quattro case di Hogwarts. In cima alla stanza, si trovava un tavolo rialzato per i docenti, che erano già seduti e impazienti di iniziare il nuovo anno scolastico. Alzando lo sguardo al soffitto, si poteva vedere la volta celeste esterna riflessa oltre che numerose candele sospese in aria che illuminavano la stanza. A destra del tavolo dei professori si trovavano le quattro clessidre della coppa delle case, vuote.

    L'arrivo degli studenti del primo anno, accompagnati dal professore di erbologia, fu accolto con una scroscio di applausi da parte dei presenti. Il gruppetto venne guidato di fronte al tavolo dei docenti, dove su uno sgabello era appoggiato il cappello parlante. La cerimonia dello smistamento si sarebbe tenuta a breve, i bambini avrebbero dunque scoperto in quale delle quattro case avrebbero passato i prossimi sette anni della loro vita.
    "Buonasera a tutti!" Drew Tormod Huxtable, il vicepreside di Hogwarts, risuonò nella stanza. "Siamo lieti di porgere il nostro benvenuto più grande ai nuovi studenti di Hogwarts e il nostro bentornato a coloro che si ritrovano qui dopo delle spero liete vacanze estive." Il paffuto professore si trovava in piedi dietro allo sgabello dello smistamento, sarebbe stato infatti lui a far indossare il capello al gruppo di undicenni per smistarli. "Senza ulteriori indugi, iniziamo la cerimonia dello smistamento. Ognuno di voi verrà smistato in una delle quattro case di Hogwarts, Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde. Per sette anni, la vostra casa sarà la vostra famiglia, vi aiuterà a crescere a diventare abili maghi e streghe" spiegò, mentre il cappello parlante si animava prendendo parola.

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    Forse Pensate che non sono bello
    ma giudicate da quel che vedete
    io ve lo giuro che mi scappello
    se uno più bello ne troverete.

    Potete tenervi le vostre bombette
    i vostri cilindri lucidi e alteri,
    son io quello che al posto vi mette
    e al mio confronto gli altri son zeri.

    Non c'è pensiero che nascondiate
    che il mio potere non sappia vedere,
    quindi indossatemi ed ascoltate
    qual è la casa in cui rimanere.

    Se al nobile Grifondoro sarai destinato,
    Di coraggio e lealtà di certo tu godi;
    Per le tue gesta sarai ricordato,
    E forse di te canteranno le lodi!

    Se Tassorosso è la vostra dimora,
    dentro voi brucia determinazione;
    senza boria Tosca l'umiltà onora,
    la vostra vera arma è la vostra unione.

    Dolce Corvonero di brughiera donzella,
    accoglie menti acute, laboriose e brillanti,
    che ignoranza rischiaran come una stella
    e risplendono quanto puri diamanti.

    Se in te dimorano furbizia e ambizione
    la strada tua è già stata segnata
    Serpeverde reclama la tua determinazione
    e la tua grandezza innata.

    Venite dunque senza paure
    E mettetemi in capo all'istante
    Con me sarete in mano sicure
    Perché io sono un cappello parlante!






    giphy
    Lo smistamento degli studenti ebbe inizio. Uno ad uno, in ordine alfabetico, i giovani maghi e le giovani streghe presero il posto sullo sgabello lasciando tutto nelle mani del cappello che saggiamente li assegnò alle casate. Ogni studente smistato veniva applaudito e accolto dalla propria casa con calore.
    Alla fine dello smistamento, era giunto forse il momento più atteso per tutti, o almeno, ciò valeva sicuramente per Drew. "E ora, diamo il via al banchetto! I nostri elfi domestici si sono impegnati al massimo per preparare una cena indimenticabile." Tutto d'un tratto, sui lunghi tavoli della Sala Grande apparvero centinaia di portate di cibo da rifarsi gli occhi. Il banchetto ebbe inizio, e nessuno dei presenti ci pensò due volte a darci sotto. Durante l'intera durata del convivio, i vari professori di Hogwarts presero parola per presentarsi ai nuovi studenti.
    Giunta la conclusione della cena, il professor Huxtable prese nuovamente la parola. "Bene, spero che il cibo sia stato di vostro gradimento. Prima di recarvi verso le vostre Sale Comuni accompagnati dai vostri prefetti e caposcuola, ricordo che l'accesso alla Foresta Proibita è severamente vietato a tutti gli studenti così le aree sperimentali del labirinto che contengono le piante più pericolose. E' vietato duellare per i corridoi della scuola, è permesso solo al club dei duellanti. il coprifuoco è alle 21.00, tranne durante le lezioni di astronomia, che tra l'altro è la materia che insegno." Il professore cambiò poi tono di voce, che diventò improvvisamente molto serio. "L'ultimo anno è stato abbastanza difficile per tutti noi, a causa del morbo dell'heliantus che ha flagellato la scuola. Ma quest'anno le cose andranno sicuramente meglio, anche perché sono giunte ottime notizie su una cura definitiva alla malattia. Spero che sarà un anno sereno per tutti e che avrete modo di godervelo al meglio. Bene, ora potete recarvi verso i vostri dormitori, troverete l'orario delle lezioni nelle rispettive bacheche. Buonanotte!" La cerimonia giunse al termine e gli studenti erano pronti per iniziare una nuovo anno scolastico.


    Benvenuti ad Hogwarts! In questo post potete descrivere l'emozione di essere finalmente chiamati a prendere posto sullo sgabello e veder calato sopra la vostra testa il Cappello Parlante per essere smistati nella vostra gloriosa casata di appartenenza. Gli studenti degli anni superiori possono prendere parte alla cerimonia se lo desiderano.

     
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    Nathaniel Deòir
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    Suo nonno sarebbe letteralmente impazzito, rinchiuso tanto tempo e circondato da ragazzine, ma Nathaniel poteva affermare di essersela cavata. La presenza delle giovani non gli aveva creato alcun problema e, a parte i timori iniziali della fauna femminile, di cui non capiva l’origine, era andato tutto bene.
    Ma poteva essere colpa sua, a volte era troppo invadente, e non sarebbe mai stato così timoroso di avvicinarsi agli altri.
    Con il sopraggiungere delle tenebre, aveva avuto tutto il tempo per andare a cambiarsi e non vedeva l’ora di scendere dal treno, rimanere tanto tempo fermo e in attesa gli era insopportabile, per quanto la compagnia e la gazzetta gli avessero reso la traversata abbastanza sopportabile.
    Alcune stelle brillavano in cielo, dibattendosi tra le nubi che tentavano di oscurarle, quando vennero raggiunti da due individui. L’abito da cerimonia lo faceva sentire impacciato, forse avrebbe dovuto prestare più attenzione da Madame McClan si disse, quando la poca luce presente venne catturata da una figura.
    Spalancò gli occhi alla vista di un uomo, alto come una montagna e dall’aria pericolosa, gli sembrò quasi di avere un déjà-vu del passato, gli piacque subito e avrebbe preferito andare con lui per quanto una donna mora li accolse col sorriso.
    Da quanto aveva capito non esisteva una sola strega brutta o mediocre, al mondo, e quello era un bene, almeno per lui.
    Notò il gioiello che le brillava al dito, e la seguì, non senza una punta di delusione visto che l’altro gli ricordava sia gli uomini delle Highlands che i cattivi dei film western che piacevano tanto a sua mamma.
    I due erano come il giorno e la notte, al che dovette portare lo sguardo sulla guardiacaccia e seguire gli altri undicenni intenti ad avviarsi verso il lago nero.
    La barchetta sembrava un giocattolo, con la lanterna in carta e l’odore dell’acqua ferma, nel buio era come navigare su una macchia d’inchiostro e le luci della scuola erano l’unico faro per raggiungere la destinazione. Non occorrevano remi ne motori, bastava lasciar andare l’imbarcazione che li avrebbe condotti a destinazione, guidata da forze invisibili.
    Per un attimo l’ondeggiare, unito alla limpidezza del cielo e ai riflessi sull’acqua, lo riportarono a Inverness e al fiume Ness, ma scacciò subito la malinconia, non riuscendo a resistere al desiderio di alzarsi in piedi, rischiando perfino di finire in acqua, il che avrebbe rovinato il suo abito di sartoria, un altro ottimo motivo per fare un bagno notturno. Per quanto non volesse farsi riconoscere ancor prima dell’inizio delle lezioni.
    Vennero accolti dal professore di erbologia, ed in quel momento gli fu chiaro che l’aspetto fisico non concernesse solamente le streghe, oppure erano i babbani che dovevano accontentarsi di una concezione di bellezza così ordinaria, probabilmente avrebbe dovuto curarsi di più si disse mentre le ciocche biondo cenere non erano assolutamente d’accordo con la questione.
    Anche lui era alto e li fissava coi suoi occhi azzurri e un’aura positiva addosso, sembrava incredibilmente soddisfatto di qualcosa eppure non capiva di cosa, si presentò come insegnante di erbologia, al che tentò di sfuggire al suo sguardo, da dietro gli occhiali, era sempre stato negato in qualunque cosa prevedesse della botanica, anche se la natura selvaggia gli piaceva.
    Quando entrarono nella sala grande questa era già gremita di alunni, i tavoli erano pieni di studenti degli anni superiori, enormi clessidre vuote li aspettavano da un lato mentre gli insegnanti stavano di fronte a tutti, come su un palcoscenico, seduti ad un lungo tavolo. Fu distratto dalle candele fluttuanti e decise che doveva procurarsene una prima o poi, mentre il brusio diventava sempre più forte e i ragazzini fremevano: chi all’idea di raggiungere i fratelli e chi non vedeva l’ora di essere smistato.
    Nathan era un po’ combattuto, in casa sua non si andava poi così d’accordo e i caratteri, come le abitudini dei diversi parenti, apparivano chiari. Suo nonno era stato un Ex-Grifondoro, sua madre un’Ex-Corvonero...il suo fratellino invece appariva così dolce e mansueto da non assomigliare a nessuno di loro, almeno finché non s’impuntava su qualcosa al che le sue urla si sentivano da Londra a Edimburgo.
    Perciò non sapeva davvero cosa pensare, né in cosa sperare, lui voleva unicamente essere scelto, così com’era avvenuto con la sua bacchetta, ma questa volta non sarebbe stato qualcosa di passivo, da quanto aveva capito sarebbe stato un cappello magico, parlante, a smistarli, e non vedeva l’ora di conoscerlo.
    Gli sguardi degli studenti più grandi non lo toccarono minimamente, mentre avanzava per la sua strada, la timidezza non sapeva nemmeno cosa fosse il biondo e fissava tutto coi suoi occhi verdi, tenaci, invadenti e del tutto privi di ogni remora o giudizio affrettato. Occhi in qualche modo forse troppo onesti, che passò da un professore all’altro, terribilmente curioso riguardo ognuno di essi, era la prima volta che si trovava con tanti maghi e streghe, così si fermò guardandosi alle spalle e di lato, per osservare gli studenti, gli sembrava che il cuore potesse esplodergli in petto, aveva voglia di salire su un tavolo per avere una visuale migliore.
    In quell’istante uno scroscio di applausi accompagnò la loro avanzata, così il ragazzo si rimise in posizione finché non si fermarono di fronte al tavolo dei docenti. Lì su uno sgabello era poggiato uno strano ammasso di stoffa scura, che pareva usurata nel tempo e rattoppata, aveva un che di vissuto e gli servì una seconda occhiata per capire che era quello “Il Cappello Parlante”, al che gli occhi s’illuminarono, ma quanti oggetti magici poteva scoprire in una sola giornata?
    La voce del vicepreside Huxtable lo riportò alla realtà, col suo benvenuto, e fu costretto a sollevare lo sguardo dal cappello, fino ad arrivare alla figura dell’uomo alle sue spalle, sarebbe stato lui allora a gestire l’evento.
    Avere una seconda famiglia non sembrava male, anche se già gli mancava la prima, ma ogni pensiero malinconico venne spazzato via quando l’oggetto cominciò a parlare. Trattenne il respiro, tanto sorpreso che perse le prime due strofe prima di sentirsi un completo idiota, insomma se era il cappello parlante…allora doveva pur dire qualcosa.
    Certo non si era aspettato un’intera poesia, nenia o introduzione. Alcune rime non erano proprio azzeccate, ma spiegava chiaramente cosa sarebbe accaduto.
    Non sapeva davvero cosa avrebbe potuto calzargli, non si riteneva uno stupido ma nemmeno un genio, faticava per ottenere risultati ma era abbastanza ambizioso da impegnarsi allo spasmo per guadagnarli, d’altro canto era fedele alla sua famigli o almeno a quelli che riteneva la sua famiglia, visto che suo padre non avrebbe mai più avuto il privilegio di sentire il suono della sua voce o di poggiare lo sguardo su di lui.
    Una volta che l’essere, la creatura, l’indumento o quello che era, ebbe finito, l’insegnante di astronomia iniziò a chiamarli uno ad uno, secondo suo nonno era la materia perfetta per fare colpo su una ragazza, personalmente le stelle gli erano sempre piaciute ed erano utili per orientarsi.
    Li chiamarono in ordine alfabetico, quindi non dovette attendere troppo a lungo mentre osservava incuriosito i ragazzini che sedevano sullo sgabello in legno e si facevano mettere il cappello in testa, questi sapeva esattamente dove indirizzarsi e andava a colpo sicuro, a differenza dell’assistente di Olivander, dal quale aveva dovuto fare ben tre tentativi, prima di trovare ciò che cercava o meglio ciò che lo cercava.
    Gli applausi si sprecavano per ogni nuovo arrivato in una determinata casata, e quando sentì chiamare il suo nome si bloccò un istante, prima di avanzare sicuro e prendere posizione. Sollevò lo sguardo tenendo la testa dritta, ma l’interno del cappello era vuoto, nessuno scintillio o sventolio di bacchetta da parte dello stregone alle sue spalle.
    Ma se anche aveva avuto dubbi, appena lo sentì addosso comprese che era una cosa viva, le pieghe del tessuto si muovevano simili alle spire di un serpente, il materiale di cui era fatto gli ricordava però il cuoio, morbido e dal buon odore, gli sembrava forte, tanto da potergli girare la testa a suo piacere.
    Iniziò a bofonchiare e lo sentì vibrare, rise quando i suoi capelli indomabili gli fecero il solletico al che poté solamente sorridere.
    “Non ho dubbi…Grifondoro!” esclamò alla fine, almeno uno dei due non ne aveva si disse mentre si alzava per raggiungere il tavolo della sua casata, ricevendo applausi moderati e ancora abbastanza attivi che si sarebbero probabilmente smorzati con l’aumentare dei nuovi arrivati.
    Cominciarono le presentazioni in quel marasma, intervallate dagli applausi finché non apparve il banchetto. Di colpo i tavoli da vuoti divennero imbanditi, e sentì il suo stomaco addirittura ringhiare, altro che gorgogliare. Mangiò avidamente, sentendo la tensione scemare e bloccandosi quando uno dei professori prendeva la parola, sfortunatamente era certo che avrebbe faticato a ricordarsi i loro nomi e le materie finché non li avesse avuti a lezione.
    Il vicepreside prese di nuovo la parola a quel punto, e per quanto pieno riuscì a capire che la Foresta Proibita era effettivamente proibita, così come un labirinto che non sapeva dove fosse. Il coprifuoco era alle nove di sera, a parte per le lezioni di astronomia, ma soprattutto esisteva un Club dei Duellanti!
    Tutto il divertimento però svanì, quando la voce dell’uomo si fece tetra e tutti divennero seri, ci furono le ultime rassicurazioni, gli ultimi saluti e tanti sorrisi, grazie alla notizia della nuova cura, prima che fossero inevitabilmente congedati.
    Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala.
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    Edited by Reiz - 1/9/2018, 23:45
     
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    narrato - parlato - pensato

    Ritornare ad Hogwarts per l'inizio effettivo di un nuovo anno scolastico era per Levon emozionante come non mai. Non pensava che la sua avventura da docente sarebbe durata abbastanza da potersi permettere di rivivere quel momento dal lato del lungo tavolo dei docenti, vedere lo smistamento dalla parte dei grandi era sempre stata un'esperienza che aveva desiderato vivere ed adesso poteva vedere come ad uno ad uno i giovani studenti del primo anno vivevano il loro momento di introduzione effettiva al mondo magico. Lasciò poggiare la schiena contro la pesante sedia di legno, mentre il collo scricchiolava sotto i lenti movimenti studiati per liberare le tensioni di un'estate fortemente basata sullo studio. Continuo, eterno, perenne. Come Etienne, alla fin fine. Il quale aveva finalmente deciso di ritornare a casa dopo un lungo viaggio nell'America del Sud. Anche rivedere i vecchi colleghi era un'esperienza fondamentalmente piacevole, incontrare di nuovo quegli sguardi, potersi permettere dei momenti di placido convivio in sala professori, informarsi, crescere, studiare. Era così, la sua vita, e non poteva immaginare gli sarebbe piaciuta così tanto. Shane era stato riconfermato preside e Drew - per sfortuna di Levon - era riuscito a soffiargli il posto di vicepreside. Inspirò lentamente e si ripeté, come faceva sempre, che se non lo stimasse come docente sarebbe stato decisamente più contrariato della sua elezione. Beghe burocratiche a parte, adesso si apprestava ad annunciare l'inizio effettivo del banchetto.
    Fra lo scoccare di bocche ed il tintinnare di posate, Levon attirò l'attenzione dei docenti attivando la propria aura che, grigia, s'espanse in un intenso profumo di lavanda per tutta la sala. Mentre le volute di fumo circondavano iridescenti il proprio corpo, il mezzo veela s'alzò, lasciando che l'attenzione degli studenti si rivolgesse tutta nella propria direzione. Chiuse gli occhi, mentre l'aura leggermente si riassorbiva, con il risultato d'aver avuto uno scenico modo per prendere la parola. «Buonasera a tutti, giovani studenti, ma anche quelli con cui ci siamo già visti l'anno scorso. Io sono Levon Bresc, docente di Alchimia. Il mio corso inizierà dal vostro secondo anno - ovvero dal primo anno del percorso gufo - ma spero di fare la conoscenza anche con voi giovani studenti di primo anno. Chissà, tutto da decidere con i nostri preside e vicepreside» sorrise, indicando con entrambe le mani i colleghi, prima di puntare gli occhi verdi nella folla «sono un ex Grifondoro e, come voi, ho vissuto questo momento e tutti i meravigliosi sette anni che ne conseguono. Mi raccomando, non sprecateli e viveteli al massimo.»
    Si sedette, prima di lanciare un'occhiata al resto del corpo docenti, concentrandosi nelle parole che avrebbero scelto per presentarsi.

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    Edited by TheFedIvan - 2/9/2018, 17:46
     
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    Frederick Thorborn

    sheet • Halfblood • I anno • Grifondoro

    Ricapitoliamo. Sono un mago. Frequenterò uno nuova Scuola. Di magia, per la precisione. Londra nasconde una via magica. Ho una bacchetta magica. Ho attraversato un muro e salito su un treno dal binario 9¾, tra i binari 9 e 10. Ho mancato per un morso una rana di cioccolata. Ho attraversato un lago -credo- a bordo di barche spinte dal nulla insieme ad altri ragazzini della mia età. Tutti mille volte più consapevoli rispetto a me di quello che stava accadendo, ovviamente. Non male per una sola estate, non trovate?
    In prossimità del molo, le barche cominciarono a rallentare. Tantissime luci gialle si stagliavano sopra di me, illuminando quelle che dovevano essere le finestre. Stavo per cadere, cercando di guardare il più in alto possibile. Quel castello -si, perché io avrei studiato in un castello- era enorme e si reggeva praticamente sugli scogli. Il guardiacaccia che ci aveva scortato sulle barche, ci portò all'ingresso principale. Seguii gli altri bambini cercando di stare nel mezzo, né tra i primi e né tanto meno tra gli ultimi. Era buio là fuori!
    «Wow!» Altissimi muri di pietra con fiaccole, lunghi corridoi e maestose statue si presentavano alla mia vista una volta varcato il portone d'ingresso. Sfilammo in una gigantesca sala da pranzo con quattro, ah no cinque tavoli enormi. Uno di questi, quello messo in orizzontale, era l'unico al quale erano seduti degli adulti, gli altri ospitavano gli studenti. La mamma mi aveva spiegato che ad Hogsmeade... Hogwarts, per la miseria! Ad Hogwarts c'erano quattro casate: Corvonero, i migliori, Serpeverde, Grifondoro e Tassorosso. Lei era una corvonero e vantava con orgoglio lo stemma della sua casa. Sarei voluto finire tra i Corvonero per seguire le orme di mia madre, in più il blu era il mio colore preferito. Tuttavia, mi aveva spiegato che ogni Casata aveva la sua peculiarità e non c'era nessuna che fosse minore dell'altra. Il Cappello cantò. Si, un cappello cantante. La magia mi faceva impazzire!
    Ad uno ad uno, un docente chiamava i nostri cognomi, ci faceva sedere su uno sgabello e indossavamo il Cappello. Quello di prima. Era lui a decidere la nostra casa per sette lunghi anni. Non sapevo come, ma la mamma diceva che era infallibile. Gridava il nome dei quattro Fondatori ad ogni studente. Io sarei stato uno degli ultimi, visto che il mio cognome inizia con la T. Sobbalzai quando fu il mio turno. Il cuore palpitava nel petto, avevo paura. Non so dire di cosa, ma avevo paura. Mi ressi allo sgabello, tenendolo fermo con le mani mi sedetti. Ci mancava solo che cadevo davanti a tutta quella gente. Il docente poggiò il cappello sulla mia testa. Non trascorse neanche un attimo, forse non si poggiò neanche davvero. «GRIFONDORO!» Ovazione, grida e applausi. Vidi una tavolata starnazzare e dedussi che i Grifondoro si trovavano da quella parte: non avevo prestato molta attenzione ai bambini prima di me. Grifondoro? Perché Grifondoro? Cercai di ricordare quello che mi aveva detto mia madre e la canzone del Cappello Parlante. Aveva detto coraggio e lealtà. Gesta da ricordare e lodi da cantare. Bè, ero un bambino leale. A differenza dei miei fratelli non facevo dispetti agli altri e non sapevo raccontare le bugie. Ma coraggioso? Io che giravo con un peluche nello zaino pur di non restare solo? Che lodi vuoi cantare su di me? Di come quella volta sono inciampato nei miei stessi lacci? Mia madre aveva detto che il Cappello era infallibile, ma secondo me si stava sbagliando.
    Riconobbi il ragazzino biondo: l'avevo visto salire sulla barca prima di me. «Ehm... Ciao! Mi chiamo Frederick, ma tutti a casa mi chiamano Freddie!» Allungai la mano destra e sorrisi.

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    Nathaniel Deòir
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    Ragazzi e ragazze continuavano ad aggiungersi ai vari tavoli, i colori sembravano identificarli come tanti uccelli variopinti e non poteva evitare di sorridere, al punto che il volto gli faceva quasi male, dopotutto si trovavano ad una grande festa.
    I suoi capelli erano ancora più disordinati, grazie all’intervento del cappello parlante, ma non gliene importava minimamente, tentare di sistemarli con le mani inoltre avrebbe solamente peggiorato la situazione.
    Il rosso e l’oro gli piacevano, erano colori per re e potenti, in più l’oro era superiore all'argento da sempre, era un dato di fatto e suo nonno sarebbe scoppiato di gioia, quindi avrebbe potuto vedergli fare un secondo sorriso in tutto l’anno.
    Anche verso la fine furono chiamati altri grifondoro, i palmi erano caldi a causa dei numerosi applausi e tutti non vedevano l’ora di mangiare. Fortunatamente il banchetto non si fece attendere e cominciarono i festeggiamenti, bloccò la mano a mezz’aria, allontanandola da quello che aveva tutta l’aria di essere un dolce magico, quando qualcuno parlò nella sua direzione.
    Era stato così preso dal pasto da non guardare nient’altro, certamente passare la giornata facendo solamente colazione era stata una pessima, ma pessima, idea.
    L’altro era un ragazzino della sua età, il che fu un sollievo dopo tutte le femmine con cui era stato sul treno, gli piacevano le ragazze ma non era davvero abituato ad esserne circondato, in casa c’era solo sua madre oltre a suo nonno e suo fratello.
    “Nathaniel, chiamami Nathan”, sperava vivamente che usasse il suo soprannome si disse mentre gli stringeva la mano con la propria, una presa sicura, così la chiamava suo nonno, che non fosse troppo forte né troppo debole, ovviamente col gentil sesso doveva essere diversa ma a volte non capiva i discorsi o i motivi del vecchio.
    Era addirittura più magro di lui e appariva più piccolo, i maschi comunque maturavano dopo, aveva trovato un sacco di studentesse più alte prima di arrivare lì.
    Sorrise annuendo “Freddie” ripeté, per ricordarselo, e il sorriso si allargò, suo fratello minore si chiamava Kendrick come suo nonno, ma tutti lo chiamavano “Rick” per non confonderli, un nomignolo che sarebbe andato benissimo anche per il nome Frederick “Potrebbe capitarmi di chiamarti Rick, è il soprannome del mio fratellino” aggiunse divertito, seppur nessuno gliel’avesse chiesto.
    A metterlo di buon umore erano anche i capelli rossi, sapevano di casa, come le sue lentiggini “Di dove sei?” chiese d’istinto, non aveva l’aria dello scozzese o dell’irlandese ma il rosso non mentiva, qualche antenato doveva esserci per forza.
    Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala.
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    Interagisco con Dave.

    Edited by Reiz - 2/9/2018, 14:43
     
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    «Nathan!» Ripetei nella mia mente, focalizzando i lineamenti di quel ragazzino biondo davanti a me. Sorrideva e aveva l'aria simpatica. Il papà aveva detto che mi sarebbero serviti degli amici in un posto tanto nuovo e sconosciuto. Fu grazie a lui che raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo e mi presentai. Coraggio. Forse era per questo che sarei stato ricordato nei secoli. Il bambino più coraggioso di tutta Hogwarts che durante il banchetto ebbe l'ardire di presentarsi ad uno sconosciuto! Bè, un po' poco come gesto da ricordare ma, a mio dire, era il massimo che ci si poteva aspettare da me. Abbozzai una risata quando mi parlò del nickname affibbiato al suo fratellino. Effettivamente Rick poteva andare benissimo anche per me, eppure sperai con tutto me stesso che nessuno mai mi chiamasse con quel nome. Freddie era il mio diminutivo e mi piaceva un sacco. Papà, la mamma, i miei fratelli e i nonni mi chiamavano in quel modo. Sentire Freddie in quel luogo anomalo era un po' come sentirsi a casa. Era via da casa solo da poche ore ma mi mancava tantissimo. Mi mancavano persino Flyodd e Finnick. Mi sembrava sgarbato però rispondergli male, perciò optai per un diplomatico «Ok!» ed un sorriso il più sincero possibile.
    Le pietanze nel frattempo erano apparse dal nulla sui tavoli. Nathan cominciò a mangiare ed io lo imitai. C'era lo stufato di carne davanti a me, proprio l'unico piatto comprensivo di verdure che si avvicinava alla mia bocca. Mi chiesi se anche quella fosse magia. Il mio calice si riempì di un succo arancione, lo bevvi e mi resi conto di non aver mai assaggiato nulla di simile. Era buono però. Non sapevo cosa fosse, ma era buono. «Liverpool!» Risposi frettolosamente. «Cioè, abito a Liverpool da quando ho uno o forse due anni credo. Ma sono nato a Blackford, in Scozia!» Tutti parlavano della Scozia con malinconia. Ero andato a trovare i nonni prima che si trasferissero, tanti anni fa. Una terra certamente stupenda, ma non riuscivo a sentire quel sentimento di mancanza che tutti nella mia famiglia provavano. «E tu, Nathan?»
    Continuai a mangiare a più non posso, senza fermarmi. L'ansia del primo giorno era ormai passata e aveva lasciato il posto alla fame. «Tu... Tu sapevi della magia prima di venire ad Hogwarts?» Forse non era una domanda da banchetto e tanto meno da prima conoscenza. A mia discolpa posso dire che a undici anni non conoscevo la differenza tra una domanda opportuna ed una che non lo fosse.

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    Nathaniel Deòir
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    Era riuscito ad acchiappare quello che sembrava un toast al formaggio, quando si sentì rispondere.
    Nel sentire pronunciare Blackford il sorriso si ampliò ulteriormente e gli occhi verdi brillarono “Lo sospettavo, io sono cresciuto sulla Royal Mile”.
    Quello era davvero un colpo di fortuna, insomma certo i maghi presenti ad Hogwarts provenivano dall'Inghilterra, ma erano nati comunque vicini.
    Certo Edimburgo era enorme ma l’idea gli piaceva tantissimo, afferrò quindi un panino prima di continuare, ripensando al paesaggio e all’aria della Scozia, gli mancava un sacco “Da un anno vivo fuori Londra” spiegò poi, prima che i profumi provenienti dal tavolo li spingessero ad ingurgitare qualunque cosa avessero davanti, era meglio della cucina di sua madre e lei non avrebbe mai dovuto sapere che l’aveva pensato riflettè.
    La domanda seguente del rosso lo lasciò un attimo sorpreso, ma pensandoci suo nonno gli aveva spiegato che vi erano dei ragazzi che avevano scoperto di possedere la magia solo ad undici anni, si chiamavano nati babbani se non sbagliava, ma non era un termine gentile, anche perché la magia era genetica quindi avevano comunque antenati maghi.
    “Mio padre è un babbano, mamma una strega, ho scoperto la magia da poco” ammise senza alcun imbarazzo o esitazione, prima di afferrare un boccale identico a quello che aveva preso il rosso, assaggiandone il contenuto, era dolce e gli ricordava un gusto familiare, doveva essere succo di zucca ma in casa non lo consumavano spesso.
    Il ricordo di suo padre era spiacevole ma nulla gli impediva di godersi la conversazione “Quando è arrivata la lettere mia madre era sconvolta. Non avevo mostrato molto potere da piccolo, quindi si era convinta che non sarei stato ammesso”, quella storia si ripeteva spesso in casa sua, era stato un bambino tranquillo finché non era cresciuto.
    “Mio fratello ha già dimostrato di essere un mago, una volta ha pianto talmente forte da far esplodere le finestre e mio nonno ha riso per tutto il tempo…mentre mia madre urlava…” era strano parlare di cose del genere ad un compagno di casata appena conosciuto, ma complice un po’ la nostalgia, e quell’ambiente caldo e traboccante allegria, non era riuscito a resistere “Tu hai sempre saputo di essere un mago?” chiese sinceramente curioso.
    Sua madre e suo nonno erano purosangue, quindi da sempre consapevoli del loro ruolo e dei propri antenati, un po’ invidiava la loro sicurezza ma essere un mezzosangue gli permetteva di conoscere perfettamente due mondi e viverci, perciò alla fine vinceva lui.
    “Guarda quella!” disse poi indicando la torta di zucca più grande che avesse mai visto.
    Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala.
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    Frederick Thorborn

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    Lo sospettava, diceva. Ma cosa sospettasse non l'avevo mica capito. Sbarrai gli occhi quando mi disse di essere cresciuto ad Edimburgo, sulla Royal Mile. Finnick e Flyodd mi raccontavano spesso di quanti negozi di videogiochi ci fossero ad Edimburgo e di quanto quella via in particolare avesse le migliori botteghe di tutta la Scozia. Sorrisi sinceramente questa volta. Avrei tanto voluto anche io conoscere bene quanto quel biondino la mia terra natale. «Ma dai!» Come me, anche Nathan si era trasferito in Inghilterra solo che la sua residenza era molto più giovane della mia. Io la abitavo da dieci anni praticamente, lui solo da uno. Se non fosse stato per la magia non ci saremmo mai incontrati e la cosa mi sarebbe molto dispiaciuta, sebbene lo conoscessi solo da pochi minuti.
    Fortunatamente la mia domanda non si rivelò scomoda come sicuramente mia madre avrebbe ritenuto. Lei era sempre perfetta e sapeva fare conversazione molto più di me, dei miei fratelli e di mio padre messi insieme. D'altronde, lo diceva sempre, noi siamo maschi e abbiamo un crosomona in più che non ci permette di essere perfetti come le femmine. Diceva qualcosa del genere. Lo diceva sempre. Non capivo mai cosa volesse dire, ma non doveva essere un'offesa. Nessuno se la prendeva a male in casa, e anche io non lo facevo.
    Ascoltai con attenzione il racconto del biondo, mentre mettevo in bocca qualsiasi cosa mi passasse davanti. Dovevo aver mangiato purè, carni varie tra cui sicuramente del pollo, pane dolce e salato, tutto insieme. Risi al racconto dei vetri rotti dal pianto del fratellino. Doveva avere un bell'acuto quel piccoletto. Magari avrebbe intrapreso la carriera di cantante, piuttosto che quella di mago. Mi sorpresi di quante cose avessimo in comune io e quel ragazzino sconosciuto. «No, la mamma non mi ha mai detto niente e papà è un babbano.» Ammisi con entusiasmo, come se fosse una cosa straordinaria essere in quella scuola pur non avendo entrambi i genitori magici. «Pensa che io non ho mai manifestato la magia, tanto che mia madre pensava di non averla trasmessa a nessuno dei suoi figli. Per questo non sapevo nulla di tutto questo prima di un mese fa circa.» Mi fermai: non gli avevo ancora accennato dei miei fratelli. «Siamo in tre, tutti maschi. Flyodd, Finnick e poi ci sono io, che sono il più piccolo!» Avevo la bocca piena, chissà se aveva capito. «E tua madre era una Grifondoro come noi?» Chiesi curioso.
    Nel frattempo, immaginavo, dietro di me si era manifestata una torta dall'aspetto delizioso. Ero troppo impegnato a raccontarmi a Nathan ed al tempo stesso ad ascoltare i suoi di racconti. Ne presi una fetta e la passai al mio nuovo amico. Sembrava davvero buonissima: ora ne volevo una anche io. Mi voltai di fretta e feci cadere il mio succo di zucca con il gomito. «Oh no!» Mi ero bagnato i pantaloni e ora sembrava che me la fossi fatta addosso. Uffa! Una ragazza più grande di noi si apprestò a pulire tutto con la sua bacchetta magica, mentre notavo il mio calice riempirsi da solo. Rimasi a bocca aperta. «Wooow! Gra-grazie, signora!» Signora. L'avevo chiamata signora e non me ne facevo neanche un problema, anzi non me n'ero nemmeno accorto. «Tu sai fare una cosa del genere?» Ragazzi, la magia era fantastica!

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    Nathaniel Deòir
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    Stava decisamente mangiando più del dovuto, ma essere liberi ogni tanto faceva bene, suo nonno borbottava sempre quando sua madre lo costringeva a rimanere a stecchetto, il che lo portava a bere e fumare di nascosto.
    Si sentiva a suo agio con Freddie, di solito faceva conoscenze in fretta ma non si sentiva così rilassato, un altro paio di succhi di zucca e avrebbero potuto ballare insieme sul tavolo, ma quanto erano dolci quelle bevande?
    Seguì la risata dell’altro al ricordo del fratello, già gli mancava nonostante fosse un danno collaterale.
    Nessuno poteva toccarglielo ma era chiaro che il suo compagno di casata fosse davvero divertito, e che non intendesse canzonarlo in alcun modo.
    Era certo che il suo stomaco l’avrebbe tormentato quella notte: dolce, salato, di nuovo dolce, piccantino, passando poi alla carne, alle patate, e ad un mix di tante altre cose. Tutto ciò non gli sarebbe andato a genio.
    Sembrava che lui e Frederick avessero un sacco di cose in comune, era davvero sorpreso e si fece un attimo serio quando gli parlò dei suoi genitori e di come sua mamma gli avesse tenuto nascosto il mondo magico “Credo lo facciano per proteggerci, insomma essere figlio di maghi e non avere la magia…sarebbe tremendo”, si poteva benissimo vivere anche senza, lui lo sapeva, ma avere la costante sensazione che mancasse qualcosa doveva essere complicato.
    “Ad ogni modo io vorrei saperlo, anche se fossi un magonò. All’inizio risulterebbe difficile, ma ne varrebbe la pena” l’idea era triste, ma dopo ciò che era accaduto alla sua famiglia poteva affermare che fosse così, suo padre era stato un debole e un codardo, non aveva saputo accettare la verità, erano diversi.
    Tornò allegro per poi abbassare spalle e orecchie al racconto dei fratelli dell’altro, rimanendo un attimo bloccato, di certo non voleva giudicare la madre del rosso o la propria, per i suoi parenti doveva essere stato traumatico scoprire che solo lui aveva ereditato la magia.
    Si sentì subito in colpa, ma la voce dell’altro non era cambiata quindi, forse, per loro era stata una buona cosa, “I tuoi hanno gusto in fatto di nomi” aggiunse sincero riguardo alla scelta, erano tutti con la “F” iniziale.
    “Come l’hanno presa?” domandò, riguardo i maggiori, ancor prima di rendersene conto, scuotendo immediatamente la testa “Se non vuoi parlarne tranquillo, tendo ad essere indiscreto a volte, me lo dicono sempre”.
    Vedere l’altro con la bocca piena gli fece tornare l’appetito e il buonumore, il passato era beh passato dopotutto. Sorrise più apertamente alla domanda successiva “Lei è Corvonero fino al midollo, ha detto che passerò l’estate a recuperare il programma scolastico babbano”. In effetti non averla lì era un altro bonus della scuola, per quanto gli desse una certa sicurezza averla accanto.
    “Mio nonno è un Ex-Grifondoro, non vedo l’ora di scrivergli” avrebbe dovuto aspettare ma non tutti gli studenti dovevano essere ansiosi di comunicare con la famiglia, inoltre doveva usare gli allocchi di palude forniti dalla scuola perchè l’Ex-Corvonero, con cui viveva, non sopportava gli animali e l’Ex Auror non sopportava le sue lamentele, così lui in definitiva non possedeva un gufo.
    Accettò immediatamente la fetta, il rosso era riuscito a conquistarlo davvero in fretta e stava già per addentarla quando un movimento sbagliato dell’altro fece finire il boccale steso sul tavolo, rovesciandone inesorabilmente il contenuto.
    Un’alunna più grande fortunatamente sistemò subito la questione, così Nathan abbassò il fazzoletto che stava per passargli, era un bene che i membri della stessa casata si dessero una mano.
    Era stata veramente rapida, al che scosse la testa alle parole dell’altro “Se sapessi farlo mia madre mi costringerebbe ad utilizzarlo all’infinito…credo si tratti dell’incantesimo gratta e netta”, era quasi assurdo come la magia potesse servire in ogni ambito esistente, non vedeva l’ora di andare oltre e compiere il passo successivo.
    “Non vedo l’ora che ci sia la prima lezione di volo”, suo nonno gli avrebbe regalato volentieri una scopa, ma come sempre la matriarca aveva avuto la meglio, comunque nulla poteva impedirgli di usare quelle fornite dalla scuola di magia e stregoneria.
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    Sentirlo parlare dei miei fratelli e di cosa fossero mi fece riflettere. Non ci avevo mai pensato a come si potessero sentire loro. Io ero euforico, emozionato, intimorito e tante altre cose insieme. Ma loro? Dopo tutti questi anni, senza il minimo preavviso, scoprivano di avere un fratello con poteri magici. Già, perché Finnick e Flyodd conoscevano bene la vera natura della mamma, così come il papà e i genitori di lui. Lei ne aveva parlato e i miei fratelli avevano avuto rispettivamente quattordici e quindici per abituarsi all'idea di essere... quella cosa che aveva detto lui prima. Io però non mi ero mai soffermato a pensare come si sentissero davvero, se non fosse nulla di grave oppure se mentissero ne soffrissero. Strano, visto che tra i tre ero certamente il più sensibile, che per quei due significa femminuccia e mammone.
    Non avevo dubbi che un tipo sveglio come Nathan cogliesse subito la particolarità della mia famiglia. Risi felice che se ne fosse accorto: era una cosa che raccontavo sempre con orgoglio. «Anche la mamma e il papà si chiamano con la F: Freya e Finley!» Scossi la testa per fargli capire che era tutto a posto: avevo ancora la bocca piena e non potevo parlare. «E-Esatto! Loro sono... come hai detto prima? Magonò?» Arricciai il naso e socchiusi gli occhi. Quella parola non mi piaceva affatto. Preferivo babbei babbani. «Non posso crederci!» Lo interruppi. «Anche mia madre è una Corvonero!» Lo dissi mentre mi toccavo il petto con la mano, come per dare più enfasi a quello che stavo dicendo o per giurare senza farlo per davvero. Eravamo entrambi scozzesi, entrambi mezzosangue ed entrambe le nostre madri appartenevano alla casa di Priscilla. Avendo la stesa età, non era neanche così improbabile che avessero frequentato la scuola insieme. Certo, la mia doveva essere tre o quattro anni più grande avendo già un figlio di quindici anni. Anche suo nonno era stato ad Hogwarts ed apparteneva alla nostra stessa Casa. Nathan voleva scrivergli il prima possibile. «Se non hai un gufo, puoi usare Mr. Beak, il mio barbagianni.» La mamma mi aveva detto di scriverle una lettera appena arrivato ad Hogwarts ma non l'avrei fatto davvero tanto presto. Entrambi lo sapevamo e Mr. Beak avrebbe avuto il tempo di andare e tornare. «I miei nonni invece sono tutti babbani. Mia madre è una Magosì!» Se quelli senza poteri nati dai maghi si chiamavano Magonò, quelli con i poteri nati da babbani dovevano chiamarsi per forza Magosì. Era chiaro, nella mia mente. Infatti lo dissi con una naturalezza così spontanea che non poteva non essere vero.
    Dopo il casino che avevo combinato, bevvi un altro po' di succo di zucca stando attento poi a posare il bicchiere. Gratta e netta sarebbe stato uno dei primi incantesimi che avrei voluto imparare. Ero un disordinato cronico e combinavo sempre pasticci di quel tipo: una magia del genere mi sarebbe tornata utile in più occasioni. «Hai già controllato l'orario delle lezioni?» Io ovviamente no. Speravo che qualcuno lo facesse per me. «Sono super emozionato per la prima lezione e anche io non vedo l'ora di volare, ma a dire il vero spero di prendere dimestichezza con la magia prima di montare su una scopa.» Attorno a noi c'erano centinaia di studenti che parlavano, ridevano e pensavano ai fatti loro tuttavia io ritenni comunque necessario avvicinarmi al mio nuovo amico e parlargli nell'orecchio. Sapevo che non era buona educazione farlo, ma mia madre non era lì a vedermi. «Ho un po' paura!» Tornai nella mia posizione normale, mi massaggiai la pancia. Avevo decisamente mangiato troppo. «Tu l'hai mai fatto? Volare, intendo!»

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    Nathaniel Deòir
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    Era contento che l’altro non se la fosse presa per i suoi commenti, involontariamente indelicati, sarebbe stato davvero un peccato altrimenti.
    Non voleva sentirsi a disagio con lui, perché Freddie aveva tutta l’aria di essere il suo primo amico ad Hogwarts, finire in stanza assieme sarebbe stato grandioso e avrebbero potuto spalleggiarsi durante quel primo anno.
    Lo guardò con autentica sorpresa, quando scoprì che anche i genitori avevano la stessa iniziale dei figli, insomma erano dei geni per quanto non dipendesse dal nome la scelta di condividere la vita con qualcuno. I suoi avevano scelto il suo semplicemente perché gli piaceva, e avevano letto una specie di dramma, ma andava bene così, dopotutto poteva lasciare Kendrick a suo fratello e anche il nome di sua madre non era così semplice da pronunciare.
    Difatti in casa la chiamavano tutti Dominic, storpiandolo e trasformandolo in un nome maschile.
    Quando l'altro ripeté la parola magonò, dovette scuotere la testa “No allora…”, si grattò il capo cercando di capire come spiegarsi in modo semplice, sua mamma dopotutto gliene aveva parlato talmente a lungo da farlo addormentare “Loro sono mezzosangue come noi, non hanno ereditato la magia ma potrebbero avere figli maghi” annuì istintivamente, riferendosi a Flyodd e Finnick.
    “I magonò invece non hanno genitori babbani, ma entrambi maghi. Solo che sono nati senza poteri, ecco” continuò, sperava di essersi spiegato, ma temeva di aver confuso ancora di più l’altro, al che rise prendendo un altro pezzo di dolce.
    “Temo di non essere un buon insegnante” asserì, avvicinando ad entrambi un piatto di muffin, forse potevano portarne qualcuno in dormitorio per la notte pensò.
    Gli venne sul serio da ridere quando parlò della madre, in qualche modo erano tutte straordinarie coincidenze, sembravano quasi due vecchi amici al bar che bivaccavano sparlando delle mogli lasciate a casa. “Mr Beak è un altro nome interessante. Mi faresti davvero un favore, ma sei sicuro che non ti serva?” le madri corvonero sapevano essere delle vere chiocce, ma adesso voleva per forza vedere il barbagianni dell’altro e la gufiera, a Diagon Alley non era nemmeno riuscito ad entrare al Serraglio Stregato.
    Sorrise con trasporto, mostrando i denti bianchi, quando l’altro usò il termine magosì, era molto più bello di quello originale e non aveva la stessa connotazione sgradevole.
    Di certo non spettava a lui spiegargli qualcosa di tanto delicato, ma ad entrambi piaceva chiacchierare e non voleva che il rosso si tirasse addosso antipatie, immeritate, parlando di simili argomenti.
    Abbassò quindi la voce, facendogli segno di avvicinarsi un po’ perché non fossero ascoltati da orecchie indiscrete, non c’era nulla di male in quello che doveva dirgli ma sbandierare certi termini ai quattro venti non era carino, era probabile che non tutti i discendenti di babbani volessero far sapere subito la loro natura.
    “Il tuo, in effetti, è un termine molto più bello di quello che si usa” attese quindi di averlo a portata, prima di rivolgerglisi sottovoce “I maghi con genitori babbani vengono chiamati Nati Babbani, ma è un termine dispregiativo. Tutti loro hanno un antenato magico in famiglia, ma sono stati discriminati e secondo mio nonno, in alcuni ambienti, vengono ancora denigrati”, aveva capito la questione a grandi linee ma il razzismo era una brutta cosa, tanto più che le relazioni tra consanguinei portavano pessimi risultati, i purosangue avrebbero dovuto avere molto più rispetto per i nati babbani.
    La conversazione si alleggerì di nuovo, quando il rosso tirò in ballo le lezioni “Sono appesi nei dormitori a quanto ho capito, quest’anno avremo: Pozioni, Trasfigurazione, Erbologia, Cura delle Creature Magiche, Storia della Magia, Incantesimi, Difesa Contro le Arti Oscure, Babbanologia e Volo. Dovremmo essere avvantaggiati, almeno, in babbanologia”, sua madre gli aveva fatto una testa tanta riguardo le lezioni, non poteva saltarle, evitarle o fuggire e doveva inviarle i voti, altrimenti sarebbe stata capace di contattare ogni singolo docente, attirandogli addosso la loro antipatia.
    Si sporse in avanti quando l’altro dimostrò di volergli parlare all’orecchio, non disprezzava ne amava i segreti ma non li spifferava mai, era contro la sua natura.
    Ci voleva davvero fegato ad ammettere di essere spaventati si disse “La paura è solamente il preludio del valore”, era una frase un po’ infantile che l’anziano gli aveva detto da piccolo ma gli era rimasta impressa, era anche vero che lo stregone era alquanto fissato sulla questione, bastava interrogarsi sul nome di sua madre per capirlo.
    Anche lui si sentiva terrorizzato eppure non vedeva l’ora, era sempre stato troppo avventato, forse avrebbe trovato il buon senso in quella scuola.
    Fece poi segno di no all’ultima domanda del ragazzo “Mio nonno non ha voluto, dice che è un'esperienza da vivere in prima persona. E mia madre non mi ha lasciato fare”, esistevano perfino scope magiche giocattolo per i bambini, ma lui non ne aveva mai provata una “Credo proprio che sarà divertente...sempre meglio della matematica”.
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    Instead of worrying about what you cannot control, shift your energy to what you can create.
    Leah + Ashfield

    Quando il treno liberò gli studenti la sera era calata sul Regno Unito e singole stelle spuntavano tra le nubi fitte a illuminare la stazione in cui aveva fatto scalo. Leah si voltò un'ultima volta verso lo scompartimento nel quale era stata imprigionata per delle ore, poi, con in testa i volti degli studenti da evitare, trascinò il baule fuori, stavolta senza l'aiuto di nessuno. A giudicare dalle dimensioni e dalla scarsa presenza di collegamenti, ipotizzò che si trattasse di un posto fuori da un qualche paesino di campagna e per una volta non le dispiacque trovarsi lontana dalla città, e non solo perché quel viaggio interminabile era finalmente concluso. In quel posto, realmente e per la prima volta, respirava un'aria del tutto nuova, magica. Tutto intorno il panorama offriva poche bellezze da ammirare, eppure un gruppo di studenti avanzava a passo lento e non faceva che guardarsi intorno. In breve quella minoranza venne evidenziata da una separazione che a Leah parve avvenire da un momento all'altro, in modo naturale, ma che, comprese poi dalle parole di una donna dal fare materno, doveva essere stata saggiamente coordinata. Il gruppo in cui si ritrovò era composto esclusivamente da studenti del primo anno. La guardiacaccia li condusse lungo un sentiero che sembrava conoscere fino alle sponde di un lago, dove li attendevano delle barchette di legno dall'aspetto fragile. Non appena tutti gli studenti furono a bordo le imbarcazioni salparono, e l'assenza di timonieri, manovratori o rematori divenne lampante. Sulle prime la curiosità ebbe la meglio sulla logica. Leah si sporse di qualche centimetro oltre la sponda alla sua destra per verificare la presenza di delfini magici imbrigliati o creature mai viste che reggessero quei miseri gusci di legno sul loro dorso rugoso. L'acqua del lago però era troppo scura perché un semplice sguardo potesse penetrasse i suoi segreti, così come la prudenza abbastanza da impedire alla ragazzina di tuffare la mano in acque ignote, forse letali. Quello fu l'unico momento interessante di un viaggio senza intoppi né piacevoli sorprese, scandito dall'ingrandirsi troppo lento delle luci alle finestre della loro meta finale. Arrivati dall'altra parte trovarono ad attenderli l'insegnante di Erbologia. L'uomo li condusse all'interno del castello e poi oltre una porta titanica, all'interno di una sala abbastanza grande da contenere tutti gli studenti della scuola. Al loro ingresso le tavolate di studenti li sommersero con uno scroscio di applausi che li accompagnò lungo il tragitto fino al palco sopraelevato sul quale, dietro a un ricco tavolo, sedevano gli unici adulti presenti. Fu allora, quando il preside si alzò in piedi per dare il benvenuto agli studenti che Leah, sollevando lo sguardo, si accorse della particolarità del soffitto. Prima era stata sopraffatta dal momento e spinta avanti dai piedi del gruppo aveva dato per scontato che le candele fluttuassero in qualunque sala da pranzo a qualche piede da terra, o che il soffitto fosse fatto di pietra come le pareti, e non in trame di cielo. Si sarebbe meravigliata, se ne avesse avuto il tempo, forse sarebbe anche tornata fuori per scoprire se quel cielo fosse lo stesso dell'esterno, soltanto che davanti a lei continuavano ad avvenire cose difficili da ignorare. Il culmine si raggiunse quando, al termine del discorso del preside, un cappello vecchio e sudicio intonò una filastrocca che riassumeva ciò che aveva letto poco prima in treno riguardo le case. Avrebbe avuto bisogno di un cognome che iniziasse per Z, per riprendersi, metabolizzare la quantità abnorme di stranezze assorbite e affrontare al meglio lo smistamento, invece discendeva dagli Ashfield e la sfilata di nomi era appena all'inizio quando fu chiamata.
    I passi che la portarono sullo sgabello più interessante del Regno Unito furono lunghi e pesanti. In quel momento avrebbe dato qualunque cosa per sparire dalla vista di quelle centinaia di persone che erano suoi potenziali compagni, invece furono loro a sparire, oscurati dalla stoffa di un cappello troppo largo perché le potesse calzarle sulla testa.
    "Così va meglio?" una voce profonda e inaspettata la fece sobbalzare. Sembrava che il cappello parlasse direttamente dall'interno della sua testa.
    "Si, ti ringrazio," rispose Leah.
    "Eppure non ti dispiace metterti in mostra, dico bene?"
    Leah si sentì percorrere da un brivido nato dalla consapevolezza. Non solo il cappello sapeva parlare e cantare, sembrava persino dotato della capacità di accedere ai suoi pensieri e scavare nei segreti più nascosti.
    È...diverso. Scelgo io cosa postare," rispose mettendosi sulla difensiva.
    Io vedo, signorina Ashfield. Leah, giusto? O Liv? Oppure Elle?
    "Va bene Leah," fu tutto ciò che la ragazzina riuscì a replicare. Neanche nelle giornate peggiori alla suola babbana si era sentita così vulnerabile. Iniziava a dubitare che gli insegnanti di Hogwarts potessero mettere un cappello del genere in testa agli studenti senza una informativa sulla privacy.
    Vedo tante domande nella tua testa, signorina Ashfield, e alcune sono più profonde delle altre. Il problema è: a quali ti preme maggiormente dare risposta? Leah sperava che quella domanda fosse retorica, non rivolta a lei. Non avrebbe saputo come rispondere. Sapeva soltanto ciò che il viaggio in treno le aveva insegnato, che Serpeverde non era adatta a lei.
    "Non sto pensando di mandarti tra i Serpeverde. Mi chiedo invece se Corvonero non possa aiutarti a trovare risposte e nuove domande. Si, potrebbe, ma non a quelle che ti interessano davvero. Quindi, si, penso che ti potresti trovarti bene. Vada per GRIFONDORO!" il cappello ruggì l'ultima parola verso l'esterno, in direzione della sala. A differenza di quanto accaduto in precedenza fu un solo tavolo ad applaudire e Leah, sollevata e felice per aver terminato la sua prova, si diresse verso i nuovi compagni. Dal loro tavolo osservò lo smistamento degli altri nuovi arrivati con interesse crescente. La affascinavano in particolare i criteri di selezione del cappello. Teneva conto della percentuale di distribuzione e si preoccupava che tutte le case avessero un numero minimo di studenti? Capitava mai che tutti gli studenti finissero nella stessa casa o che una rimanesse senza nuovi ingressi? Quella sera Leah non ebbe risposte, ma quando il preside diede il via al banchetto, rendendosi conto di avere un buco nello stomaco grande quanto il lago che aveva attraversato in barca, decise che le avrebbe trovate in un secondo momento. Si servì di carote brasate, patate dolci e carne a volontà. Notò che i piatti non erano mai vuoti. Per tutta la sera, indipendentemente da quanti si avventassero sul loro contenuto, continuarono a riempirsi fino a che tutti ebbero terminato. A quel punto gli avanzi sparirono, sostituiti da svariati dessert. Apparirono torte, crostate, gelatine e pasticci in quantità. Leah, sull'orlo di un'attacco di nausea causato dal pasto troppo abbondante, avrebbe volentieri saltato il dolce se i cuochi non avessero deciso di festeggiare l'inizio dell'anno con una torta di forma strana glassata di delizioso cioccolato. Essendo fuori dalla sua portata si rivolse alla persona accanto a lei.
    "Scusa, potresti passarmi una fetta di quella torta? Grazie."

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    Nathaniel Deòir
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    Si sentiva completamente soddisfatto e felice in quel momento, certo gli mancavano suo nonno, sua madre e Rick però era comunque contento, certo loro non erano con lui ma i primi erano già stati ad Hogwarts e un giorno avrebbe potuto raccontare ciò che aveva fatto al suo fratellino.
    Il rosso si era già dimostrato un ottimo compagno di casata: cordiale, affabile e incredibilmente sincero, insomma il tipo di persona che gli andava a genio.
    Non tutte le creature erano uguali, e per quanto rispettasse il carattere e le caratteristiche di ognuna aveva delle preferenze, come tutti.
    Appariva sempre a mille ma era spaesato, come i suoi coetanei, certo la sua foga e quei quintali di zucchero avevano avuto un effetto galvanizzante ma la mattina era decisamente più tranquillo, in effetti non vedeva l’ora di andare a riposare, per quanto non intendesse in alcun modo abbandonare il banchetto.
    “Credi che finiremo nella stessa stanza?” domandò di slancio all’altro, in quel caso, se non fossero svenuti, avrebbero certamente chiacchierato per tutta la notte.
    Se era come ai tempi di suo nonno sarebbero stati cinque per stanza, e visto il numero degli studenti dubitava vi fossero letti liberi.
    Voleva proprio vedere la camera e scegliere un letto vicino alla finestra, odiava i luoghi che ne erano privi ma comunque stare con altre persone diminuiva sensibilmente il senso di oppressione che certi posti gli procuravano.
    Era preoccupato per quello che riguardava le lezioni di pozioni, l’idea dei sotterranei lo metteva in allarme, sperava solo che questi fossero larghi e ariosi, era chiedere troppo? Poteva sempre illuminarli con delle candele, detestava gli spazi angusti e stretti, quindi evitarli era una delle prime cose da fare.
    Sapeva di essere pieno ma quando sul tavolo apparve una nuova torta, non riuscì ad evitare di lanciarle una seconda occhiata “Domani mattina andiamo a controllare gli orari, stasera lo faranno tutti. La prima lezione dovrebbe essere alle 9:00”, era meglio mettersi d’accordo in caso fossero stati separati si disse, prima di partire alla conquista del dolce.
    Si stava tagliando una generosa fetta, grondante cioccolato, quando una voce femminile lo raggiunse. D’istinto si volto, trovando due grandi occhi azzurri, che non guardavano affatto lui quanto la porzioncina che si era preso, in effetti la ragazza era fuori portata, un vero peccato.
    “Tieni”, rispose prontamente passandole il piatto che si era fatto per sé, ricordandosi le buone maniere “Nathaniel Deòir, piacere” aggiunse di getto, per poi provare a recuperarne un’altra per sé, visto che gli studenti stavano già per farla scomparire.
    Il dolce svanì in pochi istanti, ma probabilmente era meglio così, aveva mangiato per sei primini quel giorno.
    Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala.
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    Celine Novak

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    eline aveva saldato nella sua mente l’ultimo consiglio che la madre le aveva dato prima che il treno partisse, preoccupata per gli atteggiamenti spesso molto solitari della bimba, le aveva raccomandato di fare molte amicizie, di circondarsi di persone gentili ed educate e di non rimanere mai sola, il padre l’aveva appoggiata aggiungendo però di scegliere più attentamente chi frequentare in modo da giovare il suo futuro. Celine però non era brava nel socializzare, non perché fosse una persona timida, semplicemente perché non era il suo interesse principale, lei non era entrata ad Hogwarts per fare nuove amicizie, lei era entrata per espandere le sue conoscenze, considerava l’interazione con un’altra persona come una semplice conseguenza, non come qualcosa di fondamentale, la solitudine non la spaventava, anzi, si sentiva quasi più a suo agio.
    Scese dal treno assieme ai suoi compagni di scompartimento, un po’ spaesata iniziò a guardarsi attorno, il sole aveva lasciato spazio alla luna ormai da qualche ora, le stelle brillavano imponenti nel cielo oscuro e in lontananza riusciva a scorgere l’ombra del castello che in poco tempo sarebbe diventato la sua seconda casa.
    Celine seguì i suoi compagni del primo anno, notando solo più tardi che erano condotti da una donna, separati dal resto degli studenti che sembravano andare in una direzione diversa, avrebbe tanto voluto salutare il fratello ma non era riuscita a scorgerlo in quella massa di studenti vestiti di tutto punto.
    Attraversarono il lago nero in piccole barchette di legno, l’acqua così scura riusciva a riflettere la luce delle stelle, sembrava quasi di navigare nel cielo; davanti a loro ergeva l’imponente castello, abbastanza illuminato da intravedere più che solo la sagoma. Inizialmente la rossa aveva pensato che qualcuno avrebbe dovuto remare fino al castello ma poi si era accorta che la barca si spostava come scortata da forze invisibili che dolcemente la cullavano e trasportavano verso Hogwarts.
    Arrivati al castello, ad accoglierli fu Daniel Jackson, che si presentò come professore di erbologia e li condusse verso la Sala Grande, i compagni della giovane si comportavano tutti in maniera diversa, c’era chi sembrava più nervoso e chi, come lei, era molto più rilassato. Celine si era fatta spiegare da Ariston in cosa consisteva lo smistamento, lei aveva sempre pensato si trattasse di un test della personalità o delle abilità, ma quando il fratello maggiore le aveva parlato di un “cappello parlante” aveva capito che non avrebbe dovuto dimostrare niente, avrebbe solo dovuto affidarsi al destino.
    Entrando in Sala Grande, notò che in essa vi erano già tutti gli studenti senior, seduti ai rispettivi tavoli, alcuni li fissavano incuriositi, altri semplicemente chiacchieravano tra loro. Alzando gli occhi cerulei notò lo stello cielo che poco prima aveva visto fuori dal castello, coincideva esattamente con la descrizione del fratello maggiore ma rimase comunque esterrefatta al vederlo.
    Sentiva i suoi compagni parlare ed esprimere le loro idee su quale fosse la loro casata preferita e in quale sperassero di finire, Celine era stata influenzata fin da entrambi i suoi genitori, un ex serpeverde e una ex grifondoro, entrambi sostenevano che le loro case fossero le migliori ed entrambi si aspettavano dai loro figli che finissero in una delle due, a volte giungevano a litigi quasi infantili, ricordando i vecchi tempi e ribadendo ognuno le loro convinzioni. La rossa però non aveva davvero una preferenza, non aveva alcuna richiesta, sarebbe andata dove il famoso cappello le avrebbe detto di andare senza troppe complicazioni, poco importava se fosse serpeverde o grifondoro, o le altre due.
    Avanzarono fino a giungere davanti al tavolo degli insegnanti, accompagnati dagli applausi degli studenti si disposero in fila davanti a loro, dinanzi a loro vi erano un vecchio sgabello a tre gambe e sopra vi era posato un cappello scuro e malandato che non sembrava proprio vivo o parlante.
    Il silenzio calò quando il vicepreside iniziò a parlare spiegando come si sarebbe svolto lo smistamento, appena finito il cappello si animò ed iniziò a recitare una lunga poesia che spiegava brevemente le varie qualità che rappresentavano le casate.
    Iniziarono a chiamarli uno ad uno, in ordine alfabetico, il cappello veniva posato sopra le loro teste, Celine notò che alcune volte bastava solo che la stoffa sfiorasse la testa del ragazzo perché venisse smistato in una casa, altre invece sembrava tardare più tempo e tutti rimanevano silenziosi in attesa che il cappello desse la sua sentenza.
    Celine si sedette sullo sgabello, si sentiva in soggezione con le occhiate di tutte quelle persone puntate su di lei, tanto che inizialmente non riuscì quasi a prestare attenzione a ciò che il cappello stava dicendo, aveva sperato che ci mettesse solo qualche secondo ma il cappello sembrava essersela presa comoda con lei, affermò prima che sarebbe stata una buona corvonero, ma che anche serpeverde poteva essere una delle scelte, tanto che alla fine le chiese quale fosse quella che lei preferiva, domanda che la rossa non si aspettava affatto, se poco prima pensava che la scelta non era così importante, che dipendesse solo dal destino e non da lei, ora aveva davanti due scelte molto diverse che l’avrebbero portata in strade differenti, lei scelse di seguire la stessa del fratello: ‹ Forse... serpeverde. › affermò a bassa voce la rossa.
    ‹ E allora... che serpeverde sia! › la ragazza raggiunse frettolosamente il tavolo accompagnata dagli applausi della casata, della sua casata.
    Appena finito lo smistamento i tavoli si riempirono magicamente del più prelibato cibo e, solo in quel momento, Celine si ricordò di avere molta fame, tanto che rimase sorpresa da tutto quello che stava mangiando, quando solitamente un piccolo piatto di qualunque cosa le bastava.
    Dopo il dolce prese nuovamente parola il vicepreside che ricordò a tutti che la foresta proibita era off limits, che il coprifuoco era alle nove e che esisteva un club dei duellanti, a cui Celine si sarebbe sicuramente iscritta appena possibile. Per poi parlare della malattia che aveva colpito un po’ tutti i maghi e poi congedarsi.

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    Leah + Ashfield

    Se esisteva una cosa al mondo di cui Leah non si sarebbe mai potuta stancare, sopra i video, le fotografie, il disegno e la pittura, quella era il cioccolato. La loro storia d'amore aveva radici più longeve della memoria della Ashfield più giovane, ed era destinata a durare in eterno, allergie permettendo. Gli aneddoti che legavano Leah al cioccolato era più numerosi di quanti avrebbe mai ammesso, anche perché alcuni erano tutt'altro che piacevoli.
    Frequentava la seconda, forse la terza elementare quando il progetto della preside di lanciare la scuola nel mondo digitale l'aveva convinta a scrivere per il giornalino dell'istituto. La rivista trattava in maniera folkloristica qualsiasi avvenimento scolastico e riempiva i restanti numerosi buchi lasciando che intrepidi collaboratori pubblicassero storie di loro invenzione senza sindacare gli argomenti trattati né suggerire come migliorare i racconti. Quella pubblicata da Leah sul numero 4 del "Blitz" voleva essere la prima parte di una serie thriller ambientata in un mondo in cui il sole è ormai il nemico principale di una umanità composta da esseri di cioccolato, almeno fino a quando le persone, sciolte per il surriscaldamento, iniziano a sparire, bevute da chissà quali creature o pazzi maniaci. In pochi giorni il contatore delle visite segnò un record che Leah poté godersi solo fino a che non mise piede in classe. A quella storia seguì la più grande ondata di prese in giro della storia della Redmond, che prosciugò la vena creativa dell'autrice e troncò sul nascere la carriera del detective Dark.
    Nell'autunno dell'anno successivo le conseguenze di un party a tema portarono a quello che nella sua mente venne archiviato come "il massacro delle zucche brune", cambiando per sempre la storia degli Halloween futuri. Tutto ebbe iniziò con una pignatta fortunata alla festa della scuola e terminò con la violazione del divieto di mangiare più di qualche cioccolatino dopo cena. Traviata dalla golosità dello stomaco, Leah portò la refurtiva a letto e continuò a mangiare senza rendersi conto di averne mandati giù abbastanza da procurarsi una indigestione, né di aver sporcato il letto con le dita impiastricciate. Le conseguenze si abbatterono su di lei al mattino seguente: per trentasei ore non riuscì a ingerire niente che non fosse liquido, e cosa più importante sua madre gettò nella pattumiera la metà restante del suo bottino e stabilì che da quel giorno in poi i suoi dolci di Halloween sarebbero stati sequestrati sulla porta di casa, e la razione che avrebbe potuto mangiare decisa da lei in persona.
    La richiesta fatta al ragazzo sedutole accanto rendeva palese come né l'esperienza, né le punizioni le avessero insegnato alcunché. Ad un passo dall'indigestione la cascata di cioccolato che avvolgeva la torta le sembrava uno spettacolo secondo solo al piacere di veder affondare il coltello tra tutti quegli strati di dolcezza.
    "Ti ringrazio, ma non devi darmi la tua fetta," l'interazione la riportò su un piano più reale. Quel gesto di generosità la metteva a disagio. Non ci era abituata, non sapeva cosa l'altro si aspettasse in risposta. Con un'occhiata fugace si accertò che la torta non fosse terminata, poi prese il piatto che le offriva tra le mani e se lo posò davanti. "Io mi chiamo Leah. Ashfield. Il piacere è mio, Nathaniel," sorridere era il minimo che potesse fare. Quella era la prima persona gentile che incontrava da quando era salita sull'espresso, e di certo nella top ten dei suoi compagni di scuola di sempre.
    A presentazioni fatte le sembrò ragionevole concentrarsi sulla fetta di dolce che l'attendeva anche, giustificò se stessa, per dar modo a Nathaniel di fare il bis. Il primo boccone chiarì subito che i babbani non esageravano nelle descrizioni dei loro elfi inventati, anzi, se uno scrittore avesse potuto assaporare la perfezione di quel dessert avrebbe strappato quanto già scritto per ricominciare da capo e render loro maggior giustizia.
    "Buona vero?" con il tovagliolo pulì le labbre, perché una cosa l'aveva imparata, il cioccolato lascia sempre tracce. Si voltò verso Nathaniel e subito la colpì l'assenza di posate in movimento. Il piatto del ragazzo era vuoto, su quello da portata non restavano che poche briciole. Dubbio e disappunto si mescolarono in lei, facendolo aggrottare la fronte per la pecca in un servizio fino ad allora perfetto.
    "Non ne è apparsa altra?!" quella quasi ovvia sottolineatura le diede il tempo di riflettere. Certo le sarebbe piaciuto fantasticare sul funzionamento della cucina e gli addetti al trasporto-barra-apparizione delle vivande, scommettere su quali creature avessero interesse nel rovinare la reputazione degli elfi (i nani sarebbero stati i maggiori indiziati!), ciò che le premeva di più, la cosa più giusta da fare, era restituire il favore al ragazzo.
    "Non me lo sarei mai aspettata dagli elfi. Ti dispiace avvicinare il piatto?" Raccolse coltello e forchetta dal tovagliolo sul quale li aveva poggiati e divise la fetta in due parti all'incirca uguali. Dal suo posto si inclinò appena in direzione di Nathaniel e avvicinandogli il piatto gli fece capire di fare altrettanto.
    "Questa è tua," terminò di staccare le due porzioni una dall'altra e con l'aiuto del coltello spinse la parte integra, non mangiucchiata, verso il ragazzo.

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16 replies since 1/9/2018, 12:49   523 views
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