Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Scompartimento N° 001

Aibell, Victor, Roy, Carrie-Anne, Audrey, Leah - COMPLETO

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    Dalla banchina del binario 9 e 3/4 Londra non sembrava diversa da Seattle, era solo più rumorosa. Gli studenti, in attesa di partire, si facevano largo nel folto gruppo di persone assiepate a pochi passi dal corpo pesante della locomotiva a riposo, e cercavano volti noti per celebrare la riunione dopo i mesi di vacanza. Forse l'anno successivo anche Leah sarebbe stata tra loro, intanto, per quella prima partenza, preferiva passare. Che il suo umore non fosse dei migliori lo si intuiva dal blu cupo della maglia scelta. Leah riusciva quasi a sentire gli occhi di sua madre, ferma accanto ai nonni qualche passo indietro, avvinghiata alla borsa e alle sue paranoie, puntati sul retro della maglia che tante volte aveva detto non piacerle. Neanche Leah ne andava pazza, risaliva a qualche chilo prima, era più lunga del dovuto di qualche centimetro, tanto da coprire in buona parte le tasche dei pantaloni, e l'elastico nero ai bordi delle mezze maniche, che un tempo le causava fastidio, era ora libero di fluttuare, sciatto, attorno alle braccia ossute. La comodità restava l'unico pregio, e quella mattina tanto bastava a infastidire la madre. Era colpa sua se aveva trascorso gli ultimi giorni a chiedersi se sarebbe riuscita ad andare a Hogwarts o se invece, a seguito di un ultimo colpo di testa, Olivia l'avrebbe costretta a tornare in America.
    La chiamata urgente dall'ufficio di Dominic aveva slegato le catene della bestia assopita, e fino all'ultimo Olivia, senza interpellare la figlia, aveva fatto di tutto per convincere suo marito a lasciarle riportare Leah in America. Dom non sentì ragioni e trascorse l'ultima notte nel Regno Unito a impedire a sua moglie di fare le valigie e alla fine riuscì a imporre la sua linea. Quello era un altro dettaglio che contribuiva ad affossare il morale di Leah. Dal momento della partenza del padre, la metà razionale del suo cervello aveva ingaggiato una lotta con quella più emotiva per convincerla della totale innocenza di Dominic, e della buona fede dietro le parole volte a rassicurare la figlia circa la sua presenza spese per due settimane. L'assenza di Dominic non era una novità per nessuna delle donne di casa Ashford, in quell'occasione però qualcosa di diverso le impediva di lasciar cadere la questione. Per due settimane suo padre era stato in casa senza che niente lo tenesse occupato, per due settimane lei aveva creduto che davvero, e forse per la prima volta, Dominic avrebbe mantenuto la promessa e l'avrebbe accompagnata a scuola. Era l'illusione a fregarla, a impedirle di digerire la delusione, e sempre l'illusione l'aveva spinta rendersi irreperibile quando, il giorno precedente, durante la chiamata serale, suo padre aveva chiesto di parlare con lei. Mezza nottata passata a rimuginare l'aveva convinta a scrivere a suo padre non appena avesse messo piede nel castello di Hogwarts, ma nulla aveva potuto contro la malinconia che già le era calata, impedendole di continuare la lettura del libro che il nonno materno le aveva inviato qualche giorno prima.
    "Cara, non hai sentito? Il treno partirà tra non molto," Deanna, la nonna inglese, le si era avvicinata, e aveva posato una mano sulla schiena con fare affettuoso.
    "Oh no, stavo pensando ad altro. Forse è meglio che salga prima che i posti migliori siano presi."
    "Vuoi che ti aiuti a portarlo?" anche il nonno si fece avanti, con la destra spingeva il baule carico di acquisti senza apparente sforzo.
    "No, grazie, nonno. Ce la faccio da sola," e per dare dimostrazione della sua forza afferrò la maniglia e la attirò a se come meglio poté.
    "Allora... fa buon viaggio," la voce di sua madre era carica di tensione, le mani, strette attorno alla fibbia della borsa, erano sbiancate per la tensione, gli occhi minacciavano un imminente crollo emotivo. "E non cacciarti nei guai quando sarai a scuola... a Hogwarts." Olivia sciolse la presa sulla borsa e gettò le braccia attorno al collo della figlia, aggiungendo altre mille raccomandazioni alle prime. Dopo minuti interminabili Deanna, allertata da un'altro avviso di qualche addetto del treno, divise madre e figlia.
    Leah salutò tutti quanti e a fatica, trascinando il baule dietro di se con ben poca grazia, si infilò nel flusso di studenti che a poco a poco migrava verso le portiere dei vagoni. Era un peccato che il caos della famiglia avesse deciso di rovinare l'atmosfera magica che aveva respirato tanto a lungo, impedendole di avvertire l'aroma frizzante dell'inizio di una nuova vita a lungo attesa e fremere come gli studenti che la circondavano. Forse, visto il poco amore che nutriva per le folle e il chiasso da loro prodotto, non avrebbe comunque apprezzato quel brulichio, ma dovervi rinunciare a prescindere le sembrava troppo crudele.
    Trasportare il baule si rivelò più complicato del previsto. Al momento di salire uno studente più grande, vedendola in difficoltà, la aiutò a caricare il baule e poi si allontanò verso la coda del treno. Leah si incamminò nella direzione opposta. Trascinare il baule sul liscio pianale di legno del pavimento della carrozza risultò più semplice senza tutti gli scossoni dovuti alle irregolarità delle pietre del selciato, ma il peso restava invariato e le sue braccia risentivano dello sforzo. Si decise a entrare nel primo scompartimento vuoto che trovò, sul lato opposto a quello affacciato sulla banchina. Con un ultimo sforzo titanico, e non senza paura, in due occasione credette che il baule le sarebbe cascato sulla testa, costringendole a inaugurare l'anno con una commozione cerebrale, issò il bagaglio sulla rete posta sui sedile e prese posto accanto al finestrino, rivolta nel senso di marcia. Il panorama offriva uno scorcio di campagna inglese simile a quella gallese, della quale, a essere sinceri, aveva la nausea. Senza compagni di viaggio, l'alternativa migliore per non soffrire di mal di campagna restava trovare qualcosa da fare. Aprì la borsa e dopo aver tentato, invano, di accendere la videocamera - morta per cause magiche - estrasse il libro del nonno. I grossi caratteri strambo-magici simili a quelli dei volumi che aveva visto nella libreria di Diagon Alley, avrebbero reso il titolo leggibile anche dagli studenti che passavano fuori dallo scompartimento. Hogwarts for Dummies, recitava la prima fila, e poco sotto: raccolta di storie quasi irreali ascoltate dai migliori e i peggiori maghi britannici, e nella terza riga: tutto ma proprio tutto ciò che una persona dovrebbe sapere su Hogwarts prima di studiarci.
    Il libro era stato scritto da suo nonno apposta per lei, un tentativo di rendere più facile il suo ambientamento e di spezzare l'ansia che poteva coglierla nell'affrontare qualcosa di ignoto, stando alla lettera di accompagnamento. Leah aveva apprezzato il gesto, ma andando avanti con la lettura aveva iniziato a dubitare di molte delle cose che vi erano scritte.
    Ancora scettica lo aprì, aveva sospeso la lettura nel punto che più le interessava e, benché scettica, preferiva avere poche informazioni irreali che nessuna reale.
    Il segnalibro indicava l'inizio di un nuovo capitolo. Leah lisciò la pagina e lesse: guida alle 4 case, che legame hanno con quelle di Ilvermorny?

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    Edited by Nate D. - 28/8/2018, 22:17
     
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    Probabilmente sarà pieno di frasi sconnesse ma è troppo presto perché i miei neuroni funzionino correttamente v.v

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    Audrey Hastings

    Troppo caldo, troppa gente, troppi saluti sguaiati, troppi abbracci, troppi parenti e troppe raccomandazioni dell’ultimo minuto. King’s Cross in quel momento era semplicemente troppo. La banchina ferroviaria del Binario Nove e Tre Quarti, celebre per essere il luogo di ritrovo di almeno un quinto della popolazione magica inglese ogni primo di Settembre, in quel momento sembrava sul punto di scoppiare per la quantità di gente presente. Essere lì in una giornata del genere significava fare i conti con la stessa frenesia che si sarebbe respirata in un centro commerciale americano la sera del Black Friday. Ora, anche con tutta la buona volontà del mondo, come poteva un caratteraccio come il mio non risentire di un clima del genere? Come potevo trattenermi dal lanciare occhiate furenti e commenti infastiditi a tutti quelli che si trovavano troppo vicini al mio raggio visivo? La risposta era scontata: non potevo. Nonostante avessi passato un’estate a rilassarmi, nonostante l’idea di tornare ad Hogwarts mi facesse sentire uno stano senso di sicurezza, il mio umore non poté non calare a picco in condizioni del genere. Davvero mi chiedevo con che voglia certe famiglie si radunassero in massa al binario per vedere qualcuno partire, con che voglia sfidassero il caldo di settembre e l’atmosfera claustrofobica di quel luogo. Se avessi potuto scegliere un mezzo alternativo per andare ad Hogwarts, sicuramente lo avrei fatto. E nessuno di quei pensieri che mi ronzavano in testa era influenzato dal fatto che i miei genitori non fossero a Londra a salutarmi, nessuno. Forse mi sarebbe bastato continuare a ripetermelo per crederci... Ad ogni modo, tesa come una corda di violino, mi ritrovai a trascinare il mio enorme baule tra tutta quella folla, intimando di volta in volta alla gente di spostarsi per farmi passare. Non era giornata in cui potevo fare la diplomatica. Un ghigno beffardo si delineò sul mio volto quando i miei occhi si posarono su una madre che singhiozzava sulla spalla del proprio figlio undicenne, proprio di fronte all’entrata della carrozza. Oh meraviglioso. Mi schiarii immediatamente la gola, inclinando poi leggermente la testa in un’espressione ironica. « Se gentilmente vuole farmi passare, visto che non mi sembra che suo figlio stia andando in guerra » sibilai quindi, accennando all’entrata del treno con un movimento del capo. La signora mi ignorò, limitandosi a spostarsi di qualche passo prima di tirare su con il naso e affondare nuovamente il capo tra i capelli del figlio. Arrivata davanti alla scala, esitai per un istante all’idea di dover sollevare il baule. Il mio sguardo saettò immediatamente in direzione di uno dei ragazzi che ami avevano seguita, approfittando del varco che mi ero aperta a poco a poco tra la gente. Se fino ad un secondo prima la loro presenza mi aveva infastidita, il peso del mio baule mi aveva fatto rivalutare la cosa. « Tu » dissi quindi, rivolgendo un’occhiata eloquente al mio interlocutore. « Ti dispiace? » La domanda era retorica ovviamente, come dimostrava il velo di ironia chiaramente percepibile nelle mie parole. Fortunatamente non ci fu bisogno di insistere; il ragazzo si dimostrò più collaborativo del previsto, afferrando saldamente il mio enorme baule dalla maniglia e dandosi da fare per issarlo su per le scale. Ansimando leggermente per il peso, decisamente superiore alle sue aspettative, trascinò il valigione con il volto che andava assumendo sempre più un colorito paonazzo. Un’espressione soddisfatta di delineò sul mio viso, quando finalmente il mio baule venne issato sul treno. « Gentilissimo » fu il commento ironico che rivolsi al povero malcapitato. « Vuoi uno zellino per il disturbo? » aggiunsi con tono beffardo, prima di ridacchiare della sua espressione imbarazzata e trascinare via il mio baule. Non mi andava minimamente di portarmelo dietro a lungo, ragion per cui decisi di avvicinarmi al primo scompartimento del treno per controllare chi ci fosse. Era quasi vuoto, ottimo. Un’occhiata oltre il vetro rivelò la presenza di una ragazzina, immersa nella lettura di un libro. Con una scrollata di spalle, aprii lo sportello d’ingresso. Tanto se si fosse rivelata una rompiscatole, sarebbe bastato semplicemente buttarla fuori a calci. Mi feci strada all’interno dello scompartimento, trascinando il baule con una smorfia. « Sembra che tu abbia scelto lo scompartimento migliore » affermai con un cenno del capo, rivolta alla sconosciuta. Colta da un’improvvisa ispirazione, decisi di provare a metterla un po’ in difficoltà, contando sul fatto che non conoscesse bene le regole di Hogwarts. « In realtà non potresti stare qui... I primi scompartimenti del treno sono riservati ai Prefetti e ai Caposcuola » mi inventai di sana pianta, senza riuscire ad impedire ad un sorriso beffardo di farsi strada sul mio viso. Attesi giusto qualche istante, continuando ad osservare la mia interlocutrice. Era piuttosto minuta, i capelli biondi erano sistemati in una frangia ordinata. Per quanto riguardava il look, non potevo dire di aver nulla da ridire. « Per questa volta però hai il mio permesso » aggiunsi dopo qualche istante, fingendo di tentennare un attimo prima di farle quella gentilissima concessione. Senza riuscire a trattenermi, scoppiai a ridere appena dopo qualche secondo, continuando però a mantenere la recita e a non dirle la verità. Posai le due borse sul sedile, decidendo di aspettare ad issare il baule sulla cappelliera, visto che non sarei mai riuscita a farlo da sola. « Audrey Hastings, Prefetto Serpeverde » mi presentai quindi, pur non potendo mostrare alla ragazza la spilla, ancora chiusa all’interno di una delle due borse insieme alla divisa scolastica. Dopo essermi seduta di fronte a lei, continuai a studiare la mia interlocutrice, inclinando leggermente il capo di lato e chiedendomi quante probabilità ci fossero per me di trovarmi davanti ad una componente della mia casata.

    « Detesto il poema ciclico, e non m’interessa il sentiero che porta molti qua e là; odio pure l’amante che va con tutti, e dalla pubblica fontana non bevo: mi nausea tutto ciò ch’è comune. Tu, Lisania, sei bello, bello proprio – ma prima che io possa dirlo chiaramente, ecco che l’eco ribatte: “…proprio di un altro!” » [Epigramma 43, Callimaco]

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    Serpeverde - IV Anno - scheda

    ❝ it's okay to have your soft side ❞

    « No, non ho scordato nulla, per Merlino! » Con uno sbuffo frustrato accolse l'ennesimo abbraccio apprensivo di Kat, senza tuttavia ricambiare. Non riusciva a comprendere per quale motivo quella che un tempo era la sua balia si ostinasse a comportarsi ancora come tre anni prima, nonostante ormai Aibell avesse la bellezza di quattordici lunghi anni. Probabilmente ai suoi occhi doveva sembrarle ancora una bambina, a scapito del suo aspetto decisamente maturato rispetto anche solo all'anno precedente. Era cresciuta ancora, alzandosi di qualche centimetro, e delle curve acerbe avevano cominciato a farsi notare sotto ai vestiti ora leggermente più aderenti; aveva persino cominciato a curarsi maggiormente del proprio aspetto, prendendo l'abitudine di truccarsi un po' ogni mattina. Alla giovane adolescente piaceva ciò che vedeva quando si specchiava prima di uscire e si compiaceva di poterlo mostrare ad altri, ad una persona in particolare. « Farò tardi per la quarta volta in quattro anni, se non mi lasci andare. » Con evidente riluttanza la donna quasi in lacrime mollò la presa, consentendole di rivolgere un breve saluto anche ai genitori: nessuno dei tre si scompose troppo, il che le fece esalare un sospiro di sollievo. Non vedeva l'ora di salire sull'Espresso e rivedere Victor, dal quale aveva passato fin troppo tempo lontana; non poteva permettersi di sprecare un solo secondo assieme a lui, perciò la sua impazienza era più che giustificata. Lasciò che suo padre la aiutasse a issare il baule sul treno, nonostante Aibell gli avesse fatto notare di poter utilizzare benissimo l'incantesimo di levitazione: ultimamente anche Ardal aveva mostrato segni di ingiustificata preoccupazione nei suoi confronti, tuttavia la ragazza non aveva mai perso troppo tempo a domandarsene il motivo. « Ciao, papà, mamma. Kat, sto andando a Hogwarts, come faccio da quattro anni! » Scosse la testa, incredula, per poi voltare definitivamente le spalle ai tre adulti sulla banchina del binario 9 e 3/4. Si trovava alla porta iniziale dell'Espresso, poco prima che il fischio del capotreno risuonasse trillante e assordante come sempre; per quanto fastidioso, un simile suono non poteva che darle una bellissima sensazione: stava tornando a casa. Si sistemò una ciocca di capelli — che aveva arricciato leggermente per l'occasione — dietro l'orecchio, sfiorando lievemente l'orecchino perlato che lo adornava, e sorrise sinceramente contenta. Infine, decisa a godersi il viaggio da seduta, prese a controllare gli scompartimenti a partire dal primo, trascinandosi dietro baule, borsa e cuccetta. « Guarda un po' chi si rivede. » All'interno del primo scompartimento vi erano soltanto due persone, una delle quali era la sua migliore amica, nonché concasata. Non esitò a entrare, posando il carico per salutare Audrey con un abbraccio affettuoso. « Sono diventata più alta io, o sei tu che ti sei accorciata? » Non perse tempo nemmeno per iniziare a infastidirla, dopotutto le era mancato anche quello. « E questo, perché è qui in mezzo? » Si riferì al baule che occupava parte dello scompartimento e non era proprio dove avrebbe dovuto essere. Avrebbe potuto sistemarlo lei, al posto dell'amica, ma non aveva voglia di darle questa soddisfazione, perciò si limitò ad una scrollata di spalle e a un'occhiata beffarda. Dapprima non degnò la seconda ospite di molta attenzione, più occupata a sistemare il suo baule nella cappelliera, ma dopo essersi accomodata di fianco a Audrey, poté rivolgerle qualche occhiata più attenta. Notò che era occupata nella lettura di un libro, ma doveva essersi interrotta per qualche motivo — che la Serpeverde avesse voluto intavolare una conversazione con un'evidente primina? « Chi sei? » Strizzò lievemente gli occhi azzurri, cercando di indovinare in quale casata sarebbe stata smistata: non le dava affatto l'impressione di una neo-Serpe, perciò già cominciava a prenderla in antipatia. « Io sono Aibell Cavendish, aspetterò per dire se sia un piacere conoscerti. » Piuttosto indifferente, raccolse da terra la gabbietta, aprendola per fare uscire il micio che vi era all'interno; con un rumoroso miagolio, Myou prese a stiracchiarsi con molta calma, saltando poi sul grembo di Aibell e acciambellandovisi sopra. Con un gesto distratto, la rossa prese a grattargli la testolina pelosa con una mano, mentre allungava l'altra verso la bambina che le stava di fronte. « Posso? » Domandò, accennando al tomo che l'altra teneva tra le mani. Doveva trovare un espediente per far passare il tempo più velocemente, almeno fino a quando i suoi occhi non avessero incrociato quelli di un improbabile Tassorosso.
    role code by @izzy — copiare è peccato e io sono satana


    Edited by s a u d a d e - 1/9/2018, 19:51
     
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    Chiedo scusa chi non ha ancora postato, ma con altri tre post a cui rispondere vi avrei fatto leggere un romanzo. Risponderò anche a voi appena entrerete <3

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    Leah + Ashfield

    Il capitolo sulle case si rivelò interessante dal prologo. Illustrava le differenze e somiglianze tra quelle di Hogwarts e Ilvermorny. Poche righe furono sufficienti perché Leah si facesse una idea vaga di quali sarebbero state le più affini a lei e quali caratteristiche venivano privilegiate tra gli studenti a esse assegnati. Tra le quattro, una associazione la incuriosiva più delle altre. Il nome Wampus formava da secoli un'accoppiata non ancora sciolta con quello dei Green prima e degli Ashfield poi. Le differenze con Grifondoro però sembravano più marcate di quanto il titolo allusivo di inizio capitolo lasciasse intendere e Leah si rispecchiava poco negli attributi richiesti da sir Godric. A parte quello restava da chiarire quanto le interessasse portare avanti una tradizione dalla quale sarebbe stata comunque esclusa. In nessun caso lei avrebbe figurato nel ramo di famiglia Wampus, e un giorno chissà quanto lontano un suo discendente avrebbe indicato la sua foto presentandola come la stramba di famiglia, quella che per distinguersi dagli altri aveva studiato nel Regno Unito. Tanto valeva decidere in autonomia, senza condizionamenti esterni. Con l'intenzione di schiarirsi ulteriormente le idee proseguì con il racconto di come il mago Byron, studente Grifondoro del XIII secolo, ottenne il soprannome di zampa d'orso durante una lezione di pozioni. Fece appena in tempo a leggere quelle poche informazioni introduttive che lo scorrere della porta che la isolava dal corridoio la costrinse a fermarsi. Quando sollevò la testa vide una ragazza trascinare il baule all'interno. A giudicare dal suo primo commento neanche lei doveva amare troppo le folle.
    "Oh, beh, ti ringrazio," esordì dubbiosa. Si ringraziava per un quasi non-complimento del genere?
    "Mi sono solo infilata nel primo libero che ho trovato," aggiunse quasi scusandosi, e stando a quanto disse la nuova arrivata anticipò soltanto i tempi. Venire a sapere a quel modo che i primi scompartimenti erano inaccessibili ai nuovi arrivati abbatté la sua temperatura corporea di una decina di gradi, le gocce di sudore sulle braccia ghiacciarono, le gambe furono colpite da paralisi e quelli facciali sfuggirono al suo controllo per qualche secondo. Si accorse a malapena quando chiuse il libro, e per niente quando infilò l'indice tra le pagine per tenere il segno. Per sfogare il nervosismo cercò con lo sguardo la borse in un goffo tentativo di guadagnare tempo, riordinare le idee e prepararsi a immergersi nuovamente nel caos che si agitava oltre il vetro salvifico della porta senza sfigurare agli occhi della studentessa più grande.
    "Non lo sapevo, mi dispiace. Sono nuova, non ci sono cartelli-voglio dire-io-non-ne-ho-visti-e-sono-entrata." Leah odiava essere colta in fallo o impreparata, e lo odiava ancor di più quando la consapevolezza di non avere colpe lasciava la certezza di non aver potuto fare altrimenti come base di ogni argomentazione. Se fosse entrata in un uno scompartimento proibito per sua scelta, anche solo per verificare le differenze con uno destinato agli studenti comuni, avrebbe almeno potuto preparare una scusa valida o studiare una strategia di fuga che non la lasciasse in balia del panico, tradita dalle scuse balbettate che il suo corpo sputava fuori senza ritegno. Se ad aprire la porta fosse stato un insegnante, un controllore o anche un prefetto più zelante e meno comprensivo della ragazza che le stava di fronte Leah sentiva che avrebbe perso il controllo. Invece, grazie alle sue parole, in poco tempo riuscì a riportare sotto controllo il battito cardiaco, e quando il calore attorno alle guance le fece capire che anche il rossore al viso era sparito, rendendosi di conto di quanto dovesse sembrare ridicola in quel momento, riuscì perfino ad unirsi alla risata improvvisa dell'altra con una sua versione un po' più stridula e innaturale.
    "Allora grazie, Audrey. Tornare la fuori sarebbe stato una tortura," proprio in quel momento fuori dallo scompartimento un capo d'abbigliamento sfrecciò verso la coda del treno, lanciato da chissà dove, indirizzato a chissà chi. "Comunque io sono Leah, Leah Ashfield e..." e la porta si aprì una seconda volta prima. Prima che potesse completare la frase e rivelare che non sapeva in che casa sarebbe finita, una seconda ragazza gettò le braccia attorno al collo della prima. Fu subito chiaro, dalle parole che si scambiavano, che tra le due esisteva un rapporto di amicizia, così Leah abbassò lo sguardo sul libro. Tra le tante cose che la infastidivano c'erano anche gli estranei che per nessuna ragione al mondo iniziano a fissarti come se volessero leggerti la mente o ipnotizzarti. Non si sarebbe trasformata in uno di quegli esseri al limite dell'umano neanche se gli occhi le avessero iniziato a sanguinare per la troppa esposizione al discutibile gusto di chi aveva composto la copertina di Hogwarts for Dummies. Per ingannare il tempo sciolse la presa ferrea applicata sul tomo nei momenti di tensioni vissuti poco prima e infilò il segnalibro all'inizio della storia di Byron zampa d'orso. Notò che senza volerlo aveva sgualcito la parte superiore del dorso, ripiegandola all'indietro fino quasi a staccarla. Subito si premurò di sistemarla, ma non fece in tempo a finire che la nuova arrivata le rivolse la parola. Il suo benvenuto fu più simile al clima scolastico che si era lasciata alle spalle rispetto a quello più amichevole di Audrey, adeguato all'età più matura della scuola verso cui erano dirette. Anche così Leah non poteva certo definirsi sorpresa dell'esistenza di persone scortesi con la tendenza al bullismo in ambienti scolastici. Frustrata si, forse anche delusa, ma non sarebbe stata l'unica a esserlo se quella Aibell avesse saputo che di piacere a persone come lei non le importava granché. Il punto era soltanto uno: non c'era interesse nel rivelare quell'informazione. Primo, Leah avrebbe dovuto passare delle ore chiusa in uno scompartimento con due amiche che avrebbero potuto interpretare la capo cheerleader e la sua prima servitrice in un teen movie ambientato a scuola: entrambe carine, una abbastanza di successo da non esporsi apertamente all'astio del prossimo, l'altra acida guardaspalle. Secondo gli stereotipi di Hollywood i tipi da non stuzzicare. Infastidirne una avrebbe scatenato anche l'altra, cosa che la portava al punto due: con quale frequenza un diverbio tra maghi terminava con lo sfoderare le bacchette? vista la sua totale assenza di istruzione magica, scoprire la risposta le avrebbe procurato più danni che benefici. Terzo e ultimo punto, anche se non fosse finita nella stessa casa di una delle due avrebbe rischiato di comparire nei radar di un prefetto per il resto dell'anno, e per quanto non conoscesse il limite del suo potere l'istinto le suggeriva di informarsi prima di agire.
    "Io invece sono Leah Ashifeld," cercò di suonare più naturale possibile, in modo da non fornire appigli alla eventuale risposta della ragazza dai capelli rossi. A differenza di Audrey, Aibell si dedicò subito a issare il baule sulla retina sopra le loro teste. Alle prime avvisaglie di manovre, Leah, che di sollevare bauli ne aveva abbastanza dopo un solo tentativo, finse interesse per la campagna fuori dal finestrino. Si concentrò su un albero dal tronco contorto fino a che lo strisciare di oggetti pesanti e gli sbuffi di fatica cessarono. Quando il silenzio le fece capire che anche Aibell aveva preso posto sul sedile, ostentando una disinvoltura che non le apparteneva, si concentrò sulla borsa. Tanto per fare qualcosa la aprì, spostò la videocamera, e frugò all'interno della borsa in cerca di niente. Stava solo prendendo tempo in attesa di un avvenimento che riavviasse il tempo, bloccato dall'arrivato di Aibell che aveva troncato il dialogo con Audrey. Fu la stessa Aibell a spezzare lo stallo, del tutto apparente e forse avvertito solo da Leah, con una richiesta che spiazzò la primina. Aveva del tutto scordato il libro sulle sue ginocchia e in ogni caso non credeva potesse interessare a una sconosciuta.
    "Il libro? Certo, prendilo pure," e con la mano destra glielo porse.
    Senza più il libro, però, le distrazioni a sua disposizione erano finite e la sua mente, come spesso accadeva, le fece ripercorrere la più recente figuraccia. Assieme a esse vennero a galla gli interrogativi maturati senza che quasi se ne rendesse conto. L'occasione fece il resto: aveva un prefetto davanti e tempo a disposizione per ottenere dettagli in più sulle regole di Hogwarts.
    "Sicura che non avrai problemi se resto?" chiese ad Audrey, tanto per spezzare il ghiaccio. "E posso farti un'altra domanda? Che cosa fa un prefetto? Che poteri avete? Oltre autorizzare gli altri studenti a fare cose che non dovrebbero, intendo." Riuscì a formulare l'intera domanda senza che la voce le tremasse, e anche il tono le sembrò abbastanza rispettoso da compiacere qualsiasi potente e indurlo a parlare. Mostrarsi troppo curiosi con un'estranea poteva facilmente ritorcerlesi contro.

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    Roy Alexander Meyers

    II anno | Serpeverde |Scheda
    ⊱ narrato -« parlato »- pensato

    Le braccia di sua madre erano sempre state il più caldo ed accogliente rifugio. I suoi abbracci non erano mai eccessivi o troppo prolungati, la sua stretta era rassicurante, protettiva, possessiva, eppure delicata come il tono della sua voce che sussurrava contro l’orecchio del dodicenne le consuete mille raccomandazioni. In tempi più bui tra quelle braccia erano sparite le urla e le lacrime, ma quel primo giorno di settembre sparivano solo le voci urticanti e fastidiose delle centinaia di anime che colmavano la piazzola lastricata di fianco al treno a vapore scarlatto, e non era poi così male. Sospirava piano, Roy, che nonostante il suo proverbiale caratteraccio non sapeva davvero negare a sua madre quei soffici abbracci: forse perché dopo aver condiviso un’esistenza tanto turbolenta e vissuto come unico supporto reciproco, l’idea di lasciarla sola un po’ lo preoccupava. Era un ragazzino arrogante e scontroso, era colui che avrebbe regnato su tutte le genti, innalzandosi al di sopra della plebaglia informe che gli si affollava attorno, schiacciando chiunque avesse osato frapporsi tra lui e le sue ambizioni, era intrattabile, fastidioso e sadico, sì. Ma la mamma era sempre la mamma, e tra le sue braccia non si sentiva affatto un patetico mammone, tutt’altro: si sentiva l’uomo più forte del mondo. E lei restava una donna fragile, da stringere con forza, sebbene in effetti sola non lo fosse poi così tanto.
    « Hai preso tutto, vero?»
    « Sì mamma.»
    « Non litigare con i tuoi fratelli. »
    Non sono i miei fratelli.
    Sospirò in risposta, sforzandosi di annuire prima di indietreggiare di un passo per districarsi dalla gradevole presa di sua madre, che gli sorrise raggiante.
    « Bene. Ci vediamo a Natale, allora. »
    Annuì ancora una volta, Roy, questa volta chinandosi appena a stringere con forza il manico del suo baule che, dannazione, pesava un accidenti. Ma si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno per trasportarlo, questo era certo.
    « Non bruciare casa mentre non ci sono, mamma. »
    La donna rise, un istante prima che Roy avvertisse il peso di una poderosa pacca che lo raggiunse al centro esatto della schiena e che sentì vibrare tra le scapole, seguita a breve dal sorriso raggiante di Noelia, che gli scoccò un bacio rumoroso ed umidiccio sulla guancia.
    « Tranquillo, penserò io a domare le fiamme se tua madre dovesse litigare con i fornelli. Fai il bravo, Roy, va bene? »
    La stessa mano che lo aveva colpito alla schiena affondò tra i suoi capelli in quella che sembrava una carezza, alla quale il ragazzo si sottrasse garbatamente ma con un sibilo stizzito.
    « E tu non scombinarmi i capelli. »
    « Ah già, scusa, ogni tanto dimentico che sei entrato nella fase “i capelli no”. »
    Noelia ridacchiò sotto lo sguardo omicida di Roy, che borbottando si accostò alle due donne per scoccare due rapidi baci sulle loro guance prima di dar loro le spalle.
    « Ci sentiamo. »
    Bofonchiò sbrigativo, poi si fece largo tra Sean, Nathan e John, quelli che sua madre aveva osato indicare con l’orrido ed erroneo appellativo fratelli e li precedette in direzione del vagone, camminando con tutta l’eleganza di cui disponeva ma con gli occhi dardeggianti di un incondizionato odio verso il mondo. Adesso che il momento di tranquillità con sua madre si era concluso il piccolo Figlio di Salazar si sentiva sopraffatto da tutto ciò che di negativo si trovava in prossimità del binario 9 ¾: il presunto senso dell’umorismo di Noelia, i suoi stupidi figli che lo seguivano, la gente che si accalcava ovunque, spintonandolo più di quanto fosse disposto a sopportare, e quel maledetto baule che pesava un accidenti, sormontato dal trasportino dentro il quale Caesar miagolava tutto il suo disappunto.
    « Tranquillo, ora ti faccio uscire. »
    Soffiò spazientito, spingendo via con un piede il baule di Nathan, che sperava di precederlo sul vagone.
    Sul serio, voleva botte quel Troll insulso?
    Si scambiarono uno sguardo, soltanto uno, che Roy caricò di tutto il suo disprezzo e tutto il suo odio, e che fu più che sufficiente perché il ragazzo indietreggiasse di un passo, lasciandogli libero accesso. La sua espressione si accartocciò appena, nello sforzo di sollevare il baule, ma alla fine riuscì nell’impresa: un punto in favore della sua virilità da dodicenne, eh?
    Lo poggiò sul pavimento ligneo, e lo trascinò per un paio di passi prima che la voce dello stesso Natha, un po’ timorosa, attirasse la sua attenzione.
    « Aehm… Roy? »
    Si fermò. Sbuffò. Non lo guardò.
    « Che vuoi? »
    « Di là c’è uno scomparto che sembra libero. Vieni con noi? »
    Sbuffò di nuovo.
    « Mi spettano i primi scompartimenti. Sono un prefetto, pezzente. »
    Lo disse con tutta la spavalderia e l’arroganza di cui era capace, mentre riprendeva a camminare in direzione radicalmente opposta rispetto ai fratelli. Sentì John ridere di quell’insulto, che interpretò come teatrale ed amichevole (Sono serissimo, pezzente al quadrato.) e gli altri due dissero qualcosa sul vedersi dopo che Roy decise di ignorare deliberatamente. Non dovette camminare a lungo, prima di raggiungere lo Scompartimento Numero Uno, l’unico ad essere effettivamente degno di ospitare la sua regale essenza, ma rimase sorpreso nel vedere come fosse già… un tantino affollato. Eppure, si mantenne calmo, impassibile, del tutto inscalfibile mentre con la mano libera apriva la porticina scorrevole d’ingresso.
    Ragazze.
    Tante ragazze.
    Le fissò una ad una, con sguardo algido, come se la loro presenza a stento lo riguardasse. Riconobbe due di loro come sue compagne Serpeverde, ma la terza non l’aveva decisamente mai vista. Sapeva solo una cosa di lei, una cosa davvero molto brutta: era al suo posto. Quello accanto al finestrino.

    « Signorine. »

    Salutò, trascinando all’interno dell’abitacolo il trasportino di Caesar ed il suo baule. Adagiò temporaneamente il primo sul sedile, e questa volta si cimentò in una ben più controllata performance da aspirante maschio Alpha nell’issare il proprio baule sulla retina posta al di sopra dei sedili di destra, senza scomporre l’espressione ma fracassandosi interiormente e silenziosamente la spalla sinistra. Conclusa la sua dimostrazione di virilità (perché mai usare la magia quando si poteva apparire fichissimi?), si lisciò la ben sagomata t-shirt nera, e quasi casualmente fu attratto dalla vista di un altro micio, in grembo ad una delle sue compagne Serpeverde. Beh, Caesar era ancora troppo giovane ( o troppo snob) per importunare gli altri gatti, non sarebbe stato un problema. Aprì dunque il trasportino, e ne estrasse un micio davvero ma davvero imbronciato, che tenne al petto con un solo braccio mentre adagiava di fianco al baule anche quella diabolica gabbietta che tanto turbava il suo compagno felino.

    « Roy. E quello sarebbe il mio posto, ma farò finta di niente per questa volta. »

    Esibì un sorrisetto inquietante, nel manifestare il suo disappunto, prima di lasciarsi cadere seduto di fianco a quella che aveva già etichettato come irritante mocciosa ruba-posto.
    Quasi incombente. Quasi minaccioso.

     
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    Un secondo sorrisetto insolente seguì il primo e si fece lentamente strada sul mio volto, quando riuscii a constatare di essere riuscita a mettere in imbarazzo la mia interlocutrice con una sola frase. Glielo lessi in faccia, il cambiamento in lei fu drastico. La sua esitazione nelle prime frasi che mi aveva rivolto doveva essere semplicemente un riflesso del nervosismo che attanagliava ogni studente del primo anno appena salito sul treno, di quel timore di dover passare anni in un luogo mai visto. Non avevo notato vero imbarazzo nelle sue parole, non fino a quando non decisi di farle credere di essere entrata nel posto sbagliato. Si irrigidì sotto i miei occhi, il suo corpo sembrò diventare un tronco di legno. Balbettò delle scuse mortificate, mentre probabilmente rifletteva su come tirarsi fuori da quel guaio. Non c'erano cartelli, disse. Un ghigno divertito continuava ad essere dipinto sul mio volto. No, hai ragione, non ce ne sono. Non ebbi la decenza di dirlo ad alta voce, tuttavia. Provavo fin troppo piacere nel mettere la gente in imbarazzo per far cessare quel momento di panico nella mia interlocutrice. Quando finsi di darle il permesso di rimanere, la ragazzina sembrò tranquillizzarsi notevolmente, tornando lentamente ad assumere il suo colorito naturale. Mi ringraziò educatamente, lasciando intendere di non essere entusiasta all'idea di doversi far strada tra la folla per il corridoio ghermito di studenti urlanti. Incuriosita, continuai ad osservarla, prima che la mia attenzione venisse distolta dal cigolio della porta dello scompartimento. Mi voltai di scatto, sorridendo entusiasta alla vista di Aibell Cavendish, una delle poche persone di cui avevo sentito la mancanza quell'estate. Ero troppo felice di rivederla per fingere che così non fosse. Balzai in piedi, ricambiando immediatamente l'abbraccio della mia compagna. Finalmente avrei avuto nuovamente intorno la sua presenza irritante. Una lieve spinta da parte mia seguì la sua affermazione sulla mia altezza, visto che i centimetri che mi aveva donato la pubertà sembravano essere sempre troppo pochi. « Eeeeh, Watusso, falla finita » la rimbeccai, rivolgendole una linguaccia. « Hai rovinato il momento commovente, complimenti » aggiunsi ironicamente, rimproverandola per quell'uscita. D'altra parte, la gentilezza e il tatto non erano mai state componenti del nostro rapporto di amicizia, non erano caratteristiche che ci avevano mai rispecchiato. Il commento della mia amica, mi fece tornare alla mente il mio baule. « Oh giusto » feci, riscuotendomi immediatamente dal mio torpore. Per quanto mi sarebbe piaciuto schiavizzare qualcuno, quell'enorme aggeggio stava diventando d'impiccio. Estrassi quindi la bacchetta, per puntarla contro di esso. In un attimo, la mia mente immaginò quell'oggetto librarsi in aria, fino ad adagiarsi sulla cappelliera sopra la mia testa. « Wingardium Leviosa » sussurrai, lasciando che il mio catalizzatore guidasse il baule in quello spostamento. Sospirai di sollievo quando l'incanto fu riuscito - si trattava pur sempre della prima magia compiuta a distanza di mesi, e non potevo mica fare la figura della novellina. Mi sedetti stancamente al mio posto, appoggiando il capo all'indietro. Il mio sguardo divertito saettava da Aibell a Leah, osservando i volti delle due ragazze durante il successivo e freddo scambio di battute. Scoppiai a ridere, inclinando leggermente il viso mentre osservavo la Cavendish allungarsi per prendere il libro della ragazza. A giudicare dall'espressione della bionda, non sembrava una fan della mia migliore amica. « Devi scusarla » dissi a Leah con un sorrisetto sornione, accennando alla Serpeverde, alla quale rifilai una gomitata scherzosa. « Soffre la mancanza della sua dolce metà ». E quella dolce metà aveva un nome. Victor Ledrec De Lafevre, Tassorosso e fratello di Pauline. Il feeling tra lui ed Aibell era stato evidente fin dalla loro prima conoscenza, ma solo prima dell'estate quella cosa che c'era tra loro si era concretizzata. Ovviamente, era un anno che punzecchiavo Aibell su quella storia, nonostante fossi terribilmente felice che stesse con il Tassorosso. All'inizio la cosa mi aveva sorpresa, visto che non ero mai stata in grado di rallegrarmi per la felicità di qualche altra persona. Era un segno di come il mio rapporto di amicizia con la Serpeverde fosse diventato molto più forte di qualsiasi rapporto di amicizia avessi mai sperimentato - se me l'avessero detto al mio arrivo ad Hogwarts, non ci avrei creduto. Quando il silenzio iniziò a diffondersi per lo scompartimento, Leah tornò a rivolgersi a me con tono di scusa. Avevo quasi dimenticato di essermi inventata quella tavolata poco prima. Un sorriso impertinente tornò ad aprirsi sulle mie labbra. « Oh no, tranquilla » risposi sinceramente con un sorriso, visto che la presenza della ragazza non avrebbe potuto procurarmi alcun problema. La sua frase finale mi fece sorridere divertita. Per quanto fosse intimidita dalla situazione, era evidente che la mia interlocutrice avesse carattere da vendere. « Ci sono due prefetti per casata, scelti in base al merito » esordii, sollevando leggermente il busto per poi chinarmi in avanti. In realtà non sapevo precisamente quali fossero i canoni sulla base dei quali avvenisse la scelta dei prefetti, quindi avevo un po' sparato a caso. « Si tratta di una carica che comporta privilegi e responsabilità. Dobbiamo semplicemente accertarci che gli studenti non violino le regole; se lo fanno, possiamo togliere punti alla loro casata di appartenenza o decidere se e come punirli. Ci sono anche i capiscuola, due per casata, scelti tra persone che abbiano superato il quinto anno » dissi, ancora leggermente piegata in avanti, distratta soltanto dall'apertura della porta scorrevole dello scompartimento. Ad aggiungersi a noi fu Roy, il neo-prefetto del secondo anno. Entrò con la solita espressione glaciale dipinta sul viso, rivolgendo un saluto freddo a tutte le presenti. Lo osservai darsi da fare per issare il proprio baule sulla cappelliera, sentendo un sorriso beffardo comparire sulle mie labbra. « Ma quanto sei forte, Roy? » decisi di punzecchiarlo, rivolgendogli un'occhiata divertita. « Potresti sollevare una montagna ». Provocare il neo-prefetto; dubitavo che chiunque fosse dotato di un minimo di istinto di autoconservazione lo avrebbe fatto, dato il suo caratterino. Avevo avuto modo di conoscerlo durante il tutoraggio dell'anno precedente, di rompergli le palle con raccomandazioni e ramanzine, perciò sapevo che il ragazzo era uno che non le mandava a dire. Era proprio questo a rendere più divertente il fatto di punzecchiarlo. « Oh, comunque ho saputo la novità » aggiunsi poi, accennando alla sua nuova carica. « Scommetto che ti dona la spilla » commentai, lasciando intendere che mi facesse piacere che fosse diventato prefetto. Non glielo avrei detto esplicitamente, non ero il tipo che faceva complimenti agli altri per gli obiettivi raggiunti. Il mio sguardo saettò poi verso Leah, cercando di capire se avesse smascherato la bugia che le avevo detto al mio arrivo. Sapevo di averle detto che ci fossero due soli prefetti per casata, quindi il fatto che ci fossero già tre studenti Serpeverde con meno di quindici anni in quello scompartimento rischiava di far saltare la mia copertura.

    « Detesto il poema ciclico, e non m’interessa il sentiero che porta molti qua e là; odio pure l’amante che va con tutti, e dalla pubblica fontana non bevo: mi nausea tutto ciò ch’è comune. Tu, Lisania, sei bello, bello proprio – ma prima che io possa dirlo chiaramente, ecco che l’eco ribatte: “…proprio di un altro!” » [Epigramma 43, Callimaco]

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    L'estate era piacevolmente finita ed io non vedevo l'ora che ricominciasse la scuola per potere scoprire qualcosa di nuovo. Quell'anno sarebbe stato il mio quinto anno ad Hogwarts e tantissime cose erano cambiate dalla prima volta in cui avevo preso il treno che mi avrebbe condotta a scuola. Amicizie perdute, inimicizie create, il morbo di Helianthus sempre più presente ed incombente sulle teste di tutti noi. Insomma, non le migluori prospettive per ricominciare la scuola, ma senza dubbio promettenti. Più o meno.
    Sul mio petto brillava luccicante la spilla da Caposcuola, carica che mi era stata assegnata qualche giorno prima e che adesso tenevo appuntata con orgoglio alla divisa. I miei grandi occhi verdi scrutavano la folla alla ricerca di volti conosciuti, mentre con evidente difficoltà trascinavo il baule e le numerose gabbie contenenti il mio zoo personale: Senza Nome, il petauro, e Josephine la mezza kneazle. I capelli quel giorno ricadevano in morbide ombre sulla camicia bianca ed il gilet grigio, mentre il mantello con i colori della propria casata era sotto il mio braccio perché faceva ancora troppo caldo per indossarlo. Accaldata e con un filo di sudore sul volto, saltai sul treno per cercare uno scompartimento libero e al contempo cercare qualche compagno. Finalmente, dopo qualche minuto di ricerca, scorsi i volti conosciuti dei miei compagni Serpeverde, Audrey e Bells, poi Roy il nuovo prefetto che però conoscevo poco ed una ragazzina mai vista. Bussando con le nocche contro il vetro, annunciai la mia presenza Cyaaaaao dissi salutando con la manina paffuta tutti quelli che si trovavano li. Che per caso c'è un posticino ino ino per me? dissi ancora, guardandomi intorno alla ricerca di conferme. Quando queste mi furono date, evocai un incantesimo di levitazione per far voltare il baule e le gabbie sugli scompartimenti sopra le nostre teste, prima di prendere posto finalmente sui comodi sedili. Complimenti per la promozione Roy! Sono contenta di averti in squadra! Audrey, sono felicissima per la tua riconferma! le dissi, scoccandole poi un bacio sulla guancia, sorridente. Soffiai un bacio anche ad Aibell e poi concentrai la mia attenzione sulla primina. Ciao, io sono Cannie, Caposcuola dei Serpeverde. Benvenuta ad Hogwarts, sono sicura ti troverai benissimissimissimo! e le allungai la mano affinché potesse stringerla.
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    Serpeverde - IV Anno - scheda

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    Aveva afferrato il libro senza porre troppa attenzione alle parole della primina, ormai catturata dal primo passatempo che l’avrebbe accompagnata almeno per un po’ durante il lungo viaggio appena iniziato. Il suo subconscio aveva soltanto registrato la banalità del suo nome e qualcos’altro di leggermente strano e a tratti fastidioso, non spingendosi oltre. Prima di cominciare a sfogliarne le pagine, Aibell diede un’occhiata alla copertina: una parte del bordo era leggermente rovinata e il titolo enunciava ben chiaramente il contenuto del tomo. Ne dedusse, soprattutto dopo essere arrivata al punto in cui Leah aveva fino a poco prima tenuto il segno con un dito, che la bambina non dovesse avere molta familiarità con il mondo magico inglese; in effetti, più che un’ipotesi, il libro era stata più una conferma di un dubbio che già le era frullato in testa non appena l’aveva sentita parlare: il suo non era certo un accento comune, probabilmente era stato quello a turbarle l’udito poco prima. « Almeno io ce l’ho, una metà. » Non si era nemmeno degnata di sollevare gli occhi dalle righe di inchiostro, mettendo su una smorfia un po’ imbronciata, un po’ beffarda. Tuttavia non poteva negare le parole di Audrey, anzi, a dire la verità ci aveva preso proprio. Sbuffò, spazientita da un’attesa che pareva destinata ad essere infinita, domandandosi dove diavolo fosse finito Victor: era decisamente tentata di alzarsi di punto in bianco e di mettersi a cercarlo per tutto il treno, a costo di dover entrare in ogni singolo scompartimento. E stava quasi per mettere in atto il piano disperato, quando dall’entrata fece capolino un viso familiare e decisamente insofferente — come al solito: si trattava di Roy Meyers, neo prefetto di Serpeverde. Sperava di vedere qualcun altro, anche se la vista del ragazzino del secondo anno non mancò di farla sogghignare sotto ai baffi: ci sarebbe stato da divertirsi. Al suo saluto si limitò a sollevare la mano destra per ricambiare silenziosamente, osservandolo divertita mentre si mostrava in tutta la propria mascolinità e sorridendo sorniona ai commenti ironici dell’amica che le stava accanto. C’era da dire che i due non avessero mai approfondito il loro rapporto da banali compagni di casa, tuttavia non erano pochi i momenti nei quali le era capitato di incrociarlo, complice anche il fatto che Audrey gli facesse da tutor; un po’ la invidiava per questo, era sicura che lei e Roy avessero più di una casata in comune. L’atteggiamento passivo-aggressivo era sicuramente una evidente somiglianza, per la quale non poteva che prendere il secondino in simpatia; in più, possedevano entrambi un felino dal carattere peculiare. Myou, dal canto suo, sembrava non aver notato affatto la presenza di un suo simile all’interno dello scompartimento, troppo occupato a sonnecchiare sulle gambe di Aibell. Quella mattina le era parso fin troppo tranquillo, ma aveva deciso di godersi l’evento secolare fin quando sarebbe durato. « Sicuramente quest’anno ci sarà una strage. » Seguitò al riferimento di Audrey alla spilla dorata di Roy, riferendosi implicitamente al caratteraccio del nuovo prefetto a cui Serpeverde avrebbe dovuto fare riferimento; sfortunatamente, si disse, non aveva la facoltà di togliere punti ad altre casate oltre alla propria, altrimenti la Coppa delle Case avrebbe decretato la verde-argento come casata vincitrice già il primo giorno. Dopo un breve attimo di riflessione chiuse il libro, porgendolo nuovamente alla legittima proprietaria, consapevole che ormai la lettura non l’avrebbe distratta. Riponeva allora totale fiducia nelle capacità argomentative del resto dei presenti, pregando perché la conversazione non virasse su toni noiosi. « Come mai sei venuta fino in Inghilterra? » Si rivolse a Leah, dopo che la compagna ebbe finito di illustrarle i tediosi compiti da prefetto, riportando una mano sulla testolina pelosa del micio. « Dev’essere stato un viaggio faticoso. » Le tornò in mente la prima volta che aveva utilizzato una passaporta e, assieme all’iniziale scombussolamento, per un momento sembrò rivivere anche la nausea fastidiosa che ne era derivata. In quel momento fece la sua entrata anche la caposcuola di Serpeverde, Carrie-Anne, la quale si era premurata di salutare le due compagne con un affetto a cui ormai erano abituate. « Ciao, Cannie! » Mancava soltanto Pauline e l’intera casta verde-argento sarebbe stata al completo. ”A proposito di Pauline…“ « Ehi, Cannie… Non è che hai visto Pauline, per caso? » Avendo un ruolo in comune, pensava, era probabile che le due si fossero viste. E dato che, solitamente, dove era Pauline era anche Victor, facendo due più due… Anche se, a dire il vero, sapeva che negli ultimi tempi il rapporto tra i due fratelli si fosse nettamente raffreddato. La speranza, in ogni caso, era l’ultima a morire — soprattutto in questo frangente. « Dovrei parlarle di una cosa, ma non so in quale scompartimento sia finita. » Mise su l’espressione impensierita più convincente che poteva, evitando eventuali occhiate eloquenti da parte di Audrey. Ancora si domandava per quale Salazar di motivo dovesse sempre sapere tante cose.
    role code by @izzy — copiare è peccato e io sono satana
     
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    Ecco una cosa che non aveva pronosticato, né mai avrebbe azzeccato se anche avesse tentato la previsione. Il viaggio in treno le aveva fornito delle prime rudimentali nozioni sul mondo magico, e nell'aria si leggevano tutti i presagi perché con il passare del tempo - compagni permettendo - il suo bagaglio si arricchisse ancora. Tanto per dirne una, era stata una stupida a pensare che le studentesse più grandi avessero bisogno del suo aiuto per caricare i bauli quando bastava loro agitare la bacchetta. Audrey fece così, guadagnandosi la sua massima attenzione per poi perderla quando il discorso scivolò in zona Aibell e dolci metà.
    "Non ne avevo idea, mi spiace," replicò, tenendo ben ferma la linea della neutralità con l'amica della prefetta. L'amore fino a quel momento le era interessato solo al cinema o in tv, e iniziare da una studentessa acida persino con la sua amica non le sembrava il modo migliore.
    Il tempo investito con Audrey diede invece i suoi frutti. Spesso alle persone più esperte non piaceva dare spiegazioni ai giovani curiosi, il fastidio si manifestava subito sui loro volti e il tono della voce diventava vagamente simile a quello di Aibell. Ad Audrey il ruolo di guida sembrava non dispiacere e la cosa incoraggiava la curiosità di Leah.
    "Quindi i punti sono importanti, dal libro avevo capito che fosse più un gioco," benché stesse ancora guardando Audrey, la frase era più un appunto mentale a voce alta utile al suo cervello per archiviare correttamente i dati prima di analizzare le informazioni restanti. Quella seconda operazione venne interrotta dall'arrivo di un ragazzino secco come un chiodo e dall'aria altezzosa. Se avesse avuto la Union Jack tatuata in volto, quel tipo sarebbe comunque apparso meno british del suo saluto. Per un attimo, nel vederlo sollevare il baule a forza di braccia, Leah pensò che fosse uno del primo anno, incapace di usare la magia come lei, poi Audrey lo apostrofò come fanno gli adulti con i bambini che hanno qualche tipo di problema per incoraggiarli e l'ipotesi cadde. Era un ragazzo conosciuto dalle studentesse più grandi. Un secondo sguardo al fisico del ragazzo le fece ipotizzare una malattia che lo avesse debilitato nel corpo l'anno precedente. Quello avrebbe giustificato le attenzioni particolari a lui rivolte.
    "Piacere, io mi chiamo Leah," rispose per la terza volta, e per quanto le parole del ragazzino suonassero scortesi - non stava scritto da nessuna parte che quel posto fosse riservato - si sforzò di sorridere. In una situazione normale, a quel ragazzino scontroso avrebbe riservato la neutrale cordialità usata con Aibell, e il discorso si sarebbe concluso dopo le presentazioni. L'orgoglio di Leah non era però tanto sviluppato da trasformare la questione finestrino in una di principio e lasciare che un ragazzo potenzialmente fragile, forse convalescente o chissà che altro, si giocasse la salute solo per il pessimo carattere. "Se rischi di sentirti male posso lasciarti il posto accanto al finestrino, per me non sarebbe un problema," e non ci sarebbe stato niente di strano. Leah aveva alle spalle abbastanza esperienza sui mezzi pubblici da poter raccontare di omoni ben più grossi e in forze di Roy stramazzati al suolo per il caldo o colpiti da problemi di stomaco solo per essersi seduti nel senso opposto a quello di marcia. Dustin, un suo compagno alla scuola babbana, nelle gite sedeva sempre in prima fila accanto al finestrino per colpa del mal d'auto. Con quelle promesse scoprire che anche lui era prefetto fu scioccante, anche per un'americana che abbia appreso della loro esistenza da non più di cinque minuti. La notizia la fece collegare dati fino a quel momento tenuti separati e il suo sguardo si rivolse in automatico verso Aibell. A meno che la rossa non fosse caposcuola - difficile esserne certi senza conoscere il suo anno - in quello scompartimento non era l'unica infiltrata. Esisteva la possibilità che Aibell fosse autorizzata a stare li in virtù dell'amicizia con la prefetta, perciò non poteva dirsi certa delle sue conclusioni. In ogni caso, se anche avesse scoperto di essere stata presa in giro, cosa avrebbe ottenuto nel rivelarlo ad Audrey? Di certo non delle scuse da una ragazza più grande. Avrebbe dovuto tacere e accontentarsi di scoprire se la prefetta fosse o meno una da cui guardarsi le spalle. Forse Aibell si accorse del suo sguardo, forse pensò che lei stesse aspettando la restituzione del libro, o forse, visto che lo scompartimento andava riempiendosi, si stufò di sfogliarlo. Qualunque fosse il motivo, chiuse HFD e glielo restituì.
    "E' stata un'idea di mio nonno, farmi studiare a Hogwarts. Una lunga storia," tagliò corto. Ripensare alle montagne russe che il suo futuro aveva dovuto scavallare quell'estate la fece incupire. Tanto per distrarsi ripose il libro nella borsa. Più avanti, nel corso del viaggio, con tutta probabilità avrebbe dovuto riprenderlo per affogare la noia tra le pagine scritte da suo nonno, intanto chiacchierare con Aibell, un po' meno odiosa di quando si era presentata, era sufficiente a distrarla. "La prima parte è stata faticosa, poi mi sono addormentata fino all'arrivo. Sai, 9 ore di volo scorrono lente. Per fortuna era uno di quegli aerei con gli schermi nei sedili, ne ho approfittato per rivedere Zootropolis. E' un film, lo conosci?" le si illuminarono gli occhi, e senza che se ne rendesse conto raddrizzò la schiena, staccandola dallo schienale. Avrebbe potuto parlare dei suoi film preferiti per ore e farlo l'avrebbe predisposta a dare una seconda chance anche al suo peggior nemico.
    La porta dello scompartimento venne ancora una volta dalla mano di una ragazza, la più allegra della giornata. Contagiata dal suo entusiasmo, Leah avrebbe voluto rispondere che era la benvenuta, ma non avendo la certezza assoluta di poter stare là dentro attese che fosse qualcun'altro a darle conferma. La nuova arrivata si rivolse a lei dopo aver salutato gli altri e a quel punto, viste le parole scambiate con gli altri occupanti dello scompartimento, il nome della sua casata fu una sorpresa solo per il carattere così diverso rispetto ai suoi compagni Serpeverde.
    "Piacere Cannie, io sono Leah. Lo spero, non vedo l'ora di cominciare," facendo leva con le braccia si spinse un po' avanti sul sedile, il tanto necessario a colmare la distanza fino alla mano tesa di Cannie. Leah allungò a sua volta la mano e strinse quella della caposcuola con entusiasmo. Quando tornò a sedersi, ben adagiata contro il cuscino, si sentiva a suo agio, e non solo perché aveva incontrato la prima studentessa che le andasse davvero a genio. Cannie, una caposcuola, non interessandosi a lei come primina fuori posto le aveva fornito l'ultimo indizio. Certo, Audrey non era tra le persone più odiose da lei incontrare, ancora, e anche se il suo scherzo non era così crudele aveva perso l'innocenza dopo le seconde scuse dell'americana. Quello sarebbe stato il momento adatto per rivelarle la verità senza compromettere il rapporto di fiducia. La conclusione era semplice: non poteva fidarsi di Audrey. Le sorrise simulando simpatia, come la scuola babbana le aveva insegnato a fare per salvare le apparenze ed evitare guai. In fondo che la prefetta avesse la certezza di essere stata scoperta non le interessava né conveniva.

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    Solitudine. O forse, volevi cercare Victor Ledrec. Era successo tutto in un attimo, in quel mese di Marzo maledetto in cui i miei colori erano cambiati dal meraviglioso verde ed argento ad un pallido e smorto giallo nemmeno tanto dorato. Scossi la testa - cosa che mi riusciva fin troppo bene, dato che la mia sola esistenza era un dannato scuotersi di testa - rendendomi conto di quanto fosse fastidiosa anche solo l'idea di condividere la stessa aria con mia sorella, e per quanto l'aria pesante fosse stata fin troppo arginata da una continua e volontaria distanza da lei, in un modo o nell'altro me la trovavo indietro, sempre e comunque. Quel giorno, quel primo settembre maledetto, mi allontanai da solo, raggiungendo per primo il binario e subitamente lo scompartimento. Ero fortemente temprato dall'idea stessa dell'Helianthus che la fatica al respiro ormai era per me normalmente considerabile come normale respirazione, tanto che non sentii nemmeno tanto quanto il mio cuore pompava per cercare di riprendere un fiato una volta arrivato davanti lo scompartimento. Un fulmine a ciel sereno era il volto di Aibell come ogni cosa bella che si rispetti, dopo tanto tempo che non la vedi ti sembra sempre molto più bella, radiosa, speciale. Quello che però mi sorprese non fu tanto la presenza di un gremitissimo scompartimento già occupato dalla precedentemente citata Aibell, ma anche gremito di volti nuovi che un tempo - qualche mese fa, sigh - erano stati miei compagni di casata. "Pauline non c'è, va bene il fratello psicotico?" mormorai, abbandonandomi ad una ripresa di fiato più forte del previsto, mentre con un movimento che sfidava le mie capacità fisiche riuscivo a sollevare il mio baule per metterlo nell'ultimo posto libero rimasto. "Yo'" salutai, generico, andandomi a sedere senza effettivamente capire come ed in che modo interagire con Aibell.

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    Serpeverde - IV Anno - scheda

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    « Oh, non darle retta. » Si rivolse alla piccoletta con uno sventolio della mano, dedicando una mezza occhiata esasperata ad Audrey seduta di fianco a lei. « La sua è soltanto invidia. Può non sembrare, ma anche Aud è un essere umano, in fin dei conti. » Si concesse un ghigno beffardo, avendo riguardo di farlo scomparire prima che l'amica potesse anche solo adocchiarlo. La seguente parte del viaggio proseguì con un breve ma intenso scambio di battute tra Roy e Leah, la quale incredibilmente riuscì a farle scappare un sorrisetto divertito: probabilmente la sua uscita era stata sincera, ma Aibell dubitava che il neo prefetto Serpeverde l'avrebbe lasciata passare come tale. C'era bisogno di movimento, lì dentro. Mentre Myou continuava con le sue improbabili ruffianate, la rossa si sforzava di seguire il discorso della primina, cercando di non dare a vedere la sua parziale confusione; inizialmente era convinta che entrambe avessero inteso una semplice Passaporta come oggetto della conversazione, ma ascoltando le parole della bionda si era subito resa conto di essere incappata in una Nata Babbana, oppure Mezzosangue. La cosa non la toccava minimamente, anzi, probabilmente sarebbe anche riuscita ad incuriosirla nei suoi confronti, se non si fosse trattato di una del primo anno (Aibell tende molto a generalizzare, ma le vogliamo bene comunque). Grazie alle sue buone conoscenze e allo studio costante di Babbanologia, riuscì con non troppa difficoltà a ricordare cosa fosse un aereo e, fortunatamente, il succo dell'intero monologo. « Ah… purtroppo no, ma lo aggiungerò alla mia lista. » Improvvisò un sorriso tirato, desiderando di non aver mai aperto quella inutile parentesi sulla vita di una persona che non le interessava minimamente. Quella per cui invece provava assiduo interesse, invece, pareva essersi volatilizzata nel nulla più assoluto; soltanto il pensarci le faceva rivoltare lo stomaco e annodare la gola, perché non sarebbe poi stato così improbabile. Senza pensarci, affondò le dita più pallide del solito nel pelo candido del micetto, il quale stranamente sembrò gradire. E alla fine, proprio quando stava per arrendersi all'evidenza di un Victor apparentemente assente su quel dannato treno, quasi si fosse trattato di un'apparizione divina eccolo lì, entrare dalla porta del primo scompartimento come fosse la cosa più normale del mondo. In effetti si trattava di un evento di per sé non troppo degno di nota, ma ad Aibell il cuore prese a battere forte in ogni caso. Doveva dire di essere rimasta leggermente ferita, ma non certo sorpresa, dal fatto che non le si fosse ancora rivolto direttamente — a parte quel generico yo piuttosto poco credibile se proveniente dalla bocca di uno come Victor — anche dopo essersi seduto di fianco a lei. Nonostante ciò, sentiva l'impellente bisogno di abbracciarlo e chiedergli come stava, per quanto la risposta fosse ovvia dalla fatica con la quale respirava: le si spezzò il cuore, ma non volle darlo a vedere né a lui, né agli altri ospiti dello scompartimento. Nel frattempo Myou aveva preso a miagolare senza apparente motivo, risvegliandola dalle proprie farneticazioni mentali. Portò lo sguardo che fino a poco prima era rimasto fisso sull'improbabile Tassorosso ad osservare che Salazar fosse preso al gatto, il quale dal canto suo rispondeva allo stesso modo mentre si allungava sempre più con l'intenzione di strusciarsi anche sulle gambe di Victor, quasi si stesse prendendo gioco di lei. « Sei sempre il solito gattaccio, quindi. Sciò! » Ricordandosi dell'allergia di lui, non perse tempo a chiudere nuovamente Myou dentro la cuccetta, spazzolando via freneticamente rimasugli di peli sparsi sulle sue cosce e arrivati anche su quella di Victor. « Mi dispiace… » Si accorse soltanto dopo qualche secondo di ciò che stava facendo e allora ritirò subito la mano incriminata, quasi si fosse scottata, ripromettendosi di non guardarlo più negli occhi per il resto del viaggio. Non ebbe il coraggio di dire nient'altro, estremamente imbarazzata da un contatto a suo dire fin troppo intimo e disinteressato, tuttavia non esitò a richiamare il Serpeverde del secondo anno, non senza prima schiarirsi due volte la gola. « Roy, potresti farlo rientrare anche tu? Victor ne è allergico. » Al pronunciare il suo nome la voce le si ruppe quasi impercettibilmente, ma fece comunque finta di nulla. Ora il suo intero corpo sarebbe rimasto in allerta di eventuali toccatine o strofinamenti involontari e la sua espressione non sarebbe stata capace di rilassarsi nemmeno se l'avesse voluto. E dove li avrebbero trovati gli altri due piccioncini tanto teneri e affiatati? Probabilmente da nessun'altra parte, il che forse era un bene.
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    Victor

    LEDREC

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    narrato - parlato - pensato

    Ogni volta che poggiavo gli occhi su ogni sua singola efelide, mi rendevo conto di quanto mi piacesse quella minuscola ed infinitesimale macchiolina sul suo viso. Ogni volta che mi ritrovavo a sentire lontanamente l'odore dei suoi capelli mi chiedevo se esistesse qualcosa di migliore, di più dolce, di più delicatamente tenero. Era lei, il mio prima, il mio dopo ed il mio durante ed io non avevo la più pallida idea di come ed in che modo dimostrarglielo. Era fatto tutto di sguardi teneri, di calma apparente e di odio abissale che si mischiavano. Non ci dicevamo cos'eravamo, ci dicevamo soltanto che esistevamo, insieme, nello stesso posto, vicini. Quello era il mio penultimo anno, ed i miei occhi bruciavano all'idea di dover vivere altri due anni senza di lei in giro per il dormitorio o, peggio, di allontanarmi da quelle mura ed attendere fin troppo tempo per averla con me. Sempre. Per sempre.
    Forse non avrei resistito, o forse avrei aspettato in eterno.
    Avevo paura di riferirmi a lei come la mia ragazza, avevo paura di riferirmi a lei come se lei stessa fosse una qualche sorta di divinità, una mia divinità personale alla quale avevo bisogno di pregare anche solo per poterla vedere. Avevo paura, ma per la prima volta qualcosa in me si mosse, sedutomi accanto a lei, a poggiare le labbra sulla sua guancia, morbida come una pesca matura. "Mi sei mancata" sussurrai, in un imbarazzato sospiro che non avevo idea di come poter gestire, incapace di rendermi conto che forse non era poi così tanto a bassa voce. Uno starnuto mi fece accorgere in maniera fin troppo plateale delle sue mani che si poggiavano distrattamente sulle mie cosce nel tentativo di liberarmi, in qualche modo, di quella sequela di peli di gatto che mi stava distruggendo i polmoni. "I Tassorosso sono più gatti che studenti, mi era quasi passato di mente cosa significasse non starnutire continuamente."

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