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La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l'opposto. La vera bellezza è sempre un po' inquietante.
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...Erick Miller ▾ Corvonero ▾ ½veela ▾ Caposcuola ▾ Cavaliere ▾ Cacciatoreil caso, il semplice caso, complottava con la notte per fargliela incontrareA sedici anni è difficile aprire una porta e trovarsi in fronte la tua ex. Non è una cosa che la natura contempla quella, e forse per questo s’accavallano una quantità contratta di sentimenti, tutti insieme, talmente tanti da non riuscire a metterli a fuoco.
E come c’era finito lì?
Non "lì" nel bagno che era riservato ai Capiscuola e Prefetti, ma come ci era finito con lei lì in quel momento a condividere lo stesso spazio! Come s’era trovato in quella straordinaria circostanza? Come era diventato Caposcuola bruciando le tappe? E soprattutto, la domanda principe, quella che scalzava tutte le altre…perché bastava lei presente in una stanza perché si sentisse a casa?
Ora gli capita, nel frammezzo fra un battito e l’altro del cuore, di sentirsi svegliato di colpo da un torpore tremendo. Quel suono della sua voce, incurante, cordiale, non tradisce nessuna incertezza, ci sono solo pause lunghe. Pause in cui Erick ammasserebbe discorsi interi ma non è certo che lei vorrebbe così.
I ricordi gli tornano in mente in ordine sparso, ricordandogli lo stato delle cose e non riesce che a richiudere quel vaso di Pandora quando tutto ciò che conteneva è tornato disordinato finendo per esplodergli nella mente. La vita sentimentale di Erick era stata come un errore tipografico: scriveva e riscriveva costantemente cose su cose. Come avevano fatto ad arrivare al punto in cui ciò che volevano dirsi fluttuava nelle pause che dominavano la conversazione?
Rise. Inizialmente tristemente, poi la risata si tinse di nostalgia, di sollievo. Si avvicinò al lavandino e con uno sforzo tremendo riuscì ad avvicinarsi allo specchio, per levarsi alcune foglioline che gli avevano infilato tra i capelli per gioco alcune bambine Corvonero del primo anno. Avevano acconciato una ghirlanda -più o meno-, delle margherite -più o meno- e lui gliel’aveva lasciato fare.
Non che le cose nella loro totalità andassero bene per lui, viveva sogni difficili, duri, dormiva raramente serenamente e troppe volte si era finito per tirare fino allo stremo con le energie. Come le aveva detto una volta, “non sono il più talentuoso dei maghi". Era vero. Unica nota davvero positiva la presenza della Holland, le loro partite a scacchi.
Eppure provava ancora uno strano briciolo riverbero di tenerezza per la Ashfield, anche se sapeva di non valere più niente per lei. Le ragazze di solito arrossiscono quando capitano in situazioni del genere, sbraitano, scalpito ma, non Leah e non sa se sia un bene o un male.
Erick sapeva di aver fallito su tutta la linea con lei. Cosa, ancora non l’aveva capito a distanza di anni,
«Ciao!» è un ciao strano. La nota di felicità nell’averla incontrata non riesce a nasconderla, anche se è stato uno sbaglio. Lei è incastrata lì, fra sentimenti inespressi e cose mai successe, nel frammezzo di altre che lui non vuole dimenticare.
«Non dovrei essere io a scusarmi con te, invece?» glielo chiede con fare giocoso, quasi la volesse assolvere da ogni possibile sottointeso di quella sua uscita. Ha una bellissima treccia che pigra le si posa addosso, disegnandone forme diverse da quelle di anni prima. Anche lui. Lui è decisamente più alto, più uomo, la voce più cupa, lo sguardo non si preoccupa nemmeno di nascondere una malizia procuratagli neanche dal fatto che sia una ragazza in accappatoio, ma lei. Gli farebbe lo stesso effetto persino coperta di fango, come quella volta che s’erano tenuti la mano a Cura e lui, in un moto di coraggio, le aveva detto: “Tu mi piaci, mi piaci tanto, più di tutti gli altri”.
E se anche quelle non erano state le parole esatte, quello era il senso.
I suoi pensieri inespressi gli fluttuano attorno intrusivi, quasi tangibili, insieme ai profumi.
Quello che provava con lei attorno era una sensazione euforica e qualunque cosa fosse ancora vivo di quel sentimento d'amore lo lasciò sbigottito. Gli abitava il corpo, sollo la pelle. Dopo una manciata di secondi non era neanche più un sentimento ma una sensazione fisica, reale, non distante dell’ubriachezza. Il corpo intorpidito e iperconsapevole al tempo stesso, gli aveva acuito i sensi, il cuore accelerava, martellando.
Alla fine lui smise di ridere e le rivolse un sorriso mesto. Un sorriso che aveva saputo fare sempre e solo per lei. Quella volta capì che non era un sorriso umano, era invece una colorazione protettiva. Una forma di adattamento. Lo proiettava all’esterno di sé dove il mondo era orribile e tratteneva quella confessione che s’augurava entrambi avessero percepito in tempi più felici ma non si era mai concretizzata.
Ai ragazzi, ai maschi intendo, si chiede sempre tanto e troppo, spesso, anche di sapere quando tacere. E lui taceva, semplificandosi con la violenza con cui si stralciano le frazioni per farsi comprendere meglio, amputandosi del superfluo.
«Se hai qualcosa di cui vuoi parlare» le disse pacato «sai che puoi. Posso ascoltati e lo faccio sempre volentieri».
Districava una ennesima margherita dai capelli. Quella, gliela avevano annodata proprio bene, iniziava a spappolarglisi fra le dita.
S’aspettò non ci fosse molto da dire.
S’aspettò di sentire i passi di lei allontanarsi e come quella volta, in Norvegia, l’avrebbe lasciata andare -rimpiangendolo forse tutta la vita- nell’illusione che potesse sentirsi libera anche se imprigionata nella sua spilla come lo era lui.
Sticazzi! bofonchia con poca eleganza.
Almeno aveva potuto rivederla, cosa affatto scontata in un posto come quello.
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