Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Laugh it off

Per Alk@line

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    Leah Ashfield
    Caposcuola | Sesto anno | Metamorfomagus | 17 anni | scheda

    Lo scatto della serratura mi isola dai compagni che scendono in sala grande per cena.
    Stasera non ho fame. È stato un lunedì lungo e faticoso, il bisogno di relax può essere soddisfatto soltanto da un lungo bagno nella vasca gigante dei prefetti.
    Apro i rubinetti. Mentre la vasca in marmo si riempie, e nella stanza viene diffuso l'aroma fruttato intenso dei bagnoschiuma, sciolgo la treccia a mano, facendo cadere i residui dell'ultima gita di trasfigurazione che vi si sono impigliati. Scivolo nell'acqua, la schiena poggiata al bordo e a occhi chiusi lascio che le bolle e i fumi prodotti dai rubinetti magici sciolgano la tensione delle lezioni un po' alla volta.
    Tra la schiuma e le bollo ritrovo la spugna, con la quale ricomincio a massaggiare la spalla. Ogni volta ci insisto troppo. Sfrego, strofino e premo, ma ancora il colore non spurga del tutto. Dove è stata bucata, la pelle è lucida come fosse ustionata. Il tatuaggio fallito un po' alla svolta sta svanendo ma ha ancora l'aspetto malsano di un braccio in cancrena. Dovrei stare più attenta a mischiare prodotti per pozioni e colori o tra qualche anno mi ritroverò ad avere la pelle di una vecchia.
    Sarebbe più facile se potessi lavorare in studio, chiedere consigli al signor Al Nadir o al signor Wallace.
    L'anno prossimo.
    Adesso sono maggiorenne, posso scegliere ed evitare di sprecare un anno come quest'ultimo. I voti fanno pena, la presenza a lezione è crollata, per non parlare della voglia di stare dietro a compiti, spiegazioni, esami.
    Hogwarts non è più il luogo per me, ammesso che lo sia mai stato davvero. No. Non devo pensarci ora o il mio bagno rilassante verrà rovinato. Prendo una boccata d'aria e mi immergo, sciacquando via la schiuma dal corpo e il balsamo dai capelli.
    Vorrei stare così per ore, ma credo che la cena stia finendo e sia meglio prepararsi per le ronde. Uscita dalla vasca mi avvolgo nell'accappatoio, tiro su il cappuccio e do una prima, rapida asciugata alla testa mentre mi avvicino agli specchi accanto all'ingresso.
    Porto i capelli sul davanti, facendoli scivolare sulla spalla destra dopo averli raccolti in unica treccia, poi comincio a spazzolare. Li ho lasciato crescere troppo, ancora una volta hanno superato le spalle. Sono scomodi, non fanno che raccogliere tra i nodi lo sporco delle lezioni di erbologia o cura. E poi non mi stanno neanche così bene. Li accorcerei subito per magia se non fosse così appagante raccogliere i ciuffi lisci nel palmo della mano.
    All'improvviso il suono della porta interrompe il mio relax. D'istinto porto la mano a chiudere la scollatura dell'accappatoio, nascondendo allo specchio ogni lembo di intimo. Gli occhi corrono alla figura che oltrepassa la soglia.
    La calma appena recuperata viene infranta dai suoi lineamenti perfetti. La mano immobile, lo sguardo fisso. Non so nemmeno quanto tempo impieghi la bocca a ricevere ed elaborare l'ordine di dire qualcosa. Lo staff della scuola è composto in maggioranza da ragazze, ma io, oggi, dovevo incontrare proprio lui.
    "Ciao," niente più di un saluto. Ho messo talmente tanto impegno nel non pensare a lui da averlo trasformato nel mio fantasma. Ho speso tanto tempo a evitarlo da non sapere nemmeno come dovrei comportarmi. Eppure sono passati anni, e c'è stato così poco.
    "Scusa, ho finito," senza pensarci accorcio i capelli con i poteri. Non dovendo più pettinarli posso girarmi e tornare in spogliatoio.

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    La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l'opposto. La vera bellezza è sempre un po' inquietante.

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    Erick Miller ▾ Corvonero ▾ ½veela ▾ Caposcuola ▾ Cavaliere ▾ Cacciatore

    il caso, il semplice caso, complottava con la notte per fargliela incontrare

    A sedici anni è difficile aprire una porta e trovarsi in fronte la tua ex. Non è una cosa che la natura contempla quella, e forse per questo s’accavallano una quantità contratta di sentimenti, tutti insieme, talmente tanti da non riuscire a metterli a fuoco.
    E come c’era finito lì?
    Non "lì" nel bagno che era riservato ai Capiscuola e Prefetti, ma come ci era finito con lei lì in quel momento a condividere lo stesso spazio! Come s’era trovato in quella straordinaria circostanza? Come era diventato Caposcuola bruciando le tappe? E soprattutto, la domanda principe, quella che scalzava tutte le altre…perché bastava lei presente in una stanza perché si sentisse a casa?
    Ora gli capita, nel frammezzo fra un battito e l’altro del cuore, di sentirsi svegliato di colpo da un torpore tremendo. Quel suono della sua voce, incurante, cordiale, non tradisce nessuna incertezza, ci sono solo pause lunghe. Pause in cui Erick ammasserebbe discorsi interi ma non è certo che lei vorrebbe così.
    I ricordi gli tornano in mente in ordine sparso, ricordandogli lo stato delle cose e non riesce che a richiudere quel vaso di Pandora quando tutto ciò che conteneva è tornato disordinato finendo per esplodergli nella mente. La vita sentimentale di Erick era stata come un errore tipografico: scriveva e riscriveva costantemente cose su cose. Come avevano fatto ad arrivare al punto in cui ciò che volevano dirsi fluttuava nelle pause che dominavano la conversazione?
    Rise. Inizialmente tristemente, poi la risata si tinse di nostalgia, di sollievo. Si avvicinò al lavandino e con uno sforzo tremendo riuscì ad avvicinarsi allo specchio, per levarsi alcune foglioline che gli avevano infilato tra i capelli per gioco alcune bambine Corvonero del primo anno. Avevano acconciato una ghirlanda -più o meno-, delle margherite -più o meno- e lui gliel’aveva lasciato fare.
    Non che le cose nella loro totalità andassero bene per lui, viveva sogni difficili, duri, dormiva raramente serenamente e troppe volte si era finito per tirare fino allo stremo con le energie. Come le aveva detto una volta, “non sono il più talentuoso dei maghi". Era vero. Unica nota davvero positiva la presenza della Holland, le loro partite a scacchi.
    Eppure provava ancora uno strano briciolo riverbero di tenerezza per la Ashfield, anche se sapeva di non valere più niente per lei. Le ragazze di solito arrossiscono quando capitano in situazioni del genere, sbraitano, scalpito ma, non Leah e non sa se sia un bene o un male.
    Erick sapeva di aver fallito su tutta la linea con lei. Cosa, ancora non l’aveva capito a distanza di anni,
    «Ciao!» è un ciao strano. La nota di felicità nell’averla incontrata non riesce a nasconderla, anche se è stato uno sbaglio. Lei è incastrata lì, fra sentimenti inespressi e cose mai successe, nel frammezzo di altre che lui non vuole dimenticare.
    «Non dovrei essere io a scusarmi con te, invece?» glielo chiede con fare giocoso, quasi la volesse assolvere da ogni possibile sottointeso di quella sua uscita. Ha una bellissima treccia che pigra le si posa addosso, disegnandone forme diverse da quelle di anni prima. Anche lui. Lui è decisamente più alto, più uomo, la voce più cupa, lo sguardo non si preoccupa nemmeno di nascondere una malizia procuratagli neanche dal fatto che sia una ragazza in accappatoio, ma lei. Gli farebbe lo stesso effetto persino coperta di fango, come quella volta che s’erano tenuti la mano a Cura e lui, in un moto di coraggio, le aveva detto: “Tu mi piaci, mi piaci tanto, più di tutti gli altri”.
    E se anche quelle non erano state le parole esatte, quello era il senso.
    I suoi pensieri inespressi gli fluttuano attorno intrusivi, quasi tangibili, insieme ai profumi.
    Quello che provava con lei attorno era una sensazione euforica e qualunque cosa fosse ancora vivo di quel sentimento d'amore lo lasciò sbigottito. Gli abitava il corpo, sollo la pelle. Dopo una manciata di secondi non era neanche più un sentimento ma una sensazione fisica, reale, non distante dell’ubriachezza. Il corpo intorpidito e iperconsapevole al tempo stesso, gli aveva acuito i sensi, il cuore accelerava, martellando.
    Alla fine lui smise di ridere e le rivolse un sorriso mesto. Un sorriso che aveva saputo fare sempre e solo per lei. Quella volta capì che non era un sorriso umano, era invece una colorazione protettiva. Una forma di adattamento. Lo proiettava all’esterno di sé dove il mondo era orribile e tratteneva quella confessione che s’augurava entrambi avessero percepito in tempi più felici ma non si era mai concretizzata.
    Ai ragazzi, ai maschi intendo, si chiede sempre tanto e troppo, spesso, anche di sapere quando tacere. E lui taceva, semplificandosi con la violenza con cui si stralciano le frazioni per farsi comprendere meglio, amputandosi del superfluo.
    «Se hai qualcosa di cui vuoi parlare» le disse pacato «sai che puoi. Posso ascoltati e lo faccio sempre volentieri».
    Districava una ennesima margherita dai capelli. Quella, gliela avevano annodata proprio bene, iniziava a spappolarglisi fra le dita.
    S’aspettò non ci fosse molto da dire.
    S’aspettò di sentire i passi di lei allontanarsi e come quella volta, in Norvegia, l’avrebbe lasciata andare -rimpiangendolo forse tutta la vita- nell’illusione che potesse sentirsi libera anche se imprigionata nella sua spilla come lo era lui.

    Sticazzi! bofonchia con poca eleganza.

    Almeno aveva potuto rivederla, cosa affatto scontata in un posto come quello.


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