Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Sopralluoghi

Per A.tra

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    Lorcan Weaver | SCHEDA | Serpeverde | I ANNO | Nato Babbano


    Era il primo pomeriggio di una domenica di fine Settembre quando finalmente riuscii a venire a capo di cosa c'era scritto nel primo capitolo del Manuale degli Incantesimi - Volume primo. Un risultato notevole, considerando quanto ci avevo messo per studiare il prologo.
    Sfinito ma soddisfatto, lanciando degli epiteti poco carini all'indirizzo della Miranda Gadula che aveva la colpa di aver scritto quel maledetto libro, avevo abbandonato il mio materiale di studio in dormitorio ed ero uscito dalla Sala Comune per farmi un giro solitario nel castello. In un giorno normale, ovvero prima di questa estate, il mezzo pomeriggio libero avrebbe significato andare al campetto e giocare a calcio fino al tramonto. Ma ero a Hogwarts, dove il calcio non esisteva e nel suo equivalente magico - il Quidditch - ero una pippa: non ero minimamente in grado di volare su una scopa, a differenza di molti miei compagni cresciuti nel mondo magico. Per quello aspettavo le lezioni di Volo con una trepidazione colorata dell'ansia di non riuscire mai a imparare e capitavo continuamente "per caso" ad assistere agli allenamenti delle squadre, appena iniziati ma di cui stranamente avevo già imparato gli orari.
    La giornata serena che mi si presentò di fronte quando uscii nel Cortile d'Ingresso per prendere un po' d'aria fresca mi convinse a rimanere fuori dal castello e, quasi senza pensarci, i miei passi mi portarono dopo una lunga camminata verso il Campo da Quidditch. Era vuoto e sapevo perfettamente che a quell'ora c'era un angolo degli spalti illuminato dal sole: la ricetta perfetta per passare qualche ora al calduccio. Ero infatti vestito pesante, i miei soliti jeans larghi sotto un maglioncino e la giacca a vento rossa, ma il clima scozzese mi stava stroncando e non vedevo l'ora di riscaldarmi un po' al sole.
    Dopo aver ammirato come sempre l'ampio spazio di gioco tenuto in ottime condizioni e gli alti anelli che fungevano da porte, arrivai nel mio angoletto designato e mi sdraiai su una delle panchine di legno. Da una delle ampie tasche della mia giacca a vento tirai fuori Il Quidditch Attraverso I Secoli, unico libro di testo che avevo già letto nella sua interezza.
    Mi apprestai quindi a passare così tutto il pomeriggio: sdraiato su una panca al sole autunnale, libro tenuto sollevato a mezzo metro dalla faccia, inesistente agli occhi del mondo.
    CODE SEV91


    A.tra eccoci :flower:
     
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    Domenica post pranzo. Una combo micidiale per chi, come me, era abituata al sonnellino pomeridiano. Avevo undici anni, energie da vendere ci mancherebbe, ma ero comunque in una fase pre adolescenziale in cui non ero ancora né troppo grande né troppo piccola per poter non fare il riposino, quindi nel dubbio, quando potevo, me lo concedevo senza vergogna. Da quando ero arrivata ad Hogwarts, però, non avevo avuto chissà quanto tempo per potermi riposare nei tempi morti della giornata essendo già piena di compiti, ma il fine settimana riuscivo a ritargliarmi un paio d’ore di ozio.
    Era fine settembre e le giornate erano ancora serene nonostante facesse già più fresco rispetto all’inizio della scuola. Certo, non che la Scozia fosse il posto adatto dove poter andare in giro sbracciati e in pantaloncini nemmeno in estate, ma con un buon libro e seduto al sole potevi trascorrere un bel pomeriggio. Così avevo indossato un paio di jeans, felpa, giacca, cappello e scarpe da ginnastica ed ero scesa in cortile, senza una meta ben precisa, con un libro fantasy sotto braccio decisa a trascorrere un paio d’ore leggendo qualcosa che non trattasse di incantesimi e code di rana morta. Non avevo la minima idea di quando mi sarei abituata a tutte quelle novità, che di giorno in giorno aumentavano a dismisura, eppure non mi sentivo del tutto fuori luogo: ero partita da casa piangendo, non sapendo se con quel salto nel vuoto sarei atterrata su dei cuscini morbidi, eppure ero andata, con un baule che pesava il triplo di me e dei poteri magici da coltivare. Le lezioni non stavano andando male, cercavo di stare al passo con lo studio di giorno in giorno non avendo ancora chissà quanti compiti accumulati nel tempo, quindi non era stato particolarmente traumatico quell’inizio di anno scolastico. Certo, non avevo stretto chissà quante amicizie, se non con i primini della mia casa che erano ancora dei perfetti sconosciuti e con cui condividevo un dormitorio, ma avevo sette lunghissimi anni davanti a me, quindi chissà cosa sarebbe successo in tutto quel tempo.
    Tornando a quel pomeriggio, mi avviai nell’unico posto dove sapevo che avrei trovato il sole senza dover fuggire dalle ombre degli alberi: il campo di Quidditch. Gli spalti erano completamente esposti al sole quindi il programma era quello di leggere due pagine e poi crollare sulle panche: semplice.
    Il Quidditch era lo sport più in voga tra i maghi: i babbani correvano dietro un pallone, mentre i maghi lo inseguivano a cavallo di scope, quindi non vedevo chissà quale differenza. Avevo provato a leggere le regole su “Il Quidditch attraverso i secoli” ma avevo altre cose più importanti con cui familiarizzare in quel momento, tipo lanciare incantesimi senza uccidere nessuno, quindi lo sport poteva aspettare; nel frattempo mi facevo lunghe passeggiate esplorative per i giardini e per il castello.
    Arrivata sugli spalti mi resi conto di non essere sola: c’era un ragazzino poco più in la’ rispetto a dove mi trovavo, intento a leggere chissà cosa. Era Lorcan, un Serpeverde del primo anno come me che avevo conosciuto sull’Espresso per Hogwarts il primo settembre. Aveva in mano un libro che non riuscivo a riconoscere da quella distanza, così mi avvicinai fino a ritrovarmi a quattro sedili di distanza dal suo e mi accomodai aprendo il libro sulle ginocchia.
    «Ciao Lorcan! Ti do’ fastidio se sto qui a leggere?» domandai a voce bassa, sperando mi avesse sentito.

    @yuiccia

     
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    Ero immerso nella rilettura del mio capitolo preferito - Squadre di Quidditch di Gran Bretagna e Irlanda - quando sentii dei passi sugli spalti.
    Temetti fosse il signor McGregor che mi annunciava di dover sloggiare per qualche motivo, quindi finsi di essere completamente assorbito dalla lettura, sperando che la cosa mi avrebbe salvato.
    La voce che si alzò pochi istanti dopo, però, non era quella burbera del custode di Hogwarts ma aveva lo stesso accento, seppure molto meno marcato.
    Spostai il libro dalla mia visuale e puntellai un gomito sulla panchina per sollevare testa e busto: davanti a me, qualche sedile più in là, c'era Bri Scott. Avevamo condiviso il viaggio verso il castello, qualche settimana prima, e avevo scoperto che come me era Nata Babbana. Durante il banchetto, però, le nostre strade si erano divise in quanto lei era stata chiamata a far parte dei Grifondoro e io dei Serpeverde. L'avevo poi incrociata durante le lezioni, ma senza riuscire mai a scambiare più di qualche parola di saluto. Verso la scozzese vigeva la stessa insicurezza e disagio che riservavo a tutte le mie compagne femmine, ma un po' attenuato, avendo scoperto durante il viaggio che era piuttosto forte.
    Mi ricordai improvvisamente che mi aveva fatto una domanda e, dopo quelli che dovevano essere stati alcuni istanti di silenzio imbarazzante, replicai con un saluto e una risposta nel mio solito stile poco espressivo:
    Ehia. Figurati, mica sono miei gli spalti.
    In quel momento avrei potuto sdraiarmi di nuovo e rimettermi a leggere.
    Avrei potuto, ma non ne avevo voglia: il fine settimana per me era quasi peggio della settimana di lezioni, perché dovevo studiare e non avevo nemmeno la distrazione di scambiare qualche chiacchiera con i miei compagni di classe tra le lezioni. E poi c'era l'altra grande questione, ovvero del fatto che non ero ancora riuscito a stringere amicizia con qualche concasato. Quindi, fine settimana voleva dire anche solitudine, e la cosa, quella particolare domenica di fine settembre, stranamente mi pesava.
    Guardai il libro che la Scott teneva sulle ginocchia: non sembrava un libro di scuola, ma qualcosa di narrativa babbano. Mi mancava un po' leggere, dopo aver passato gli ultimi anni a frequentare (senza dare troppo nell'occhio) la biblioteca del quartiere.
    Quindi chiesi, con più cortesia di prima:
    Cosa stai leggendo?
    Lorcan Weaver [ sheet ] no alarms and no surprises
    [ code by psiche ]
     
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    Magonò

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    «PARLATO» - PENSATO - NARRATO

    Solitamente non ero la ragazzina socievole e spigliata che tutti si aspettavano (non so il perchè, magari avevo dei pupazzetti stampati in faccia), ma appena scambiavo due parole con qualcuno diventavo la più chiacchierona del mondo. Certo, in quel primo mese di scuola non avevo stretto chissà quali rapporti, però ogni tanto mi ritrovavo a scambiare due chiacchiere con dei compagni di casata, anche se non del primo anno. Con Lorcan era stato un po' diverso: eravamo stati chiusi per ore nello stesso scompartimento e aveva visto il mio gatto Germano lanciarsi sull'asticello di Ted con l'unica intenzione di mangiarselo, quindi diciamo che si era creata anche una certa confidenza. Così, spinta da queste premesse mi feci coraggio e mi avvicinai ancora un po'. Mi accomodai, ora, un paio di panche prima della sua, poggiando i piedi sullo schienale di quella davanti e aprendo di nuovo il libro sulle ginocchia, spostando il segnalibro di ferro nell'ultima pagina. Me lo avevano portato i nonni dalla biblioteca di Washington, visitata durante uno dei loro innumerevoli viaggi.
    «Sto leggendo Percy Jackson, lo conosci?» gli chiesi. Alla fine anche lui, come me, era un nato babbano e Percy Jackson era una lettura per bambini e ragazzi, quindi poteva tranquillamente averlo letto o anche solo sentito nominare. I libri babbani che mi ero portata da casa erano una delle poche cose del mio vecchio mondo alla quale non avevo voluto rinunciare e avevo chiesto esplicitamente a mia madre di comprarmene di nuovi per quando sarei tornata a Natale. Una cosa a cui avevo rinunciato facilmente, contro ogni aspettativa aggiungerei, era la tecnologia: ad undici anni non avevo di certo un cellulare, ma il tablet che dividevo con mio fratello e la tv pensavo mi sarebbero mancati e invece non ci avevo quasi mai pensato. Certo, avevo così tante cose da fare lì dentro che la televisione, i cartoni e i programmi spazzatura erano di certo l'ultima cosa a cui pensare, ma ne ero comunque rimasta sorpresa.
    Mi sporsi un po' in avanti per vedere cosa stesse leggendo Lorcan, invece, e riconoscendo la copertina e l'impaginazione del libro capii immediatamente di cosa si trattava. «Oh tu invece ti stai dando al Quidditch! Io ho provato a leggerlo e mi sono stancata dopo dieci minuti, mi sono fermata alle regole del gioco!» Confessai: non mi ero mai nemmeno interessata al calcio o a qualsiasi tipo di altro sport, oltre la danza, che figuriamoci se nel mondo magico la situazione sarebbe cambiata.

    @yuiccia

     
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    La Grifondoro si avvicinò a me e mi presentò il libro che stava leggendo. Era uno dei libri (consunti, pieni di orecchie agli angoli) più richiesti nella biblioteca di quartiere e c'ero riuscito a mettere le mani su solo un paio di volte, ma erano stati dei momenti gloriosi. Un piccolo colpo al cuore di nostalgia dopo, mi animai con tutto l'entusiasmo che la mia riservatezza mi permetteva e risposi: Ma scherzi, lo trovo super figo, ho letto solo i primi tre libri ma ho sentito che ne sono usciti tipo ventimila, la mia biblioteca non aveva-. Mi bloccai nel mezzo del mio scatto di vivacità quando mi ricordai che mi ero ripromesso di non sparlare troppo in giro di da dove venivo. Era stato anche il consiglio di una mia zia, quella trasferitasi a Londra: il primo passo per integrarsi tra le persone della società "da bene" era far credere che eri come loro. Anche se c'erano cose in me che non avrebbero ingannato nessuno sulla mia provenienza, da quando ero arrivato a Hogwarts (e avevo capito che aria tirava lì) avevo cercato di non pubblicizzare troppo le amenità di Withywood, o della mia famiglia. Il pensiero (e la vergogna, avrei capito molto dopo) mi fecero ritrarre, lasciando la frase precedente sospesa a metà e provando a riformulare e sviare: Ne ho letti solo tre, tu a quale sei?
    Recuperato l'errore, mi sentii più tranquillo e mi presi il tempo di apprezzare che, dopo un mese di cose che più magiche non si può, qualcuno mi introducesse un argomento così normale come i libri. Libri babbani con storie babbane, per intenderci, non quelle cose su Baba Raba o comunque si chiamasse quella tipa che avevo sentito nominare troppe volte.
    Poi, però, Bri notò il mio libro. Io arrossii come un pomodoro, per qualche motivo chiaro solo al mio cervello da undicenne.
    Oh, beh iniziai a balbettare è forte, anche se io in realtà non so volare, però sarebbe figo giocare, hai mai visto quelli che si allenano ...?
    Io li avevo visti fin troppo, ma magari non tutti i Nati Babbani come me avevano quella strana fascinazione per la possibilità di farsi buttare giù da delle palle assassine che si muovevano da sole.
    Lorcan Weaver [ sheet ] no alarms and no surprises
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4 replies since 23/9/2023, 17:17   142 views
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