Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

For in much wisdom is much grief: and he that increaseth knowledge increaseth sorrow.

Ufficio della professoressa Graël

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    Il risentimento era già scorso nelle sue vene, s’era mischiato con il suo sangue, con l’essenza che le aveva dato la forza di scrivere quelle brevi righe che aveva abbandonato sulla scrivania dell’insegnante di Pozioni. Animosità verso sé stessa, astio per i suoi gesti così a lungo ponderati dal divenire fastidiosi, pensieri ridondanti che le affollavano la testa e non la lasciavano osservare la situazione da un’altra prospettiva, da quella di colei che aveva ricevuto le sue parole. Cosa aveva visto la professoressa Graël in quello scritto che con praticità chiedeva un semplice colloqui? Forse il disperato urlo di un’anima alla ricerca di conforto? Disprezzava anche solo l’immaginario odore di quell’idea, il fetore che questa portava ai suoi recettori, l’acredine che accresceva verso le proprie decisioni e le conseguenti mosse, verso un aspetto di lei con il quale non sarebbe mai venuta a patti. Lea non stava chiedendo aiuto, non l’avrebbe fatto nemmeno in punto di morte, nemmeno se il suo più caro affetto lo fosse stato, no. La Caposcuola di Corvonero chiedeva conoscenza, chiedeva sapere, un apprendimento vietato alla sua mente, una competenza che le veniva proibita per l’angoscia che qualcuno della sua età non ne potesse trarre il vero significato, il corretto utilizzo secondo morale e giustizia. Eppur ella dissentiva, passo dopo passo in quelle scale che lentamente la conducevano verso il basso discordava dall’idea stessa di considerare qualsivoglia nozione come nociva, qualsiasi fondamento come irraggiungibile per altrui volere. L’apprendimento rinchiuso nella gabba dorata che Hogwarts rappresentava per lei aveva infatti preso le distorte forme della censura, degli argenti cancelli d’una prigione costruita su misura per le loro menti, tenace carceriere di ogni loro quesito. Eppur avrebbe voluto farcela da sola, avrebbe desiderato ardentemente non scrivere mai quella richiesta che ad altrui occhi sarebbe potuta apparire diversamente, distorta dalle comuni maldicenze che gravavano su di lei. Certo: Medea le aveva chiaramente teso una mano in merito a quelli che altri decantavano come suoi problemi, le aveva proposto un invito nell’anno precedente che semplicemente la Corvonero non avrebbe mai accettato. Non a quelle condizioni, non secondo quello scopo che l’avrebbe dipinta come il piccolo cerbiatto indifeso che attendeva d’esser soccorso. Nei panni del cerbiatto ella avrebbe preferito morire, dissolversi nell’etere del nulla eterno nel quale credeva piuttosto che accettare quell’umiliazione, quel suo mostrarsi bisognosa verso qualcosa privato d’ogni valore. In fondo, ai suoi occhi, che senso avrebbe avuto perdurare se non sulle proprie gambe? Se non affrontando quel peso che la spilla, che anche in quell’istante indossava, le scaraventava sulle spalle? E se quel disprezzo si fosse accentuato, se quel livore verso tutto ciò che la circondava rafforzato, ella null’altro avrebbe fatto se non accettare quelle condizioni. Né Erick né Dorothea avrebbe potuto salvarla, non v’era riuscita la scomparsa Cynthia, la traditrice Elizabeth; in quanto ella non lo desiderava, ella anelava solo conoscenza, qualsiasi fosse il prezzo. Un fio che già pagava, che a lungo aveva sopportato e che ancora per molto l’avrebbe accompagnata, uno scotto necessario per quell’incessante sete che la portava a spingersi ancora un passo oltre, ancor più vicina a quel baratro che accettava in quanto naturalmente misterioso, vivo, vero come null’altro era.
    La tunica del pigmento della sua casata danzava insieme al suo passo, l’accompagnava nell’ormai via percorsa, la porta sotterranea raggiunta dalle smeraldine iridi, apatiche quanto un’immobile terra lontana, silenziosa come la notte che tanto venerava. Bussò con un singolo tocco, un colpo deciso eppur delicato, sinuoso nel movimento che la portava ad alzare il braccio sinistro mentre rimembrava nuovamente quelle parole scritte di suo pugno.

    “Professoressa Graël, buongiorno, le scrivo in quanto vorrei richiederle un colloquio. Spero che l’invito dell’anno scorso sia ancora valido.

    Lea Holland, Corvonero."


    Che sciocca, si ripeté senza esprimere parola alcuna, la docente avrebbe di certo frainteso. Ma chi altri avrebbe potuto fornirle ciò che cercava? Chi avrebbe potuto capirla nella sua meticolosa ricerca della perfezione accademica se non colei che di questa meticolosità faceva il proprio mestiere, la propria passione? Se non la donna che quell’oscurità che Lea non temeva -e altresì desiderava capire- l’aveva toccata con mano? In fondo Elizabeth aveva definito la Corvonero “il male” e, nel silenzio dell’attesa, Lea si domandò se anche le tenebre avessero subito lo stesso, ingiusto, trattamento. Giudicare prima di capire, addirittura era stata colpita ancor prima di chiederle qualsivoglia spiegazione, ma in vero dovette ringraziare tutto questo: prima di cogliere l’inesattezza del giudizio comune anch’ella avrebbe temuto, contratta nell’angoscia di ciò che è proibito per sentito dire, eppur oggi quell’ansia era svanita.
    Presto avrebbe compreso, in un modo o nell’altro.
    Setacciava la gente per scoprire gli esseri umani.
    Lea Holland
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    Medea Marine Graël - 25 anni - Scheda - Voce

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    L'anno scolastico era appena ricominciato e già la scrivania di Medea era piena di scartoffie, moduli, programmi, compiti, recuperi, documenti di ogni genere e specie. La corrispondenza la sommergeva regolarmente e non c'era modo di riuscire a ridurne il carico. Le insistenti strillettere che sua madre le mandava si concentravano sempre sull'argomento matrimonio, quando avevano intenzione di sposarsi lei e Chris, dove avrebbero festeggiato le nozze e perché proprio Grael's Manor? Non c'era modo di placare la sua insistente genitrice e ignorarla rendeva ancora più fastidiose le sue missive. Come se non bastasse, la ripresa delle lezioni mal si conciliava con i corsi universitari e così, fin dai primi giorni di scuola, la docente appariva stanca e per niente riposata.
    Insomma, il rientro dalle vacanze, per Medea, non era stato affatto pieno di gioia come ci si sarebbe aspettati ma non per questo aveva di tirarsi indietro e abbandonare i suoi studenti. Non era mai stata un'amante dei bambini o dei ragazzi ma con il passare del tempo e con l'età era cominciato a germogliare qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Un sentimento quasi materno che l'aveva portata, stupendo anche sé stessa, a provare a circuire il padre della giovane Sawyer-Butler perché convinta che la ragazzina subisse abusi in casa. Una cosa che, anni prima, non avrebbe mai fatto.
    Lo stesso sentimento che l'aveva portata ad accorgersi, l'anno precedente, che qualcosa non andava nella caposcuola di Corvonero, Lea Holland, e che l'aveva spinta a lasciarle un biglietto e a tenderle una mano. Un invito che non era stato accolto sul momento ma che adesso la ragazza sembrava pronta ad accettare.
    Medea aveva dato appuntamento alla Holland una mattina senza lezioni, un momento in cui non sarebbero state disturbate da nessuno e che avrebbero potuto sfruttare per parlare. La giovane voleva un colloquio e lei era davvero curiosa di sapere di che cosa si trattasse. Quando alla fine, più o meno all'orario stabilito, un tocco deciso ma delicato interruppe il silenzio, l'insegnante sapeva che si trattava della sua studentessa. Entra pure, è aperto! si sentì provenire dall'interno la voce dell'insegnante, seduta dietro la scrivania del suo ufficio privato. Nessun animale ad accoglierla. Solo lei, un fuocherello scoppiettante nel camino, e due comode poltrone davanti al tavolo.

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