Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Color coding is cheaper than therapy

ageali's (and pgs') dashboard

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    Premessina (gennaio 2024):
    Ciao a chiunque vorrà leggere le mie svarionate :flower:
    In questa dashboard troverete tanta musica e qualche racconto. Col tempo spero di riuscire a usare questo spazio anche come "diario" dei miei pg.
    Bacini e attenzione ai Gorgosprizzi! :rainbowblobheart:



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    Lorcan
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    28/05/23



    S8kLm
    Nadine
    Playlist



    Me, myself & I
    Identity is temporary
    Camus
    Blizzard


    Edited by ageali - 10/2/2024, 18:11
     
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    Presentazione caoticamente ordinata di quelle provvisorie caratteristiche che compongono la mia identità



    ✦ ageali ha la a rigorosamente minuscola, perché sono a pieno titolo della gen z
    ✦ ho studiato filosofia (se non si fosse già capito dall'uso pretenzioso di aggettivi e avverbi)
    ✦ e anche storia medievale (cosa di cui sono meno entusiasta)
    ✦ teoricamente parlo francese, in pratica lo uso solo per ascoltare musica e guardare meme
    ✦ leggo manga shōnen
    ✦ faccio fatica a leggere romanzi perché mi distraggo facilmente ma ci provo comunque
    ✦ negli anni sono stata smistata in 3 casate di Hogwarts diverse e non ho idea di cosa questo dica del mio carattere (solo che non sono Grifondoro, apparentemente)
    ✦ mi faccio contagiare molto facilmente da emozioni, accenti regionali e interessi
    ✦ sono INFJ e la mia introversione raggiunge percentuali astrali
    ✦ mi piace scrivere in modo conciso
    ✦ ho sempre musica in sottofondo, spesso le stesse playlist a ripetizione fin quando non mi stufano
    ✦ accetto come canon di Harry Potter solo i musical (AVPM, AVPS, AVPSY)
    ✦ ci vedo male, quindi preferisco testi ad alto contrasto e ben bene evidenziati



    Edited by ageali - 29/10/2023, 18:12
     
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    Edited by ageali - 29/10/2023, 17:55
     
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    Edited by ageali - 29/10/2023, 18:02
     
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    Haven't you heard right?
    It's a truly absurd life
    Tomorrow you could be a big hole
    And the next day you could be a king
    Can't return to my old ways
    When the nothingness held up the days
    And now come to think of it
    I only got out of bed for you
    I used to think nothing of the end
    Repeating each day was my forte
    Spinning out time like a spider with a web
    Devouring every second I was fed
    But then I went and sailed right out, got lost
    Found things just got a bit lighter

    Tom Rosenthal - Albert Camus



    Edited by ageali - 29/10/2023, 18:09
     
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    Tu te demandes si tu es une bête féroce ou bien un saint
    Mais tu es l'un, et l'autre, et tellement de choses encore
    Tu es infiniment nombreux
    Celui qui méprise, celui qui blesse, celui qui aime, celui qui cherche
    Et tous les autres ensembles
    Trompe-toi, sois imprudent, tu n'est pas fragile
    N'attends rien que de toi, parce que tu es sacré
    Parce que tu es en vie
    Parce que le plus important n'est pas ce que tu es, mais ce que tu as choisi d'être

    Fauve - Blizzard

    Ti chiedi se sei una bestia feroce o un santo
    Ma sei sia l'uno che l'altro e altro ancora
    Sei infinitamente numeroso
    Quello che disprezza, quello che ferisce, quello che ama, quello che cerca
    E tutti gli altri insieme
    Sbagliati, sii imprudente, non sei fragile
    Non aspettarti che te stesso, perché sei sacro
    Perché sei vivo
    Perché la cosa più importante non è cosa sei, ma cosa hai scelto di essere
     
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    Rating verde
    Grazie a Yuiccia che mi ha dato l'autorizzazione per inserire il prof Cooper e mi ha aiutato a caratterizzarlo <3



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    28 maggio 2023, o Come ho scoperto di essere (veramente) un mago


    Era il 28 maggio, domenica pomeriggio.
    Mia madre mi aveva messo in punizione per tutto il week-end perché ero tornato da scuola con il fango fin dentro le mutande dopo una partita di calcio.
    Fuori c’era caldo e le nuvole coprivano il sole, condizioni perfette per giocare, che stavo sprecando stando seduto imbronciato al tavolo del salotto con un libro di scuola davanti.
    Mio padre guardava una replica del Celtic Glasgow ed era a un passo dall’addormentarsi di sasso sul divano. Mia madre lavava i piatti nella cucina e aveva lo sguardo perso e vuoto che era ormai la norma quando non eravamo soli.
    Io fissavo la pagina su cui il libro di geografia era aperto, una cartina della Scozia sulla quale un proprietario precedente aveva aggiunto insulti alle città sedi di squadre di calcio più o meno note.
    Fissavo la pagina ma non ne leggevo nulla, perché stavo cercando di fare una magia.
    Nella mia mente questa si sarebbe dovuta svolgere nel seguente modo: trillo del campanello, mamma che va ad aprire, fuori c’è Tuck, Tuck-che-tutti-i-genitori-adorano, Tuck dice che lui e i suoi amici hanno bisogno di me per una partita di calcio perché gli manca un portiere, mamma si scioglie davanti agli occhioni di Tuck, mamma mi dà il permesso per uscire da quell’inferno.
    Era una magia complicata, lo ammetto, ma ci stavo mettendo parecchio impegno.
    Non ero nemmeno tanto sicuro di come i miei poteri magici funzionassero. Ero solo sicuro ci fossero, perché a volte succedevano cose che non avevano altra spiegazione: gli insegnanti che non mi chiamavano mai alla lavagna; quella volta che Terry Simons mi stava picchiando e si era tirato un pugno sul naso da solo; il fatto che la mia pianta di fagiolo, esperimento di scienze della quarta elementare, sia stata l’unica della classe a crescere e sopravvivere a tutti i tentativi di sabotaggio, fino a quando mio padre l’aveva buttata nel cestino.
    Ne avevo parlato solo al signor Morris, che insegnava al liceo, gestiva la biblioteca di quartiere e aveva delle impressionanti borse sotto gli occhi. Lui aveva annuito con aria cospiratoria e mi aveva dato di nascosto una copia non ancora censita de Il nipote del mago, dicendomi di tenerla. L’avevo ancora, nascosta dietro una fila di libri di scuola sulla mensola di camera mia.
    Come avevo anche detto al signor Morris, però, la mia magia non funzionava a comando come nei libri, se provavo una qualsiasi formula citata in un romanzo non succedeva nulla. Stavo iniziando a pensare che non servisse a molto, se non potevo controllarla.
    Poi, quel pomeriggio di fine maggio, mentre mi concentravo immensamente e pensavo a ripetizione Dai Tuck, suona il campanello, successe una cosa incredibile: il campanello suonò.
    Mi drizzai sulla sedia con un’espressione allarmata, perché non pensavo sarebbe successo davvero, e voltai lo sguardo verso mia madre, che però continuava a lavare i piatti senza apparentemente essersi resa conto di cosa era successo. Mio padre, uguale.
    Pensai di essermelo immaginato, ma poi ci fu un altro scampanellio, questa volta più lungo.
    «Ma che cazzo vogliono alle quattro di domenica» borbottò mio padre, facendo seguire la protesta con una bestemmia.
    «Ma’, la porta…» provai a richiamare l’attenzione di mia madre, perché purtroppo nemmeno Tuck sarebbe riuscito a smuovere mio padre se fosse andato lui ad aprire.
    Lei sbuffò, replicò piccata: «L’ho sentito, non sono sorda» ma poi si asciugò le mani e uscì dalla cucina-salotto per andare ad aprire il portone.
    Io rimasi inchiodato al mio posto, respirando a stento davanti alla consapevolezza che ce l’avevo fatta, aveva fatto volontariamente una magia, ero come Matilda…
    Poi mia madre tornò in salotto con un’aria preoccupata.
    «Tom, vieni anche tu, è la scuola di Lory…» disse senza guardarmi.
    Merda.
    Se la scuola veniva a trovarti la domenica pomeriggio, avevi fatto qualcosa di grosso.
    La stessa cosa pensò mio padre, perché si alzò dal divano e mi fissò dritto negli occhi con uno sguardo incendiario.
    «Non ho fatto niente, giuro!» sbottai con gli occhi sgranati e il cuore che batteva forsennatamente.
    Non era nemmeno una bugia: ero sicuro di non aver fatto niente di grave. Avevo fatto copiare a una verifica, qualche giorno prima, e Miss Porter mi aveva beccato e sgridato, ma succedeva sempre.
    Mio padre, però, non si lasciò convincere e commentò acidamente: «Sempre un santo tu. Dopo ti faccio vedere io», poi si diresse verso l’ingresso insieme alla mamma.
    Rimasi forse dieci minuti fermo dov’ero, mentre dall’ingresso provenivano i suoni, ora alti, ora deboli, di una discussione tra i miei genitori e una terza persona.
    Non riuscivo a decifrarne nulla, tranne che mio padre sembrava arrabbiato, cosa che non era mai un buon segno.
    Se mi cacciavano dalla scuola, l’anno prossimo sarei dovuto andare alle medie a Hartcliffe, ovvero 40 minuti a piedi ogni mattina e il pranzo nella peggiore mensa di Bristol sud.
    Per distrarmi il cervello dal pensiero di dover mettere piede ad Hartcliffe, iniziai a pensare a cosa avrei dovuto dire per impietosire i miei insegnanti e non farmi espellere, pensiero che subito venne sopraffatto dall’idea che sarei prima dovuto uscire intero dall’ira di mio padre, cosa non garantita.
    Perso dietro la paura di quello che stava per succedere, ascoltai la porta chiudersi e un suono di passi lungo il corridoio.
    Tremavo quando mio padre comparve sulla soglia del salotto, e automaticamente iniziai: «Non ho fatto niente», ma poi le parole mi morirono in bocca, perché mio padre senza guardarmi si era messo da parte e aveva fatto entrare un uomo giovane e altissimo, vestito con una camicia a quadri da insegnante di matematica e provvisto di un sorriso disteso e incoraggiante.
    Questo sì che era strano.
    Rimasi a fissare lo sconosciuto con occhi sgranati, incapace di essere un minimo educato perché atterrato dalla paura e dalla confusione.
    L’uomo sconosciuto non sembrò curarsi delle mie maniere e mi rivolse il suo sorriso incoraggiante, prendendo l’iniziativa di iniziare: «Oh buongiorno, tu devi essere Lorcan. È un piacere conoscerti, io sono il professor Luke Cooper».
    Mio padre grugnì, non so se perché come al solito odiasse sentire pronunciare il mio nome per intero o se fosse contrariato dall’esistenza del professor Cooper.
    Nel frattempo, il professore si era fatto strada nel salotto e senza troppe cerimonie si era seduto al tavolo nel posto opposto al mio; i miei genitori erano rimasti in piedi, con le braccia incrociate e lo sguardo fisso o su di me o sulla schiena dell’insegnante, le espressioni arrabbiate (mia madre, arrabbiata e preoccupata; mio padre, arrabbiata e confusa).
    Nonostante il professore sembrasse una persona molto pronta a farsi convincere a non farmi espellere, rimasi in silenzio. Primo, perché non lo avevo mai visto prima ed ero sicuro non insegnasse nella mia scuola; secondo, perché era un tipo dall’apparenza enormemente fuori posto, vestito com’era in modo elegante e per come si comportava con dei modi gentili.
    Aspettai quindi che mi venisse data una spiegazione, cosa che il professor Cooper non mancò di fare dopo un istante in cui aspettò inutilmente una conferma da parte mia:
    «Sono qui in rappresentanza di una scuola superiore chiamata Hogwarts che vorrebbe offrirti un posto a partire dal prossimo anno. Solitamente è il preside a parlare con i nuovi studenti ma… abbiamo concordato insieme servisse qualcuno di più competente in queste faccende».
    Non avevo idea di cosa “queste faccende” fossero, e non avevo idea del perché qualcuno volesse offrirmi un posto in una scuola che non avevo mai sentito nominare. Forse era una scuola per delinquenti, ma in quel caso avrebbero dovuto rinchiudere metà della mia classe prima di arrivare a me.
    «Credo abbiate sbagliato persona» dissi con un filo di voce.
    Lui sorrise, poi sganciò la bomba: «Oh no, non abbiamo sbagliato. Il fatto è che Hogwarts è una scuola di magia e tu, Lorcan, sei un mago. Un mago in erba, insomma, hai del potenziale. Hogwarts riunisce tutti i ragazzini come te e offre loro un’educazione con i fiocchi per farli diventare veri maghi e streghe. Una delle migliori scuole di magia in Europa, ti assicuro».
    Alla fine del suo discorso, finalmente mi mossi. Mi appoggiai sullo schienale della sedia, perché avevo bisogno di sentire un supporto. Per un istante pensai che tutto quello che avevo sempre pensato e sperato fosse diventato reale, che avevo veramente dei poteri magici, che quelle cose come la magia e i draghi e spostare le cose con il pensiero, tutta quella roba che mio padre giudicava “cazzate per bambini”, fosse reale. Poi si insinuò il dubbio che fosse troppo bello per essere vero.
    Incrociai le braccia al petto e assunsi un’espressione dura.
    «Non ci credo» dissi.
    Non potevo concedermi il lusso di crederci, non qui, non davanti ai miei genitori.
    «L’ha mandata il signor Morris? Non è un bello scherzo da parte sua» aggiunsi, mentre il sentore del tradimento si andava insinuando nel mio cuore e me lo appesantiva. Non sarei più potuto andare in biblioteca per la vergogna che mi avesse organizzato uno scherzo del genere, che sarebbe anche potuto essere divertente e piacevole, se non fosse che aveva coinvolto i miei genitori. Mi sarei aspettato che il signor Morris sapesse quanto poco a mio padre piacesse essere sorpreso o confuso.
    «No, mi dispiace, non conosco nessun signor Morris. So che potrebbe sembrare uno scherzo, ma è tutto reale, nessun inganno. Io stesso sono un mago».
    «Non ci credo» ripetei, forse questa volta più incerto.
    Il professor Cooper non si perse d’animo e senza che il suo sorriso perdesse d’intensità replicò: «Oh, so che è dura. Per questo il preside mi ha autorizzato a dare una dimostrazione».
    L’uomo estrasse dalla sua cartella una bacchetta in legno, la puntò contro la brutta ciotola al centro della tavola e sussurrò qualcosa.
    Un istante dopo, la ciotola divenne grande il triplo, assomigliando ora più a un catino di ceramica a fiori.
    Mio padre, che aveva continuato a borbottare per tutta la discussione, ammutolì.
    Mia madre si coprì la bocca con le mani.
    Io rimasi, occhi di triglia e nessuna ulteriore protesta sulle labbra, a fissare il catino.
    Un altro colpo di bacchetta e la ciotola ritornò alle sue dimensioni normali.
    Il professor Cooper rinfoderò la bacchetta e continuò: «Questo è un incantesimo molto semplice, ma ce ne sono molti, molti altri che potrai imparare a Hogwarts. Ti va di parlare qualche altro minuto?».
     
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    Dicono ci sia qualcosa di liberante nel mascherarsi.
    Il provvisorio cambio d'identità esteriore può far emergere l'identità interiore, dei tratti del nostro carattere che la faccia che portiamo ogni giorno non ci permette di mostrare.
    Velarsi per svelarsi.

    Il problema è che, ogni volta che mi s-velo, a emergere sono parti negative.
    La maschera diventa una poltrona da psicanalista.
    Sono una persona paranoica, vagamente ossessiva, piena di dubbi.
    Ma la faccia permette di dissimulare più della maschera, perché la carne viva è più indulgente della plastica decorata.
    La carne vive, sbaglia e viene perdonata.
    La plastica viene costruita e ogni errore nella sua produzione sembra destinato a essere visibile in eterno.

     
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