Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

Unaware of loss, nor aware of gain.

Giro panoramico nella mia testa -Nessun rimborso-

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    Der Unterschied zwischen Vergangenheit, Gegenwart und Zukunft ist eine Illusion, wenn auch eine hartnäckige...

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    "Do i contradict myself? Very well then i contradict myself, i am large, i contain multitudes!"

    - Walt Whitman



    (...) I gufi puzzavano. (...) Quando si voltò si trovò in fronte ad un ragazzo che ben conosceva almeno di vista e reputazione e sentì un brivido gelido percorrergli la schiena. Aveva la tipica espressione di uno che non solo voleva rompere il ritmo* ma anche fare a botte.
    Erick guardò le boccette scacazzate dai gufi un po’ meglio. (...) E questo parlava, parlava con voce irritante, strillando e innervosendo i gufi oltre che lui, ma Erick era troppo concentrato sulle pozioni per dargli retta. (...) L’altra pozione che si trovò ad esaminare, incastonata nella cacca di gufo, la ricondusse al siero Sorridente e la riconobbe facilmente per la colorazione tendente all’arancione (...) gli pareva che il tanfo di gufo e di trucioli gli stesse già impregnando i vestiti in maniera disgustosa. (...) A esser puntigliosi con alcuni dei suoi compagni le cose non andavano così male: Diaspro era una delle sue più care amiche, Aethelred lo adorava (e odiava insieme) , persino Lea sembrava non volerlo uccidere, senza contare Andreus, Cynthia, e persino col Fletcher e Marcus la situazione non sembrava insostenibile…poi c’erano tutti gli altri che -giustamente- lo volevano morto. (...) Fortunatamente la terza era la pozione Sottosopra (...) Erick schiodò tutte e tre le pozioni dalla cacca secca di gufo, staccandole con un gesto secco.
    «sì sì come ho potuto? Fare…cioè...che?» e venne spintonato via. Per miracolo Erick non gliele fracassò tutte quante sulle gengive le pozioni.
    «Sei proprio uno stronzo, Miller! Te ne frega solo delle tue cazzo di pozioni.» s’incattivì Elliot. Ora, Elliot Mc Avoy, non era una di quelle persone che conveniva incontrare da soli e senza un’adeguata preparazione mentale. Il ragazzo, da tempo immemore, pareva aver voglia di catalizzare tutta l’attenzione di Aethelred Magnus Edevane e di fatto, sarebbe stata una mossa saggia fare il carino con Erick, ma egli gli fissava il bracciale localizzatore che il Prefetto aveva regalato al Miller al primo anno e macerava di una gelosia insana, dovuta al falso assunto che fra Erick e Aethelred ci fosse una storia clandestina.
    «TU! Tu! Sei il mezzo veela più stronzo della Terra! Non ti è nemmeno riuscito di essere femmina! Se fossi stato femmina sarebbe stato tutto a posto, avremmo anche potuto essere amici io e te»
    Ed Erick, con la mano libera, sentì il bisogno di sincerarsi che le sue palle fossero ancora lì.
    «TU STAI SEDUCENDO CON LA TUA MALIA VEELA EDEVANE PER NON FARTI SGRIDARE, per avere una relazione con lui di quelle Yuri…come si dice…»
    «Yuri quello dello smistamento?» inarcò il sopracciglio un po’ dubbioso.
    «Yuri nel senso …»l’altro arrossì
    «Omosessuale?» sussurrò Erick, leccandosi il labbro superiore fingendo un gesto simil seducente mentre stappava la boccetta da lui scelta riponendo le altre in tasca.
    «Non dire quella parola! Non dirla hai capito?!»
    Ed Erick urlò «OMOSESSUALEEEEEEEEH, OMOSESSUALEEEEE, ti dà fastidio la parola omosessuale e io la dico, la dico eccome! »
    «Edevane non è quella cosa lì che dici tu» sbottò furente l’altro «sei tu che hai lo hai deviato! Avete qualcosa, tu e lui, ma è colpa tua! Tua! TUA BRUTTO FIGLIO DI VEELA»[/color]
    Allora Erick rimase un attimo a guardarlo interdetto. Aveva raccolto un po’ di informazioni. Punto primo, Eliot era omofobo, ma di questo si sarebbe occupato poi. Punto secondo, per quanto volesse che l’altro iniziasse a mangiare di gusto (grazie alla pozione Sottosopra) cacca di gufo e/o truciolato che a montagne che se ne stava a terra, così non avrebbe risolto un bel niente. Invertire il senso del gusto del suo bersaglio, in effetti, non avrebbe cambiato la situazione di una virgola. Sarebbe rimasto lì messo per i secoli dei secoli amen, e ne aveva già le palle da divinazione ben piene. Punto terzo, la pozione sorridente non avrebbe che reso il tutto ancora più agghiacciante. Già se lo vedeva bene Eliot sorridergli come il beota che sotto sotto già era, continuando a mantenerlo bloccato.
    «Bevi una pozione, una soltanto e smetto di dire la parola OMOSESSUALE, e di deviare quel tuo caro amico che non sa nemmeno che tu esista » e puntandosi la bacchetta alla gola, iniziò castandosi un « Sonorus» allungandogli la boccetta n 1 quella della pozione Anti-Verde.
    «IO E EDEVANE SIAMO DUE OM..» e senza che dovesse sbattersi ulteriormente, quello trangugiò, ingoiandolo tutto (N.D.R. tanto qua i doppi sensi si sprecano, non li tolgo nemmeno, non ci provo neanche) «OMBRELLONI DA SPIAGGIA». Concluse ridacchiando in modalità dolby surround. Chissà quante persone lo avevano sentito urlare scemenze dalla guferia. I gufi lo guardavano attoniti pensando a quanto chiasso era in grado di fare un solo e piccolo veela. Erick, dal canto suo era veramente rimasto turbato dalla scena. L’aveva trovata sì divertente, ma in un modo perturbante. Il rapporto che aveva con Edevane era, a onore del vero, parecchio intenso e fatto di una tanto profonda e reciproca malia quanto non sarebbe possibile rendere a parole. La loro amicizia aveva di fatto radicato profondamente in uno e nell’altro e uno era la valvola di sicurezza dello speculare. Erick da Aethelred aveva imparato l’importanza del potere, dell’ambizione, del raggiungimento del fine sacrificando ogni cosa e Aethelred probabilmente aveva tratto dall’altro quel calore rincuorante che gli permetteva di sentirsi amato e protetto da qualunque minaccia esterna. Esterna sì, ma Erick stesso si era dimostrato pericoloso e l’altro allora se lo era stretto ancora più forte, stritolandolo come solo un boa avrebbe fatto. Erick alla fine aveva dimostrato nei confronti dell’altro una gelosia tale, una morbosità assurda, tanto che era arrivato a pensare “lei, Leah, e mia, e tu Aethelred, sei mio, e se non puoi essere mio, non sarai di nessuno. Nessuno. E non sarai niente e così sarai mio per sempre”
    Grazie alla poca creanza di Erick e alla sua neanche tanto nascosta capacità di risultare irritante, la situazione si risolse nel giro di molto poco. Elliot bevve alla goccia come si suol dire e ingoiò quasi fosse assetato, rivelando subito dopo un istantaneo cambio di atteggiamento. Dove prima c’era una gelosia immotivata ecco che ora appariva una persona mite e tollerante, forse ancora omofoba sì ma molto meno fastidiosa. Elliot si ferma, guarda Erick, e gli allunga un foglio pergamena con ulteriori istruzioni e una boccetta.
    Ora, se il foglio non fosse stato scritto dalla Graël, Erick, avrebbe mandato affanculo tutti e si sarebbe dedicato ad altro, ma la boccetta era lì, le istruzioni pure e sperava una volta rientrato, di potersi mettere al calderone e lavorare sodo accanto ad esso. Nel piccolo mondo delle pozioni tutto andava sempre come doveva, ma inserendo la variabile umana, le cose, si stavano esponenzialmente complicando.
    E si complicarono indicibilmente quando Erick capì che doveva berne un preparato che gli avrebbe ribaltato la mente per poterne uscire. Pare scontato dirlo ma, per amore di narrato, ci perderò un po’ di tempo a dichiarare questa ovvietà: Erick Miller era così come era perché ogni altra alternativa era impraticabile per la sua personalità. Era fatto di contrasti e di equilibri precari. Nel tempo innumerevoli Erick Miller si erano succeduti. Ci sono così tante persone che poteva diventare, e lasciava una tale scia di corpi dietro di sé durante la sua adolescenza, che è difficile dire quale era il vero Erick, non era di certo statico. Nel tempo, per certi versi, si era attuato un processo degenerativo. Quante versioni aveva abbandonato negli anni? Perché ora valutare gli altri sé, fino a diventarne uno estraneo? Momentaneamente sottostimò la richiesta e trangugiò la pozione. Cosa mai poteva accadergli di male in quel breve tragitto? La pozione oleosa scivolò nella sua gola, venendo assorbita ed Erick sentì immediatamente quella terribile sensazione di venire sconvolto. Sembrava quasi si fosse lanciato da una scogliera in un male gelido di cui flutti selvaggi lo facevano ruzzolare ribaltandogli i pensieri, e quando fece per emergere, sopra a un lastrone di ghiaccio impenetrabile vi era una versione opposta di sé. Una versione che avrebbe odiato e detestato per anni. La mente di Erick tentava di ribellarsi, ma il cappio stretto della pozione si era soffocante e ora se lo trascinava via. Via. Lontano da sé come non era mai stato e diventava spettatore. Punto primo, evocò la mazza da Quidditch e la brandì, punto secondo, colpì Elliot in piena faccia, lasciandolo lì steso. Se Erick, quindi, non era mai stato violento senza ricevere prima una certa provocazione, ora, s’accaniva indicibilmente tirando un bel calcione al ragazzo agonizzante e lasciandolo lì, letteralmente nella merda. Come si sentiva soddisfatto! Come si sentiva pulito, incapace di ogni senso di colpa! E già che scendeva con tutta calma dalla torre ovest, perché tanto che cazzo gliene fregava più delle pozioni, inutili veleni incapaci di portargli qualsiasi cosa volesse ottenere, nulla più che scolo di cucina (quando in realtà tutto credeva men che questo), facendo la furbata di non essere visto, vandalizzava ogni forma d'arte con inchiostro runico. «SEEEH! Che goduria infinita!» ma essendo che il vandalismo presto l’annoiò, decise di procedere verso la sua discesa. Piano dopo piano, come una vera diva, si frapponeva fra le persone che parlavano e camminavano, dividendole a forza e volendo essere guardato e ammirato. Oh i veela erano grandissimi maestri dell’attrare sguardi quando volevano, e se Erick normalmente non voleva, o si limitava a fare il vanitoso perché gli altri avessero a noia il dirgli quanto fascino avesse, ora la sua avvenenza la faceva pesare tantissimo tralasciando il suo voler passare in punta di piedi nelle vite degli altri « La bellezza regna per diritto divino e voi, voi, siete ripugnanti. Tutti voi. Che schifo» e se non lo presero a botte, fu solo perché con movimenti fluidi e riflessi ben allenati scansò i colpi quando veniva approcciato violentemente. Ora, fatto vuole che si trovò anche parecchio tempo libero fra un piano e l’altro. Giunto al torrione principale, valutò con pensiero volatile alcune delle persone che avrebbe incontrato a lezione. Ad esempio, quanto era irresistibilmente affascinante l’idea di limonare la Mills? Chissenefregava del fatto che manco la conosceva! Quel suo caratterino, quel suo accavallare le gambe in DCAO che prima mai aveva valutato neanche lontanamente come un gesto appropriato, ora diventavano il suo chiodo fisso. E poi, chissenefregava del Fletcher. Quello, non era manco veela. Perché preoccuparsi del suo essere al mondo? Non lo rispettava neanche, nullità della sua vita (perché in realtà lo rispettava abbastanza da tenere da conto i suoi sentimenti. Era una figura che abbastanza assomigliava a un buon compagno di classe)! Perché no? Perché non farlo?! Perché a marcia marziale andava ora a intercettava Aethelred. Il quale lamentava di un “qualcosa qualcosa” di Diaspro. Neanche ascoltava e lo sbatteva al muro! L’odiava. L’odiava con tutto sé stesso e facendo presa sui capelli cortissimi del prefetto, visto che mai nella vita l’avrebbe baciato con ardente passione, s’avvicinava pericolosamente alle labbra di quello, tanto da poterne sentire prima il calore e poi il respiro che sfiorava la sua pelle e poi, sempre più vicino, sempre, si dimenticava di Leah Ashfield. Ma che schifo le faceva quella ragazza ora! Aethelred! Aethelred si che si meritava di essere la sua ragazza!
    Peccato che Edevane non ci volesse proprio stare. Un cazzotto, discreto, carico di livore, si schiantò sull’occhio di Erick che indietreggiò per il rinculo del colpo. «Picchi proprio come un signorino Aethelreddino mio» e fece un passo indietro ulteriore, «è per questo che vuoi essere la mia ragazza no?» ridacchiò prima di volatilizzarsi lasciando l’altro scioccabasito. Sicuramente, poi, si sarebbero meglio chiariti a suon di altri cazzotti «E visto che ora Didì è libera…sistemo quel macello che hai fatto» urlò nei corridoi. L’eco portava in giro il suo essere ancora più stronzo-stronzissimo che mai.
    Prova ad acchiappar Diaspro per i capelli, e tenta un finite incantatem diritto per la sua schiena, aspettando che la sua carissima amica smettesse di danzare. La guarda con malcelata sufficienza. Oh, ora che erano così vicini e aveva la sua chioma ben tesa fra le dita (se l'azione è concessa) poteva finalmente tirarla come più gli piaceva, incurante di ferirne i sentimenti, incrinarne l’amicizia o i rapporti «Maledetta strega! TU! DOPO TUTTO QUELLO CHE MI HAI LEVATO?! COME CAZZO OSI LASCIARE LA MIA FIDANZATA?! AETHELRED!? » e così dicendo provò a morsicarle le labbra «NON HAI CAPITO UNA SEGA EH?! DEVE ESSERE DIFFICILE PER LA TUA BELLA TESTOLINA! Tu ci servi per fare dei piccoli maghi purosanguosi bel-lis-si-mi. E avrai tutti i miei veelini. STRONZA! Saremo una famiglia bellissima noi tre» e così dicendo la trascinò in classe, dove, nel giro di poco, incrociò lo sguardo della sua nuova fiamma Emily e, un passo via l’altro…sentiva il desiderio verso di lei svanire, fino al doversi poggiare al banco ansante.
    Oh, s’incazzò Erick. Scandagliò tutta la classe con sguardo omicida, sentendo di colpo il pugno andato a segno dolere come sale su una ferita aperta
    « Congratulazioni, hai scoperto l'importanza delle pozioni modificative ed il loro complesso utilizzo. Tuttavia non è ancora finita. Adesso che hai imparato a riconoscere le pozioni è arrivato il momento di provarla sulla tua pelle.»
    Gnegnegnò derisioso.«CONGRATULAZIONI COSA!? MA MI FACCIA IL FAV...o...re»
    Una volta rientrato in classe Erick iniziò sempre di più a sentire una fastidiosissima sensazione all’occhio che, tumefatto, si gonfiava. Il dolore per un po’ fu il suo migliore amico: l’obbligava a rimanere saldo. Così ci mise poco a capire cosa dovesse fare: iniziare a fare ammenda del male fatto. Lasciò quindi i capelli dell’amica e smise di provare quella goduria perversa nell’infliggerle pena e nel volerla dominare in maniera brutale.
    I suoi processi mentali in quel momento iniziarono a liberarsi del peso – o se volgiamo dire dell’assoluzione- della Pozione Sottosopra- e divenne sempre più pallido. Mentre Medea parlava la sua mente vagava spersa, il senso di colpa l’assaltava annullando progressivamente ogni sua barriera e infine, nudo di ogni giustificazione, si decretò più volte colpevole. C’erano ancora poche piccole cose che potesse fare: innanzitutto aggrappandosi alla propria volontà sussurrò un tridente di incantesimi dati da «expelliarmus» «accio bacchetta di Diaspro» e «Wirgardium leviosa» che servirono a restituire il legno alla legittima proprietaria.
    Le parole della docente, per quanto rassicuranti, le rigettò turandosi le orecchie. Se anche l’avesse passata liscia, questo non significava che non avesse compiuto alcun crimine, anzi i crimini erano stati ed erano più di uno.
    Aveva colpito con l’intento di trarne godimento.
    Aveva vandalizzato opere d’arte centenarie.
    Aveva voluto tradire l’amicizia di Aethelred di nuovo e ancora, senza riuscire ad opporsi.
    Aveva voluto vedere una delle sue più care e preziose amiche - colei per la quale si era guadagnato il risentimento della ragazza che amava-, come semplice carne calda da rimpallarsi con Edevane in un ingiusto desiderio di possesso. L’aveva nel suo cuore, violentata.
    Aveva tradito Leah. Aveva dimenticato lei. Ed eccolo lì, il momento più brutto della vita di un uomo, quello in cui si rende conto di aver buttato al vento tutto ciò che aveva voluto e saputo costruire con delicatezza, amando. Sulle sue labbra come una condanna vi era il sapore e il calore di altre labbra e si sentiva male, disgustoso, abbietto, indegno di respirare.
    Prese la collana con distratta assenza, la sentì fra le mani, la cacciò in tasca e fissò la docente come se gli avesse frullato il cervello. Se quella diceva che non era colpa sua, ecco che lo era eccome. Se quella diceva che non l’avrebbe punito, voleva pagare. Voleva essere in pace con la coscienza ma nemmeno questo gli era stato concesso. Così fra i “molto bene” e i “sani e salvi” Erick attese. Alcuni dei suoi compagni se ne erano già andati e, nonostante quello che era successo con Diaspro provò a stringerla a sé. Si erano già abbracciati altre volte me ora le custodiva la testa quasi fosse il più sacro e il più delicato degli oggetti.
    «Anche se sono... un cretino…non ho mai avuto intenzione di farti del male, di dire che non sei niente e che quel che vuoi non conta…io…io…non me la merito la tua amicizia. Mi dispiace così tanto Didì» e l’insegnante l’aveva assolto, ma se Erick avesse saputo quanto avrebbe pagato quelle nozioni, non si sarebbe mai e poi mai prestato. In poche ore avevano demolito in lui tutto quello per cui, per lui, valeva la pena vivere. Ostaggio di quei pensieri si rimetteva al banco e provava a sbattere la testa su di esso uno, due, tre volte. Il male non era abbastanza, la sua testa troppo dura, la fronte troppo ben studiata dalla natura per cedere, la struttura fisica non si piegava al suo stupido volere.
    Cosa mai di brutto sarebbe potuto succedergli in quel piccolo tragitto? La sua vita si era sgretolata, ecco cosa. Ogni volta che pensa a sé stesso, ora, si trasmette lo stesso veleno. Una lieve punta di disprezzo, un seme d’orrore piantato , germoglia. Era diventato ripugnante a sé stesso, e questo poteva portare solo una cosa: l’assenza di ogni possibile e ulteriore sviluppo.

    Sfortunatamente non c’è dubbio che nel complesso, fosse meno buono di quanto immaginasse o desiderasse essere. Ora poteva dentro di sé un ombra e poco questa era radicata nella sua vita cosciente. Lì sotto al ghiaccio della sua resilienza l’aveva ora vista e così s’era fatta densa, irrimediabilmente scura.

    «Siete stati tutti molto bravi, indipendentemente dal risultato delle singole prove e sono molto fiera di voi. »

    Con queste parole che rimbombavano ora alla sua mente, andava ora a chiedere aiuto all’ultima persona al mondo che avrebbe voluto caricare di quel peso: Lea Holland. I passi leggeri erano rapidi, portavano come nota di fondo qualcosa che era molto simile alla speranza che non poteva essere spezzata, nemmeno dal più atroce dei crimini.
    « Lea» intonò dolcemente. La voce era quella calda, quella di chi sembra avere per te un affetto sincero, una stima totale «Lea, perdonami.» ripeté con voce tremante cercando i suoi occhi.
    «Lea. So che le cose fra noi sono difficili. So che non avrei diritto di chiederti niente, non me la prenderò se mi dirai di no» singhiozzò.
    Provò allora ad allungarsi piano verso il catalizzatore di lei, puntandoselo diritto alla gola «Ti prego, falli andare via, Falli andare via questi pensieri. So che puoi» e le lacrime si bagnavano di piccoli sentieri caldi e salati, silenziosi, mentre tirava su con il naso come solo un moccioso sapeva fare «me la hanno portata via. Per un momento terribile l’ho cercata e non l’ho trovata più e io la amo. Era sparita.» si strinse il pugno al petto come se ci fosse infilzata una freccia incandescente « mi hanno tolto tutto quello per cui vale la pena vivere, non lo voglio ricordare quell'altra, Ti prego. Non posso chiederlo a nessun altro. Non mi fido di nessun altro. So che sai di cosa parlo.». Abbassò lo sguardo penitente, aspettando che la Caposcuola Corvonero decidesse se accettare quella sua richiesta disperata o meno. «So solo che se non lascio che tu mi sistemi questo macello, un giorno quello del Sottosopra sarò io. Non voglio. Sai…mi è piaciuto.» sorrise amaramente, chiudendo gli occhi gonfi di lacrime. «Sei sempre intervenuta, hai sempre portato a casa tutti quanti noi, non lasciare che facciano di me la loro prima vittima perché tu lo sai e io lo so: un giorno non arriverò in classe. Allora avranno fatto di me tutto quello che volevano. Non posso lasciargli anche questo.»

    E che Lea Holland accettasse le sue suppliche o non l’aiutasse, lui aveva avuto abbastanza coraggio da chiedere, da farlo usando un "per favore". Doveva raccogliere il suo orgoglio Serpeverde e avanzare. A qualunque costo, pure elevando Lea a sua salvatrice o a sua fidata alleata.

    Erick con gli occhi chiusi non riusciva a liberarsi dalla sensazione di essere osservato da qualcuno che non conosce. Una presenza occulta si aggira nei dintorni, mentre lui chiede e quell’altra valuta. Li osserva sempre più vicina, emanando una volontà malvagia. E' la disperazione. Lei li conosce bene, persino quando lasciano vuota l'aula senza aver acceso un calderone.


    Lezione di Pozioni, III anno - La Sottosopra

     
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    La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l'opposto. La vera bellezza è sempre un po' inquietante.

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    Questo post è da intendere cronologicamente e su accordo preventivo, dopo l'azione di Lea Holland - Perseverance


    ERICK MILLER - Serpeverde
    Battitore - III Anno - Narrato - Pensato - parlato © Hoperus

    Nel giro di poco la situazione peggiorò di molto, tanto che Artemis Vonleffe si trovò per ben due volte a richiamarli sull’utilizzo improprio del fuoco sull’alambicco di depurazione. Quel metallo di cui era costituito aveva evidentemente un punto di fusione molto basso, perché quasi da subito iniziò a sciogliersi in risposta al calore a cui lo avevano esposto «Ah bene, annamo beene» borbottò stizzito il piccolo Serpeverde. Ma bene, le cose non andavano affatto e il sarcasmo di Erick non aveva portato un miglioramento concreto alla condizione. Il problema fu aggravato poi ulteriormente dal convergere dei fluidi di acqua magica e non magica che, non potendo essere smaltiti adeguatamente, iniziarono a venire in contrasto e a sovrapporsi, cristallizzandosi progressivamente. Le azioni di Erick non erano state molto funzionali rispetto alla cristallizzazione. Sì, aveva sbloccato la prima parte del percorso ma ora non c’era niente di cui gioire. Non avevano tempo, fra l’altro, il che li mandò in panico.
    Ad Erick, questa paura arrembante fece uno stranissimo effetto: inizialmente apparentemente impassibile, ragionava sul da farsi per poi abbandonarsi al disagio più acuto. Assimilando per bene le parole dell’asceta alchemico, il quale ancora infondeva l’energia ai pilastri, vennero impressi a fuoco nella mente alcuni concetti inquietanti: dovevano fare in fretta, non potevano andare a tentativi con quel piccolo oggetto (che ora si manteneva integro solo grazie al provvidenziale intervento del Fletcher) poiché se lo avessero danneggiato sarebbero rimasti lì per sempre, e se avessero perso troppo tempo la loro fine sarebbe stata dettata dal cristallizzarsi sempre maggiore di quell’acqua che, solida, s’espandeva al pari di un cancro.
    Erick camminò fino all’alambicco e avvertì tramite l’ascolto dello stesso e una sommaria osservazione che qualcosa al suo interno era inceppato. Una piccola ruota, o una valvola, andando per deduzione, doveva essere fatta di pietra – poiché di valvole o ruote di fuoco, aria o acqua sulle quali intervenire non riusciva a figurarsele, ma non poteva esserne certo-, e questo lo precipitò nel baratro della sua mente dove tutto era assurdo. Guardò il professor Bersc con aria scioccata, esasperatamente turbata «Non lasci che quello lì ci cristallizzi i piedini!» mugolò lamentoso riferendosi ingiusto ad Artemis. Le sue calzette bagnate, ora, gli diedero ancora più noia immaginandosele vetrificate, mentre compiendo quel tragitto lo sciac-ciac da lui emesso diventava addirittura irritante. Nel Frattempo, Lea, indagava la struttura del piccolo oggetto intarsiato.
    Era chiaramente la sua ex, Leah Ashfield, il soggetto l'amplificatore suo fastidio. Non poteva restarsene chiuso là, mentre lei si trovava un nuovo fidanzato! le ho dedicato un ballo, una caccia al tesoro, le ho scritto delle filastrocche. Le avrei dovuto dire “come fai a rifiutare me, che sono per metà uccello?”MONELLA MONELLA. Sto c@zzo che ti lascio la coppa quest’anno. Io sono un uomo educato, se capiti sotto le mie grinfie te ne vai da Hogwarts con due gemelli, parola di Erick Miller”. Con questo esatto pensiero si chinò all’alambicco «Non si può andare avanti così Professore. Io sono nervoso, la fidanzata mi ha mollato per INSPIEGABILI MOTIVI. Non posso restare qui a vetrificarmi» che a onor del vero i suddetti motivi, erano spiegabilissimi anche con il probabile di lei avvertire dopo un po’ che razza di scemo fosse Erick « Lei c’ha un suo fascino, è un musicista, ha l’aura fichissima, tutte le donne la vogliono e io, niente.» e si indicò interamente «COS’HA CHE NON VA QUESTO?!».
    Una volta data forma verbale alle sue perplessità, essendosi probabilmente giocato quel poco di contegno che faticosamente aveva mostrato al mondo dopo aver rotto con la Ashfield, decise di indagare la faccenda dell’alambicco proprio attraverso l’alchimia, forza magica dalle straordinarie capacità.
    Una volta liberata la mente da quei pensieri intrusivi, fece tabula rasa, prendendo un bel respiro e pronunciò la formula «signo» attingendo al proprio inchiostro runico per iscrivervi dentro un simbolo alchemico preciso. In sostanza il suo piano era quello di indagare l’alambicco nella speranza di scoprire come poterlo aggiustare, interrogando la forza alchemica stessa di cui quel posto era permeato. Disegnò quindi un cerchio e incise la runa “Hagall” per il dominio di risoluzione di un mistero, perché secondo il ragazzino proprio di tale si trattava, “Nied” bene grande in centro per renderla centrale con il suo dominio di visioni illuminate, attraverso il quale sperava di ottenere una chiara indicazione visiva di quell’elemento -o quegli elementi necessari- a liberarli dall’enigma, “Ehol” per fortuna, visto che effettivamente stavano correndo contro al tempo e avevano bisogno di tutta la fortuna del mondo e “Fehe”, centralmente, per successo, perché chiaramente la visione doveva essere orientata a sbloccare la situazione, non a ulteriormente bloccarla. All’interno dell’anello, incise quindi il simbolo della Terra (un po' scostata rispetto all'origine del cerchio runico che era Nied), per combinar il simbolo alchemico al cerchio e concluse il tutto fermando nella mente il quesito “cosa dobbiamo fare, a ‘sto coso, per uscire da qui” pronunciando verbalmente la formula di esecuzione « Exsequòr»e attese.

    Se l’azione avesse avuto successo, avrebbe avuto una visione chiara e nitida di quello che necessitava a loro di fare e ne avrebbe informato il gruppo, probabilmente strillando come un’acquila.

    Se la sua ipotesi riguardante l’intervento utilizzando la terra si fosse rivelato corretto, sarebbe andato a caricarsi alla colonnina alchemica apposita della terra, avrebbe toccato il contrappasso di pietra (per non incappare nella manipolazione accidentale di qualche altro elemento come gli era successo con il fuoco) e avrebbe utilizzato la maestranza alchemica mirando all’alambicco, motivato non dall’orgoglio, non dall’esigenza di fare bella figura, ma da quella di farla pagare alla sue ex. Forse questa, fra tutte le determinazioni fin ora trovate da Erick, era la più potente pronunciando la formula «Alos Elementalis.»



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    We were searching for reasons to play by the rules
    But we quickly found out it was just for fools
    Now through all the sorrow, we’ll be riding high
    And the truth of the matter is I never let you go, let you go

    You go down just like Holy Mary, Mary on a, Mary on a cross
    Your beauty never, ever scared me, Mary on a, Mary on a cross
    If you choose to run away with me, I will tickle you internally
    And I see nothing wrong with that


    Edited by Alk@line - 16/8/2022, 11:18
     
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    vere una mente autoricreativa sa essere a volte, una terribile, terribile condanna.


    EDEVANE: "Per cortesia, mi dice cosa ha sentito?"

    ERICK: "Ho sentito, che il Wizwngamot l’ha messa in carica di radunare i Tassorosso scappati in Francia, che si stanno nascondendo o facendo passare per no-maj."

    E quello avvolto nel proprio cappotto costoso, sorride.

    EDEVANE: "Un funzionaro dell'Ufficio sull'Applicazione della Legge Magica non avrebbe saputo dirlo meglio."
    ERICK: "Ma il motivo della sua visita, sebbene piacevole, per me è misterioso. Hanno già guardato nella mia casa nove mesi fa cercando dei rifugiati e non hanno trovato nulla."
    EDEVANE: Sono a conoscenza di ciò, ho letto il rapporto su quest’area. Ma come in ogni impresa, quando è sotto una nuova gestione, c’è sempre un leggero raddoppio di sforzi. E lo sai, conosco le tue capacità magiche meglio di chiunque altro.
    Fra l'altro, molti di questi sforzi, risultano essere un completo spreco di tempo, ma devono essere fatti ugualmente e come potevo non approfittarne per venirti a prendere, prima che altri lo facessero? Prima che ti cacciassi seriamente nei guai? Solo poche domande Erick e se mi aiuti con le risposte, il mio dipartimento può chiudere il caso sulla sua famiglia.


    Prendendo la sua valigetta di pelle nera, e mettendola sul tavola, ne estrae una cartella. Estrae anche una penna silografica nera dal taschino della giacca dell'uniforme. Aprendo la cartella e riferendosi ad essa:


    EDEVANE: Ora, prima dell’occupazione, c’erano quattro famiglie magiche in quest’area, tutti diplomati in arte della Magia e della Stregoneria, come noi, giusto? Giusto?

    Ed Erick non rispose alla domanda. Sfilò la boccetta dal bavero della manica e la bevve piuttosto, lasciando che essa rivelasse i suoi effetti e sentendosi poi arpionare i biondi capelli.

    sbattè le palpebre due volte e quella follia si estinse, collassando su sè stessa come quegli incendi che non vengono nutriti di ossigeno




    Le pupille del suo amico erano dilatate, enormi, e quasi ingoiavano completamente il ceruleo dei suoi occhi divenuto oramai un'aura sottilissima, come la scorza del sole attorno a un'eclisse. Barcollava. Era un gioco che piaceva ad entrambi quello di credere di essere necessari all'altro, inutile nasconderlo, in qualche modo inspiegabile si erano scelti. Erick, che era sicuramente più in grado di camminare diritto rispetto all'altro, gli si fece sotto approfittando dell'occasione, piegò il braccio, si avvicinò e rapido lo avviluppò alla sua schiena passando al di sotto della sua ascella, lo sostenne prima che rovinasse a terra.
    L'odore di lei, su di lui, gli stuprò le narici.
    Avevano ballato e forse anche qualcosa di più, ma Erick aveva smesso di interessarsene ( o così si diceva). Nel bene o nel male doveva pur difendersi, e di contro, anche il mezzo veela aveva ballato con una ragazza, quindi in sostanza non poteva rimproverargli molto se non l'umiliazione di essere usciti allo scoperto durante un ballo ufficiale.
    Rispose vago in merito alle domande vaneggianti su Diaspro, riferendogli cose che avrebbe comunque poi scoperto e raccogliendo gli sproloqui di lui, l'aiutò a raggingere il bagno dei Prefetti dove lo spinse nelle docce ancora vestito, lo insaponò più o meno con un un incanto e lo vide litigare con quelle spugne che gli si infilavano ovunque. Rideva Erick e rise fino a che non avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. Tovava spiacevole lo sguardo di lui, ma anche innegabilmente ipnotico e restituì quindi uno sguardo fermo, un'espressione cupa, mentre l'asciugava tramite un "Sicco". Gli mise al collo la propria mutamedaglia, in modo che i suoi vestiti diventassero comodi e da notte, e gli strappò uno e un solo capello, mentre lo pettinava devoto. Gli sembrava di avere fra le mani una bambola di dimensioni umane e non sapeva se l'altro ora gli parlava o non gli parlava per demenza, per puntiglio o per orgoglio ferito.
    «Non fare lo stronzo. Se ti faccio andare a casa così ti prendono per un accattone e ti levano pure il cognome. Stà buono. Hai i capelli tutti annodati» .

    Lo condusse fino al letto, ripiegando le coperte, facendo quanto più silenzio possibile e gli sistemò il cuscino. Avrebbe potuto premerglielo sulla faccia ma non lo fece. Si limitò a inquietarlo con le proprie pupille rosse e iraconde. Tirò le coperte leggere fino alla sua spalla, poi si sedette accanto a lui, carezzandgli la fronte dove alcuni capelli umidi si erano appiccicati. Sembrava piacergli quel gesto.
    «Sai Aethelred, è vero, tu non mi avresti mai spinto liggiù, ma mi hai spinto tante volte. Lo hai fatto quando mi hai tagliato fuori e mi hai preferito Althean. Lo hai fatto quando hai deciso che LEI era più importante per te di me. Mi incazzo ancora sai? Credi che tu possa essere sostituito, cancellato. Ma tu sei in un posto dove nulla ti può scardinare, ma io per te non sono niente. Sono solo un calcolo e lo so, e quando vedi qualcuno che ha una spilla come la tua o più alta, mi vendi. Lo fai da anni, e io te lo lascio fare. Mi hai venduto anche a quella stronza della Castel finchè ogni cosa che di Serpeverde era in me è stata disintegrata. Distrutta. Hai lasciato che ridicolizzasse la mia ambizione, osteggiasse la mia scaltrezza, si facesse beffe della mia astuzia, che altro poteva succedere Aethelred?». E gli sembra che sia triste, ma non ne è del tutto certo, le palpebre di lui si fanno sempre più pesanti mentre gli bacia la guancia «E ti odio, e mi odio. Ecco una nuova cosa che abbiamo in comune: io mi odio per quel che ti ho fatto a Cura e odio te per avermelo lasciato fare...ma sono sicuro che durerà poco, il tempo di un battito di ciglia» e si alza, e gli sistema i bagagli per bene rifacendogli il baule piegando con precisione algebrica ogni abito dell'amico, sostituendo gli appunti delle materie comuni con i suoi, perchè sa, ne è certo, che la stecca si abbatterà sulle nocche del ragazzino se non interviene. Gli appunti di Aethelred sono deliranti e il suo istitutore non avrà pietà. «Perchè nel mio cuore ti senti inferiore a tutti gli altri. Non vedi che ti voglio bene così tanto da restare sempre al tuo fianco? So che vivi in un buio così profondo che mi daresti fuoco per poterti scaldare anche solo per un poco di qualche tipo di amore totalizzante che ti neghi tu stesso. Non la prendo come qualcosa di personale questa brama che hai, ma se io amavo Leah e non ne aveva merito, tu sei al di là del romantico bla bla. Non mi serve baciarti a un ballo, coglione. L'amore non si merita, o lo si prova o non lo si prova.» e fa per andarsene quando qualcosa sembra trattenerlo. Si volta, lo guarda come se volesse dirgli "addio" con occhi gongi e lucidi di lacrime, e chiude la porta.
    «Ce la faremo. Un'altra cosa che odio di me, è come riesco a perdonarti così semplicemente. Come se mi avessi dato solo un pizzico, come se fossimo ancora gli stessi di quando eravamo sul ponte e mi invitavi a casa tua e io ero felice. Davvero credi che io ti possa dimenticare?» sussurra a se stesso

    E prende sembianze del Prefetto per fare la sua ronda, per lasciare che per una notte almeno lui dorma sereno come lo è stato lui, cullato dal profumo di Leah e dal suo bel sorriso.

    Che almeno ne sia valsa la pena. Il dolore è portato elegantemente. La devozione invece va provata verso colui che, se Erick si fosse comportato bene o male non avrebbe comunque fatto altro che amputargli ogni affetto, volendo essere lui l'universo dell'altro. Questi erano elementi cardine della loro follia a due o di due anime che si erano scelte, come fossero fratelli, non essendolo affatto. Niente può competere con qualcosa del genere. Niente e nessuno.
    Erano forse le tre del mattino quando Erick vaga per i corridoi fingendosi un altro, pregando, sperando di non dovere incrociare un sorriso di Leah che non è affatto per lui ma per la faccia che veste. Ci vuole coraggio per vagare a quell'ora inghiottiti dal buio, per garantire l'ordine. Era l'ora peggiore. Era l'ora in cui era solo davvero a fare i conti con la sua vita. I pensieri su ciò che non torna diventano sabbie mobili che non lo vogliono lasciare andare e se li coltiva, come fossero narcisi.
    Quel problema è troppo grande, non si risolverà. É solo e non può mica svegliare qualcuno a quell'ora funesta, con la faccia di un altro, mentre si espande l'eco del suo dolore. Aspetta la luce, contando all'indietro da dieci a zero e si chiede mille volte e mille ancora come sia possibile che di quella caccia al bambino, Edevane, non si sia lamentato mai, nemmeno una volta.
    Serpeverde
    Mezzo veela
    Battitore

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    Edited by Alk@line - 3/9/2022, 11:46
     
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