Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

[STORYLINE] In loving memory

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +16   +1   -1
     
    .
    Avatar



    Group
    Amministratori
    Posts
    25,119
    Location
    La corte dei miracoli

    Status
    Offline
    Fkduvs1

    Nonostante la tempesta infuriasse all'esterno del castello, con tuoni, fulmini e grandine che incessantemente colpivano le mura dell'edificio incantato, Hogwarts era incredibilmente silenziosa.
    Nessun vociare di ragazzini in festa, nessun chiacchiericcio, nessun incantesimo lanciato di nascosto o risate a riecheggiare tra i corridoi.
    Neanche il pianto disperato di un bambino.
    Era come se una magia potentissima si fosse abbattuta sul castello ed avesse messo a tacere le urla e la disperazione crescente che adesso era racchiusa all'interno della Sala Grande del castello in cui si stava svolgendo la commemorazione funebre dei caduti.
    Il morbo di Helianthus aveva colpito, nulla aveva potuto la cura o il vaccino o qualunque altra cosa i medici avessero provato a somministrare per salvare quelle povere anime che quel giorno erano adagiate all'interno di bare di cristallo, affinché amici e parenti potessero porgere l'ultimo saluto alle loro spoglie mortali.

    Shane aveva fatto un discorso lungo e commovente, spendendo parole gentili per tutti gli studenti che avevano perso la vita a causa di quel male incurabile, dimostrando di conoscere ciascuno di loro nel modo in cui un buon insegnante dovrebbe conoscere i propri studenti. Era stato la loro guida, gli aveva mostrato il mondo al di fuori dell'Inghilterra, alcuni li aveva visti crescere mentre altri avrebbe voluto vederli crescere e così purtroppo non sarebbe stato.
    Anche gli altri professori erano stati liberi di parlare dei propri studenti, così come fu concesso del tempo agli amici ed ai parenti di ricordare i loro cari.
    Non ci furono pressioni per la durata del funerale, nessuno si lamentò o dimostrò insofferenza, tutti stavano partecipando a quel dolore che avrebbe potuto colpire chiunque. Rispettosamente e silenziosamente, ognuno a modo suo, porgeva i suoi omaggi ai compagni scomparsi.

    Quel giorno Hogwarts era più silenziosa che mai perché alcune voci si erano spente per sempre.


    in loving memory



    Alyssa Amy Matthews & David Smith
    Ul3TGsD giphy
    Perseus Halliwell & Dawn Chanel Ravenrose
    giphy 2wMh
    Eileen Maeve McCarthy & Stephan Marcus Frost
    tumblr_o00yyxz9cX1rcyclqo7_250 tumblr_inline_p3v6pad8y21s32gxz_1280


    Chi volesse è libero di fare un post commemorativo.
     
    Top
    .
  2.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Mod Globali
    Posts
    16,819
    Location
    Dalla base segreta della Across!!! Con lieve deviazione per il quartier generale dell'Hellsing X3

    Status
    Offline
    «Kharis Donovan; Corvonero • Sesto Anno - SCHEDA»

    Kharis era in uno stato di catatonico stupore. Vagava per il castello meccanicamente, faceva ciò che le veniva detto e per il resto stava seduta per ore a fissare fuori dalla finestra della sua camera, il grigio cielo invernale, le sparse spazzate di neve, le sporadiche schiarite. Si rigirava al polso il bracciale, che ormai sapeva non avrebbe più mutato il suo colore. Il gemello si trovava al polso di Perseus, che non avrebbe provato più alcuna emozione.
    Quando era tornata ad Hogwarts, dopo la cura, era sicura che ogni ragazzo avesse fatto altrettanto ma, ahimè, la medicina magica può essere fallace tanto quella babbana. Aveva parlato con l'amico poche settimane prima, poi era successo tutto così in fretta: la corsa in ospedale, la crisi respiratoria...
    Calde lacrime solcavano le guance della giovane, ogni volta che ci ripensava. Ma oramai non si disperava più, non ne aveva la forza: i primi giorni era affranta, al limite dell'isterico, ma con il passare del tempo era subentrata una sorta di calma sofferenza che la faceva agire come un'automa. Aveva sicuramente apprezzato il funerale e la commemorazione fatta dal Preside, erano stati entrambi fatti con gran cura e di questo poteva essere grata. Vedere però in prima persona Perseus senza vita, disteso nella bara di cristallo insieme a diversi altri ragazzi che considerava compagni, con cui passava nove mesi all'anno, ogni giorno... era stato troppo per la Corvonero. Semplicemente, non riusciva a sopportare l'idea di non vederli più, di non poterci più parlare, nè ridere o scherzare.
    Aveva con sè cinque mazzetti di fiori, tre azzurri, due verdi e uno arancione, da poggiare vicino o sopra le bare di ognuno di loro, ma non riuscì ad avvicinarsi. Era impietrita alla vista dei cadaveri, anche se avevano tutti un aspetto calmo e rilassato, sembravano dormire e questo le faceva ancora più male: la sua parte più infantile avrebbe voluto correre e scuotere le casse, urlandogli di alzarsi, di svegliarsi, che non era più divertente come scherzo. Ma invece se ne stette lì, in piedi, mentre vedeva le persone accanto a lei, con calma, procedere a rendere i loro omaggi, non riuscendo a fare un passo in più, rigirandosi nervosamente il bracciale sul polso.
    « The game in never over, but maybe there'll be new players now. »
    codice role © Akicch~NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
     
    Top
    .
  3.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Ooops

    Group
    Vecchie Fiamme
    Posts
    2,162

    Status
    Anonymous

    Audrey HastingsIV anno - Prefetta Serpeverde - scheda 2CLlNi1« Tra i morti anche Eileen McCarthy. Forse la conoscevi, era del tuo anno ». Non avrei mai dimenticato quelle parole, né il momento in cui le ascoltai per la prima volta, accoccolata sul divano della Sala Comune di Serpeverde. Il clangore della penna che lasciai cadere sul tavolo fu l’unico rumore che fece da eco a quella fredda comunicazione. Avvertii i muscoli irrigidirsi, la mascella contrarsi fino a fare male. Sollevai lo sguardo verso il mio interlocutore, per poi rimanere immobile per qualche lungo istante. La mia faccia era una maschera di ghiaccio, sarebbe stato difficile decifrare i pensieri che mi attraversarono la mente. « Non è vero » risposi quindi, il tono rigido e perentorio. Feci roteare lo sguardo infastidita, chiedendomi perché la gente facesse girare tutte quelle notizie false. Avevo già sentito dire che la McCarthy si fosse presa il morbo di Heliantus, ma lo stesso era stato detto praticamente di tutti gli studenti di Hogwarts. Sapevo benissimo che non era morta, semplicemente non poteva esserlo. Il solo pensiero era ridicolo. L’unica nota stonata? Il mio tono sicuro non si addiceva del tutto al fatto che il mio corpo fosse improvvisamente diventato un tronco di legno. « Ho detto che non è vero, ok? » ripetei quindi, piccata, prima di poter sentire altro. « So di chi stai parlando, non è morta ». Il mio tono si era alzato di qualche ottava, istericamente, prima che potessi ragionare e modularlo. Mi schiarii quindi la voce, continuando a scuotere la testa. Ero consapevole del fatto che la notizia appena ricevuta fosse falsa. Era pur sempre di Malpelo che stavamo parlando. Testarda come un mulo, logorroica fino a risultare insopportabile, la rossa era una tipa tosta. Niente sarebbe mai riuscito a scalfirla, ne ero certa. D’altra parte, tutte le macumbe che le avevo indirizzato in quegli anni erano sempre andate a vuoto. Nonostante tutte le sue sofferenze passate, tutte le mie angherie, la rossa era sempre andata avanti, con quel fastidiosissimo sorrisone dipinto sulle labbra ventiquattro ore su ventiquattro. Sicuramente non avrei cambiato idea con le parole del coglione di turno. Mi sollevai di scatto, raccogliendo le mie cose con una fretta che trasudava isteria. « No- FERMO » sbottai immediatamente, quando lo studente fece come per aiutarmi. « Hai già fatto abbastanza ». Strano come neanche riversare la mia rabbia su quel povero malcapitato riuscisse a farmi sentire meno inquieta. Nauseata, mi allontanai senza un’altra parola verso il mio dormitorio, deserto. Sollevata, chiusi la porta con uno strattone, per poi lasciar cadere la mia roba sul pavimento. E il fatto che dopo qualche istante mi trovassi in bagno a vomitare era sicuramente dovuto ad un’intossicazione alimentare.

    La Sala Grande era silenziosa, seppur gremita di gente. Faceva quasi impressione, vedere così tante persone radunate in silenzio in uno stesso luogo senza emettere suono. Qualche sporadico singhiozzo qua e là, l'eco di qualche tuono causato dalla tempesta che impazzava, ma per il resto solo silenzio. La mia mente sembrava essere stata colpita da uno schiantesimo; nessun pensiero, nessuna considerazione, solo un fastidioso ronzio, che mi impediva di ascoltare le parole pronunciate di volta in volta dai familiari delle vittime del morbo. Immobile in una delle ultime file della Sala Grande, continuavo a guardare verso il basso, fingendo un improvviso interesse per le mie mani tremanti. Tutte le bare facevano impressione, conoscevo anche buona parte delle vittime. Tutti ragazzi troppo giovani che avevano visto la vita interrompersi di botto. Eppure era una la bara che temevo più di tutte, quella che mi spingeva ad evitare con ostinazione di rivolgere il mio sguardo in avanti. Ero stata brava negli ultimi giorni a fingere che la morte della McCarthy non mi avesse toccata, a raccontare che i tanti chili persi in pochi giorni fossero causati dallo stress per il carico di studio, a ripetere frasi di circostanza ogni volta che veniva toccato l'argomento. Anche quella farsa però aveva avuto una fine, esattamente nel momento in cui avevo varcato la soglia di quella sala. Da quel momento non avevo spiccicato parola, non avevo incrociato lo sguardo di nessuno, non ero neanche riuscita a prestare attenzione a tutte le parole che erano state spese nei confronti dei defunti. Non avrei saputo dire da quanto tempo mi trovassi in quella posizione, se fossero trascorsi dieci minuti o un paio d'ore. Fu nel constatare lo stato catatonico in cui ero crollata a spingermi a fare quanto prima non avevo osato. Sollevai la testa, indirizzando i miei occhi verso la bara della McCarthy. Capelli rossi, pelle bianca come un cencio... Un corpo, non più una persona. Lo stesso aspetto della ragazza a cui avevo sempre cercato di rendere la vita un inferno. Come scottata, distolsi immediatamente lo sguardo, avvertendo un ingombrante peso all'altezza della cassa toracica, talmente opprimente da mozzarmi il respiro. Le guance scottavano, il cuore aveva iniziato a battere all'impazzata mentre annaspavo alla ricerca d'aria. Aria, ho bisogno d'aria fu l'unico pensiero coerente che riuscii a formulare. Il mio corpo sembrò muoversi da solo, come per istinto di conservazione. Scattai in direzione della porta, per poi attraversarla e raggiungere l'ingresso con le palpitazioni. Stremata, mi accasciai lungo un muro, sentendo di scivolare lentamente. A quanto pareva, perfino le mie gambe si rifiutavano di sorreggermi. Una volta a terra, avvertii un singhiozzo strozzato lasciare le mie labbra, subito seguito da tanti altri. Per quanto il mio cervello avesse provato in quei giorni a rifiutare la verità, ad immaginare possibili malintesi e scambi di persona, davanti ad un corpo freddo non c'erano più speranze.
    everything is lost and this nightmare closing in

    CODE&GRAPHIC BY HIME
     
    Top
    .
  4.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    il mio libro: https://amzn.eu/d/hosAJiZ

    Group
    Grifondoro
    Posts
    12,025
    Location
    La Caverna di Fed

    Status
    Offline


    Pauline

    LEDREC

    oh baby I'm as super as they are

    IPMGDR VII YEAR APSerpeC

    voice - scheda


    narrato - parlato - pensato

    Come avrebbe potuto convivere con quella mancanza? L'assenza letale di chi non c'era stato abbastanza o di chi, forse, c'era sempre stato. Forse faceva male il fatto di non avergli potuto dire addio, il fatto che non poteva più aver nulla a che fare con lui o forse il fatto che non era arrivata in tempo per dirgli davvero quanto gli voleva bene. Ormai era rimasta realmente sola: sola e circondata da altri, sola e immobile all'interno del proprio io.

    Mi mancherà. Mi stava simpatico.

    Una voce sembrò riverberarsi nella mente della serpeverde che, ormai all'ultimo anno, si accingeva a vivere una vita con un enorme vuoto nel cuore. Non voleva pensare a nulla. Né al volto dispettoso di Genevieve che, senza alcun sentimento, sarebbe stata in grado di vivere meglio quella scena rispetto a lei né al pensiero che quella sua vita non sarebbe potuta essere più la stessa. Prima Liam, poi, irrimediabilmente Lestat, ed adesso Stephan. Le faceva male anche solo pensare a quante altre persone si sarebbe potuta lasciare indietro. Aveva solo diciassette anni. Com'era possibile che avesse dovuto portarsi alle spalle tutto questo dolore? Come avrebbe potuto sopravvivere? Era sola, si sentiva sola, consapevolmente riusciva a tenere stretti i pugni per non sapeva quale forza. Era stata anche lei malata, ma era sopravvissuta. Perché Stephan non ci era riuscito? Come poteva anche solo immaginare che per un immane casualità anche lei sarebbe morta?

    Sono degli incompetenti. Anche noi stavamo per morire.

    Sì, anche loro stavano per morire. A Pauline venne un brivido lungo la schiena. Il terrore si faceva intenso nel suo sguardo, la certezza che doveva riuscire ad andare oltre quella faccenda, la certezza ancora maggiore che - se si fosse veramente salvata - avrebbe votato tutta la sua conoscenza alla medicina. Non doveva accadere più. Non doveva accadere che una famiglia perdesse un figlio, che una ragazza perdesse il fidanzato, che una giovane perdesse il migliore amico. Migliore amico ed unico consigliere.

    Siamo rimaste sole.

    Scosse la testa, sentendo le lacrime che pizzicavano la pelle delicata e scendevano sulla gota. Rimanevano immobili, le sei salme, circondate da un vetro trasparentissimo, un cristallo magico che gli donava un bagliore eterno. La serpeverde non fece in tempo a bloccare Audrey, disperata dalla dipartita di una giovane grifondoro del suo anno, e si avvicinò alla bara di Stephan per poggiare una mano sul vetro trasparente. "Mi mancherai" sussurrò, in un flebile rantolo, mentre serrava la mascella fino a rompersi i denti, teneva la mano così fortemente attaccata alla copertura della bara come se potesse romperla. Chiuse gli occhi e rilasciò la propria aura, osservando i bagliori che si tingevano di un arancio pallido, non più brillante come un tempo, consapevole di essere cambiata, di aver perso un pezzo. Rilasciò la propria aura ma non si sentì del gelsomino nell'aria, nessun profumo, nessun suono. Gli occhi della ragazzina si velavano di lacrime copiose mentre ancora ed ancora provava a lambire il suo corpo con la propria energia vitale, sperando di percepirne per un ultimo attimo un residuo ma niente. Nessun bagliore rossastro, nessun odore fastidioso di sangue. Niente. Solo silenzio interminabile come quello di quella stanza.
    La sua aura si spense come uno scocco di frusta, scomparendo senza dissolvenza ma in maniera brutale e gli occhi della serpeverde guardavano ancora ed ancora il viso di quel ragazzo che non sarà mai uomo. "Mi manchi" aggiunse poco dopo, inginocchiandosi e sedendosi a terra all'altezza del suo viso, lasciando scivolare la sua mano lungo il lato della bara, sedendovisi accanto come a volergli fare compagnia. Non si mosse. Rimase immobile poggiando la testa da un lato, inclinando leggermente il collo per fermarsi a guardarlo ancora un po'.

    Non si sveglierà, nemmeno se gli stai così appiccicata.

    "Non mi importa" sospirò nella sua mente, in diretta risposta alla voce di Geneveve "sei stata in silenzio fino ad ora, perché adesso?"

    Perché sembra che tu abbia di nuovo bisogno di me.



    code © thefedivan

     
    Top
    .
  5.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    « Our lives are not our own »


    Group
    Adulti
    Posts
    7,078
    Location
    FREE PALESTINE 🍉

    Status
    Anonymous


    Sam fissava le sei bare di cristallo con sguardo assente, contemplandole senza vederle davvero. Aveva le cornee appannate, le pupille sfocate, distratta dai riflessi delle candele sul vetro che creavano arabeschi dorati, decorando i volti pallidi e gli abiti troppo flosci che si celavano al di sotto con un pizzico di colore. L’eco della tempesta, all’esterno, rimbombava ovattato nel suo cervello, un grido del cielo che suonava cullante come una ninnananna, più accogliente e comprensibile delle parole di Shane. Qualcosa le diceva che erano sentite, che il suo cordoglio era sincero, eppure non riusciva a dar loro valore, così come si sentiva incapace di fare o provare alcunché. Si sentiva svuotata, privata di ogni emozione, quasi inebetita dal silenzio opprimente che regnava nel castello da quando le notizie delle morti dei suoi compagni erano giunte, una dopo l’altra, a devastare gli animi di chi li conosceva.
    In prima linea, molte file più avanti, rispetto a lei, c’erano i familiari e gli amici più stretti, mentre un corteo di studenti faceva avanti e indietro dall’area delle teche con mazzi di fiori, cascate di lacrime e vinili di frasi sconnesse e singhiozzanti.
    E lei non provava niente. Com’era possibile che non provasse niente? Per colpa del morbo sei giovani che avevano condiviso con lei la stessa aria non avrebbero più potuto passeggiare per i corridoi, scherzare in Sala Grande, svagarsi nel parco, chiacchierare fino a tarda notte nei loro dormitori. Nessuno l’aveva detto, ma Sam era certa che avessero sofferto prima di spirare. Ricordava fin troppo bene il dépliant che le Guaritrici avevano lasciato in infermeria quando li avevano vaccinati, la paura che aveva provato per i suoi parenti che vivevano più vicini alla campagna che non in città… si domandò cosa sarebbe successo se fosse stata lei al loro posto, come avrebbero reagito i suoi genitori, suo fratello e sua sorella, Lara, Eveline, Audrey… Nathan… Il suo volto irrigidito dall’apatia si contorse in una smorfia di disprezzo: come poteva riflettere su di sé durante la veglia funebre di qualcun altro?!
    Un piccolo sospiro amareggiato le fuoriuscì dalle labbra irrigidite, e si strinse senza averne davvero bisogno nel maglioncino nero che la Lilnoir le aveva prestato, visto che di indumenti dai colori cupi, divisa a parte, non ne possedeva. Doveva focalizzarsi. Non riusciva a capire perché fosse andata a finire in quel modo: il vaccino non era sicuro? Gli organismi di quei sei ragazzi non l’avevano assorbito adeguatamente? E poi c’era sempre ciò che aveva letto in quel dannato libro, l’estratto del diario di Michael McArthon a proposito del Mehenis. Malgrado ormai avesse compreso che risvegliare quella creatura leggendaria – sempre che fosse mai esistita davvero – avrebbe causato più danno che beneficio, trovava frustrante che non vi fosse davvero nessun’altra soluzione all’Heliantus.
    “Solo alla morte non c’è rimedio, piccola” le aveva detto sua nonna una volta, mentre le raccontava di Pádraig e dei suoi esperimenti con l’alchimia. Ciò però non significava che il resto dei rimedi funzionasse sempre per tutti, come la chemioterapia per i malati di cancro o chissà quali altre disfunzioni. Persino i paraplegici, in qualche modo, avrebbero potuto ricominciare a sentire o a muoversi – Levon era stato ben chiaro quando aveva spiegato come funzionasse l’Aura e che anche i babbani vi potessero accedere. E allora perché ora si stava infuriando tanto? Per un capriccio? Per un desiderio infantile e irrealizzabile di salvare il mondo?
    Le sue iridi cerulee si spostarono verso la bara più minuta, quella di Alyssa, tra tutti quella che più l’aveva toccata, persino più di Dawn che era una sua concasata. Alyssa era una bambina. Aveva solo undici anni, aveva appena cominciato a capire chi fosse… non la conosceva se non attraverso le conversazioni udite in Sala Comune dai Tassorosso del primo anno che l’avevano come compagna, ed il groppo alla gola che avrebbe dovuto avvertire già da tempo le mozzò finalmente il respiro. Si morse la lingua per non piangere. Non ne aveva alcun diritto. Non come Pauline, Kharis o Audrey... non avrebbe mai potuto capire come si sentissero in quel momento e, a costo di sembrare egoista, non avrebbe mai neppure voluto saperlo. La vista della Hastings, in lontananza, scossa dai tremiti e accompagnata da qualcuno che non riusciva a distinguere, fu per Sam come un pugno nello stomaco. Era già la seconda volta che la Serpeverde la sorprendeva, palesando una debolezza che quotidianamente occultava benissimo, la seconda volta che si sentiva in colpa per ciò che di brutto aveva spesso pensato di lei, e in quel momento prese la decisione di provare a cambiare le cose tra loro, in qualche modo. Prima o poi.
    Un altro sospiro. Avrebbe dovuto imparare qualcosa da quell’esperienza? Di certo non si sarebbe fatta angosciare da paranoie sulla medicina, ma questo non lo faceva neppure prima. Raggiungere la consapevolezza che la vita era effimera? Forse. Ma dalla sua posizione, dalla sua prospettiva così distaccata, non riusciva a percepirne appieno il valore. Non si era mai trovata in fin di vita. Non aveva toccato il dolore della perdita, mai se non con Nathan. Ma lui era vivo. Doveva esserlo, e la sua determinazione a crederlo tale la rendeva ancora più inadatta a condividere lo stato d’animo di coloro che la circondavano. Ancora una volta si sentì una stupida, un’ingenua cresciuta e vissuta nella bambagia…
    «Non tormentarti, Sam»
    La voce di Lizzie, alla sua destra, era morbida e rassicurante, lo sguardo di cioccolata privo d’ombre puntato verso le bare di Stephan, Perseus e David.
    «Non mi sto tormentando» ribatté lei piccata, una punta di acredine nella voce che si sforzò di tenere bassa, e sobbalzò quando Mary Elizabeth le sfiorò la mano, realizzando di averla stretta in un pugno tanto serrato che le nocche erano sbiancate. Suo malgrado, rilassò la postura e le falangi intorpidite, senza però guardare la sorella.
    «So cosa stai pensando. Non devi necessariamente portare un defunto sulla coscienza per crescere o maturare. Non ti renderà più interessante o più sensibile»
    A Sam si contorsero le viscere, colpevole, odiando Lizzie per la sua capacità di capirla con una sola occhiata ed invidiandola allo stesso tempo. Non provò neppure a negarlo.
    «Ma io non provo niente. Dovrei piangere, e non ci riesco… » sussurrò lamentosa, ricacciando indietro le lacrime di frustrazione.
    «Non è vero, questo» la corresse Lizzie dolcemente, ruotando il capo verso sinistra, verso la minore. La sua espressione era seria e composta come sempre, ma negli occhi Sam vi lesse molto più di quanto non trapelasse dal suo viso. «Sei arrabbiata. Stai riflettendo su te stessa, su cosa significhi tutto questo, su ciò che vorresti o potresti fare per impedirlo… Sei qui. Saresti potuta rimanere in dormitorio»
    «Sai che non avrei mai potuto»
    «E perché? Se non ti interessava-»
    «Non ho mai detto che non mi interessa!»
    sbottò, appena più forte, e le persone circostanti la guardarono male.
    «Visto? Consentimi di essere franca: non credo che tu sia qui solo per evitare di essere additata come un’insensibile se non avessi partecipato»
    Sam arrossì, il nodo alla gola si ingrossò, la stretta alle viscere si acuì, il cuore le tamburellò ad un ritmo sincopato, straziante. Ancora centro.
    «No?»
    «Penso che tu sia abbia deciso, più o meno inconsciamente, di presenziare a questa veglia perché volevi metterti alla prova. Capire se vedere in prima persona i corpi dei tuoi compagni ti avrebbe suscitato qualche emozione. Per sentirti parte di qualcosa»

    A quelle parole anche Sam ruotò il collo, scrutando infine sua sorella negli occhi, colma di speranza.
    «Davvero?»
    Lizzie accennò un minuscolo sorriso.
    «Sì». Spostò le pupille sulle teche di cristallo per qualche istante, riportandole poi sulla minore. «Mi accompagni a fare le condoglianze?»
    Sam annuì in silenzio, indietreggiando ed imboccando la navata centrale, sua sorella accanto che le teneva la mancina sulla spalla destra e Fany, dal volto rigato di lacrime, che le seguiva. Mentre erano sedute aveva stretto la mano all’amica per tutto il tempo e adesso sembrava un fuscello in balia del vento. La Tassorosso rallentò l’andatura, voltandosi appena per poter guardare la Hwang, e le porse la mancina, invitandola al suo fianco. La corvina ebbe un singulto di commozione e speranza e le rivolse un minuscolo sorriso prima di intrecciare le dita sottili alla piccola mano della Prefetta.
    «Grazie, Sam»
    Sam scosse solo la testa, un tuffo al cuore per quelle due parole, continuando a procedere in silenzio con le due ragazze. Sembrò una marcia infinita e si sentiva addosso gli sguardi di tutti, ma sapeva che non erano le prime e non sarebbero state le ultime a porgere un ultimo omaggio ai sei, che le pupille lucide di tutti erano rivolte verso il fondo della Sala o verso i propri cari e di certo non badavano a loro. Il suo respiro però si era regolarizzato, le membra le tremavano di meno; lasciò distrattamente la mano di Fany per permetterle di avvicinarsi ai suoi ex-concasati ed alle famiglie dei caduti per condividere il proprio lutto, e rimase da sola con sua sorella.
    «Li conoscevi bene?» chiese, le iridi rivolte alle teche immacolate, il palmo di Lizzie confortante sulla sua spalla.
    La percepì scuotere la testa prima di rispondere. «Fany è stata la mia unica, vera amica, lo sai. Ma ho frequentato molte lezioni con Stephan e Dawn, e Percy era un Corvonero, come me. Abbiamo dormito nella stessa torre per anni… » la sua voce si perse.
    «È per questo che non piangi? Perché non li conoscevi bene?»
    Lizzie scosse di nuovo la testa. «Non credo si tratti di conoscenza, quanto più di affetto. C’era familiarità, ma non volevo loro bene». Sam si contrasse a quella frase, ma sapeva che Lizzie era fatta così, che diceva esattamente ciò che le passava per la testa senza cattive intenzioni e con il più assoluto candore. Due lati di sé combatterono per qualche momento, lottando per decretare se domandarle o meno come si sarebbe sentita se fosse capitato qualcosa a lei, a Seth, o a qualche altro membro della famiglia, ma alla fine lasciò perdere. Aveva l’impressione che il discorso della maggiore sottintendesse proprio la risposta che la Tassorosso cercava.
    Sam portò allora la mano destra all’insù, stringendo quella di Lizzie sulla sua spalla.
    «Sei arrabbiata?»
    «Non è esatto»
    . Passò qualche secondo prima che riprendesse. «Mi dispiace che la medicina non sia riuscita ad aiutare tutti, che questi ragazzi abbiano visto la speranza del vaccino tramutarsi in qualcosa di vano, che possano essersi sentiti traditi, o essersi chiesti se per caso qualcosa non andasse in loro». Un’altra pausa. «La medicina non è infallibile, statisticamente anche molti altri, oltre a loro sei, hanno perso la vita a causa del morbo, eppure piangiamo solo loro, perché in qualche modo li conoscevamo. Sono un esempio, un simbolo di ciò che anche le famiglie e gli amici delle centinaia di persone che sono state vittime dell’Heliantus stanno provando. Volevi fare parte di qualcosa? In questo momento non sei solo con coloro che sono qui presenti, ma anche con tutti gli altri»
    Sam ci aveva già pensato, eppure sentirselo dire in quel modo da Lizzie faceva assumere a quella consapevolezza una nuova sfumatura, un sentore più caldo e profondo.
    «Ma non sei frustrata perché non ha funzionato?»
    «E a cosa servirebbe? Non è così che si progredisce, non è lasciandosi sconfortare e pensare al problema la risposta. Bisogna focalizzarsi sulla soluzione. Sono certa che i Medimagi si stiano arrovellando per concepire un vaccino ancora più efficace, che gli Erbologi si stiano spremendo le meningi per capire se vi sia altro da scoprire sul fiore che possa aiutarli nella ricerca. Noi non siamo né gli uni né gli altri, non possiamo fare altro che affidarci a loro, avere fede nel loro lavoro, nel fatto che faranno di tutto per evitare che accada nuovamente; ciò che ci resta è commemorare i caduti, stare vicini l’uno all’altro per quanto possibile. Il solo fatto che tu sia qui è un tassello importante, un aiuto fondamentale. Una persona in più che riflette su quanto è accaduto, che piange il loro avvenire rubato, che matura il desiderio di poter essere utile, in futuro»
    . Tacque.
    Sam non sapeva per quanto tempo rimase lì, gli occhi rivolti alle bare, prima che il torpore le si scrollasse di dosso.
    «Voglio andare a salutare i compagni di Alyssa e la sua famiglia» dichiarò, sciogliendo la presa della palmo di Lizzie.
    «Vai pure». Lizzie le sorrise lievemente, una scintilla d’orgoglio nello sguardo. «Io raggiungo Fany».
    Si separarono. La Tassorosso si avvicinò ai cari della piccola Corvonero e disse loro quanto fosse dispiaciuta per la loro perdita – per la perdita di tutti. Che per qualunque cosa ci sarebbe stata, che avrebbe aiutato volentieri. Il padre la abbracciò, nominando la spuma del mare, e lei fece lo stesso con i compagni di Alys. Si sentiva meglio. Si sentiva più viva. Sperava che il nome della piccola presto non sarebbe più stato tabù per poterne parlare. Perché tacerlo? Ignorare cosa fosse successo era anche peggio, come se Alyssa non fosse mai davvero esistita, e lei voleva che vivesse, o ad ucciderla una seconda volta sarebbero stati i superstiti.
    No, non l’avrebbe mai permesso.
    Hufflepuff Prefect, 15 y.o. | UCMI, ex-Ravenclaw, 19 y.o. | Dervish & Banges, ex-Ravenclaw, 20 y.o.

    wanna more? ➙ Hime©



    Edited by Kasra; - 16/7/2019, 17:00
     
    Top
    .
4 replies since 13/1/2019, 15:06   666 views
  Share  
.
Top