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Summer Sawyer-ButlerPurosangue13 anniIII annoSerpeverdeMeggie sembrò comprendere le parole di Summer; nessun fraintendimento avrebbe minato quel momento così speciale, in cui la Serpeverde, per la prima volta in vita sua, si stava sentendo finalmente utile. Era una sensazione strana, a tratti incomprensibile, come se il suo stomaco fosse in subbuglio. Summer era abituata a farsi salvare da Meggie; la Corvetta era per lei una sorta di faro nella nebbia, specialmente nei momenti in cui lo sconforto per l’assenza di Kathleen nella sua vita prorompeva con prepotenza nella sua vita. A parti invertite, si sentiva finalmente di molta utilità, come se le fosse stato concesso di chiudere almeno una piccola parte di quell’enorme debito che sentiva di avere nei confronti della migliore amica.
“Nah, le delusioni d’amore finiscono alla svelta. Si piange un pochino, al massimo, ma poi ci si ributta nella mischia. Il mare è pieno di pesci, non ha senso struggersi l’anima perché un’esca è andata perduta”.
Summer sorrise nel ripetere le parole che qualche tempo prima Megan le aveva riservato parlando di Cameron. Quando l’estate precedente aveva per un istante avuto il sospetto che quel bacio al ballo di fine anno avesse potuto significare qualcosa, la Sawyer-Butler era accorsa dalle cugine, più disincantate di lei nei confronti della vita, a chiedere un confronto. Non aveva posto quel dubbio a Meggie semplicemente perché aveva avuto il timore di poterle addossare un cruccio più grande del previsto. In quel frangente, Megan aveva utilizzato la metafora della pesca per parlare dei ragazzi. Summer in un primo momento aveva riso a crepapelle, rischiando persino di farsi la pipì addosso per l’ilarità, ma poi, nei giorni successivi, aveva riflettuto sulle parole della cugina e si era resa conto che era davvero così. Non valeva la pena buttarsi via per una persona che non provava alcun genere di sentimento. Probabilmente, se le avesse rivelato cosa stava combinando con Dante, non avrebbe esitato un solo istante a recuperare quella sua vecchia perla di saggezza.
Il ringraziamento di Margareth la colse alla sprovvista. Summer la guardò con aria interrogativa, domandandosi cosa avesse spinto la migliore amica a ringraziarla. Non era questo che si faceva tra amiche, supportarsi e spalleggiarsi nel momento del bisogno? Ascoltarsi quando lo sconforto prendeva il sopravvento? Lasciare che gli sfoghi dell’una diventassero anche un problema dell’altra, per far sì che insieme non risultassero più così apparentemente enormi e insormontabili.
“Perché mi ringrazi? Siamo amiche, è mio dovere sostenerti nei momenti di difficoltà. Anche se in questo caso stiamo parlando del cuoricino spezzato di quello sfigato di Sullivan” rispose Summer, cercando ancora una volta di sdrammatizzare con la sua proverbiale ironia, spesso anche fuori luogo.
“Lo sai che quando hai bisogno io sono qui. Non essere più strana, non con me almeno. A volte può sembrare che non mi interessi di niente e di nessuno, ma, credimi, per te io ci sono e ci sarò sempre” le disse, questa volta con cipiglio serio, intenzionata a dimostrarle quanto quelle parole fossero vere.
Quando la conversazione si spostò su un terreno per Summer più spinoso, la Sawyer-Butler perse quella patina di sicurezza e di autorevolezza di cui s’era fregiata fino a quel momento. L’indole di esperta in materia di uomini decadde nel dipingere suo cugino John come l’uomo ideale, così come era solito fare suo padre. Non c’era stata occasione in cui suo padre non avesse esitato a farle notare quanto John fosse l’incarnazione del ragazzo perfetto: di nobili origini, di sani principi e straripante di virtù. Tuttavia, quel giorno nella sua camera da letto, Summer non era riuscita a cogliere nemmeno un briciolo di tutte quelle qualità così decantate da Sean. John le era parso un viscido farabutto, una persona pronta a sfruttare ogni occasione per accaparrarsi ciò a cui ambiva; una sorta di arrampicatore sociale pronto a scavalcare ogni piccolo barlume di moralità e buonsenso pur di perseguire i propri obiettivi.
“John è una merda. Credo sia l’unica roba a cui sia possibile paragonarlo” convenne con Meggie, ritenendo che la figura del lupo associata a qualche membro della sua famiglia fosse un vero paradosso. I Sawyer-Butler erano leader nati, ma capaci di primeggiare a costo di schiacciarsi l’un l’altro, vanificando gli sforzi altrui. Nessuno si spalleggiava mai con l’altro, nessuno prendeva le difese di un membro della famiglia, nonostante il motto della stessa recitasse: «la famiglia sopra ogni altra cosa». L’unica incarnazione positiva dei Sawyer-Butler era rappresentata da Reynold, il cugino prediletto di Summer, al quale la giovane Sawyer-Butler s’era appigliata dopo l’oscurità che la morte di sua madre aveva portato nella sua vita. Era stato l’unico capace di ascoltarla senza giudicare o a non fornirle consigli non richiesti. Forse lui avrebbe potuto essere l’unico lupo fattibile in quel branco di egoisti e arrivisti; quello che Summer però ancora non sapeva era che il vero lupo lì dentro fosse suo padre, Animagus non registrato la cui identità rimaneva un sordido segreto per tutti, Elizabeth compresa.
“Io… sì, quest’estate starò più attenta. Non lascerò un solo istante Rey. Sento di essere sicura solo al suo fianco” ammise, abbassando lo sguardo. Non che Megan e Casey avessero mai avuto atteggiamenti ambigui nei suoi confronti, ma Summer spesso aveva percepito invidia e gelosia nei suoi confronti. Le gemelle invidiavano la sua indipendenza; l’avevano sempre chiamata «la fortunata», limitandosi a giudicare la patina di irreprensibilità che lo zio Sean aveva costruito intorno alla loro famiglia. Summer non si era mai sentita responsabile della lite tra i due zii; Sean e Byron avevano preso due strade diverse molto prima che i loro figli potessero maturare una propria consapevolezza e impedire la frattura del nucleo familiare. Se prima con Kathleen le redini di famiglia riuscivano a essere tese al punto da evitare di mandare fuori strada chiunque dei Sawyer-Butler si incontrasse, dopo il suo suicidio la distruzione era stata definitiva. I due fratelli si erano allontanati e i cugini avevano preso a vedersi e frequentarsi più di rado rispetto ai periodi precedenti. Megan e Casey avevano sempre invidiato la ricchezza dello zio Sean, la casa maestosa, la vita da ereditiera di Summer, ma non avevano mai vissuto sulla sua pelle i drammi che ogni giorno quella vita le portava: a fronte di un’immane ricchezza capace di viziarla, c’era una totale assenza di amore e comprensione da parte del padre, l’incapacità di farsi ascoltare da sua madre, il lutto che l’aveva colpita e la banalità con cui tutti avevano ridotto il suo dramma interiore a misera compassione. Megan e Casey avevano un padre che le amava all’inverosimile, senza fare disparità, una madre che, seppur vanitosa e molto ambiziosa, non aveva mai preso in considerazione di ferire i suoi figli per fare del male al marito. E la gente non le guardava con quell’aria di misera compassione, quasi a volerla far sentire piccola e sbagliata.
Summer sorrise di fronte all’affermazione di Meggie. Sapeva quanto fosse importante averla sentita pronunciare simili parole: alla Corvetta non piaceva granché la presenza di suo padre. Sean la metteva in soggezione e, se poteva, faceva volentieri a meno di incrociarlo o di intavolare una conversazione con lui. Tuttavia, sarebbe stata disposta a sacrificare ogni sua rimostranza nei confronti di Sean pur di starle accanto. Questo bastò a scaldarle il cuore e ad allargare ulteriormente il suo sorriso.
“Sei consapevole che passeresti un’estate intera cenando al tavolo con Sean Sawyer-Butler, vero?” le disse scherzosa, ritrovando un barlume di leggerezza a discapito di quell’oppressione che le aveva attanagliato il petto fino a quel momento.
Meggie non sembrò condividere le idee di Summer in merito all’operato di John. Quando la Serpeverde ammise di volerlo lasciare fare pur di liberarsi di quel fardello, la Corvetta si dimostrò più risoluta che mai. Il suo corpo era attraversato da una rabbia che Summer non le aveva mai visto manifestare prima d’allora. Per di più, non aveva soppesato l’altra parte della medaglia, quella in cui una concessione avrebbe liberalizzato l’abuso su di lei. La Serpeverde si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo senza sapere di preciso come ribattere. Meggie aveva ragione, non poteva far altro che dargliene atto. Lasciare carta bianca a John avrebbe significato dargliela vinta un’altra volta, facendogli capire che era lui a comandare in casa sua; un vero Sawyer-Butler non l’avrebbe mai permesso. Tuttavia, un vero Sawyer-Butler era supportato da Sean e quel Sawyer-Butler non era lei, ma John, perciò le cose andavano complicandosi. Summer si grattò la nuca, pensierosa, fissando con sguardo vuoto i fili d’erba muoversi placidi sotto la spinta della brezza primaverile.
“Hai ragione, ma Sean non perderebbe l’occasione per sfruttarla a suo vantaggio e usarla per spedirmi in Belgio. Sono disposta a lasciare fare a John quel che vuole pur di non perdere te e la tua amicizia”.
Summer alzò lo sguardo sulla Corvetta con risolutezza. Voleva che sapesse che in nome della sua amicizia avrebbe sacrificato tutto ciò che di più prezioso aveva, cioè sé stessa.
“Vuoi far bere il Veritaserum a John?” domandò poi sgranando gli occhi. Aveva la bocca spalancata, con l’aria di chi si stava domandando come avesse fatto a non pensarci prima. Tuttavia il Vertaserum lo preparava Sean e lo nascondeva nel suo ufficio, in un luogo inaccessibile e sotto chiave con l’Alohomora, perciò off-limits per le due studentesse.
“Sean lo tiene nel suo ufficio. Ma è protetto dall’Alohomora, non possiamo farci molto” spiegò, gonfiando le guance in segno di disfatta. Avrebbe voluto sbuffare, tuttavia non faceva altro che trattenere l’aria in bocca e rigirarsela pensierosamente da una guancia all’altra, producendo smorfie sicuramente al limite della goffaggine.
“Tu però sei intelligente e brava con le parole. Potresti aiutarmi a raggirarlo e a indurlo a confessare senza che se ne accorga. Tipo come quando i professori mi chiedono se ho studiato, poi io invento una scusa e loro se ne escono con una risposta assurda che mi fa dire «e lei come fa a saperlo?» e alla fine loro mi dicono «semplice, perché me l’hai appena confessato tu»”.
Sapeva di chiedere troppo a Meggie. John era un osso duro, un ragazzo tenace e un abile oratore; Meggie invece aveva contro di sé la sua timidezza, la stessa che la ostacolava nel rapportarsi con Sean Sawyer-Butler. Però John era solo un ventunenne un po’ troppo vanitoso ed egocentrico, mentre suo padre aveva un’aria più austera e inquietante quando si arrabbiava.
“Lo zio Byron, mmh?”
Summer si grattò il mento pensierosa, riflettendo su quest’altra opzione. Byron non era tenuto molto in considerazione da suo padre e nemmeno da suo figlio, che lo vedeva come il fratello sfigato che non era stato capace di far soldi a palate sfruttando le ricchezze dei suoi antenati. John lo guardava sprezzante, dall’alto al basso, criticandolo senza troppi veli per la sua scelta di allenare una squadra di Quidditch di provincia, cosa ben poco remunerativa e che era costata grandi sacrifici per tutta la famiglia nel corso del tempo.
“Byron sa già che suo figlio è uno stronzo. Si parlano molto poco. John lo tratta malissimo, gli dice che è uno sfigato perché si è tirato fuori dalla fabbrica di mio nonno, lasciandola per intero a mio papà. Questo a John non va giù e il suo sogno di riscatto è riuscire a strapparla di mano a mio papà, solo che lui non lo capisce e continua a trattarlo come se fosse il suo pupillo pronto a ereditare”.
Quelle parole furono pregne di astio e rancore nei confronti di John. Summer non riusciva a sopportare nulla di ciò che facesse il cugino, troppo concentrato su sé stesso per aver un minimo di rispetto per il resto del mondo. Sapeva solo osannare Sean, ma soltanto perché desiderava fregare anche lui.
“L’estate scorsa avrei voluto parlare con Reynold. Lui avrebbe capito, lui…”
La Sawyer-Butler abbassò lo sguardo, sospirando.
“… lo avrebbe preso a pugni. Solo che John è più allenato e muscoloso, lo avrebbe ammazzato di botte se si fosse fatto prendere la mano dalla collera. È molto collerico, John, intendo”.
Sospirò di nuovo.
“Forse dovrei assecondarlo per distruggerlo standogli accanto. Se raccogliessi i segreti di John e si fidasse di me potrebbe magari darci degli strumenti per fregarlo. No? Tipo, lo potrei baciare davanti a mio papà… bleah, però, che schifo. No, ci saranno cose migliori, no?” ipotizzò Summer, provando ancora una volta a giocarsi una carta non proprio intelligente o utile per far sapere al mondo quanto suo cugino fosse viscido.æ code © non copiare, triste sventurato. -
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Summer Sawyer-ButlerPurosangue13 anniIII annoSerpeverdeSummer annuì, grata per quelle parole di Meggie. Non le accadeva molto spesso di essere elogiata o apprezzata; al contrario, quando era a casa non facevano altro che farla sentire sbagliata e incapace. A scuola la situazione non variava: Summer non spiccava mai per il suo rendimento ed era molto raro che qualche professore si congratulasse con lei.
“Sì, anche se è strano, non ci sono abituata” ammise, grattandosi la nuca pensierosa. Chissà quando mai sarebbe arrivato da parte di suo padre un complimento o un apprezzamento: Sean non faceva che denigrarla e per tutto il tempo che trascorrevano insieme a Villa Sawyer-Butler non perdeva l’occasione di farla sentire una nullità o una perdente, al punto che Summer s’era rassegnata a sentirsi considerare una sfigata da suo padre.
Il sorriso si allargò di fronte alla promessa di Meggie. Averla vista così cogitabonda e preoccupata l’aveva scossa non poco: non era abituata a vedere la Corvetta tergiversare o restare deconcentrata in classe. Quel comportamento bizzarro l’aveva subito messa in allarme, inducendola persino a mettersi in dubbio e a chiedersi se per caso avesse detto accidentalmente qualcosa di sbagliato per ferirla. Invece l’artefice di quell’atteggiamento così inconsueto era stato Sullivan; scoprire di non aver avuto alcun ruolo nel malessere della migliore amica per certi versi le aveva rinfrancato lo spirito.
Parlare di John stava diventando sempre più difficile e impegnativo. Summer si sentiva protetta, capita e accolta da Meggie. Le sue reazioni erano un toccasana per un’anima ferita come la sua, che aveva bisogno di supporto e comprensione. Da quando erano accaduti quei fatti a villa Sawyer-Butler, la sua serenità ne era uscita minata: non era in alcun modo riuscita a soprassedere e, per quanto ci si fosse sforzata, non era nemmeno stata in grado di allontanare quel ricordo nefasto che, in un modo o nell’altro, tornava spesso a tormentarla, rendendole impossibile relegarlo in un angolo remoto della sua mente.
L’unico momento in cui riuscì a sorridere, fu quello in cui Margareth si disse disposta a pranzare con suo padre pur di proteggerla. Per quanto potesse sembrare un’affermazione strana e fuori dagli schemi, per Summer significava tantissimo.
“Non ti chiederei tanto” la rassicurò con il sorriso che lentamente spuntò sulle labbra, segno che, per quanto egoista lei fosse per natura, non avrebbe mai pensato di chiedere tanto alla sua amica. Anche perché sentirla così disperata, con quell’inflessione d’urgenza nel tono di voce, aiutò a rinfrancarle lo spirito. Meggie sembrava davvero risoluta a non perdere la sua amicizia e questo per Summer valeva più di mille altre parole. Il modo in cui l’amica voleva difenderla con le unghie e coi denti era qualcosa di commovente, tanto che la ragazzina deglutì per evitare di sembrare troppo sentimentale.
“Il problema è che io in Belgio non voglio andarci. Non parlano inglese, come farei a spiegare al parrucchiere come tagliarmi i capelli?” puntualizzò, arrivando a sdrammatizzare nell’ultima parte della sua affermazione; era il suo modo per farsi scudo dell’insicurezza che l’attanagliava e che emergeva ogni volta che si ritrovava a parlare del Belgio e del collegio per maghi sovversivi che fin troppo spesso Sean soleva menzionare.
L’idea di Megareth di preparare il Veritaserum scemò rapida così com’era nata: nessuna delle opzioni sembrava fattibile, né sgraffignarlo, né prepararlo, anche perché richiedeva rudimenti complessi da parte di qualsiasi pozionista si fosse cimentato nella sua produzione. Nemmeno chiedere alla Grael poteva essere un’opzione: si sarebbe insospettita e non avrebbe perso tempo a indagare per capire cosa stesse accadendo.
“Oh, no… no, no, no, la Grael no. Indagherebbe subito, è fuori discussione. A quella non sfugge niente e farebbe talmente tante domande che alla fine crolleremmo tutte e due” disse allarmata Summer, mettendo subito da parte quest’opzione. L’unica alternativa poteva essere usare le parole contro John, ma anche lì occorreva un’abilità fuori dal normale. Nemmeno Reynold era un punto fermo in quella questione.
“Già, non volevo si mettesse troppo nei guai” sospirò, ben conoscendo l’indole bellicosa del cugino; le voleva troppo bene per permettere al fratello di passarla liscia, ma John era grosso almeno il doppio del fratello minore e in un duello lo avrebbe schiacciato, fosse esso magico o fisico. Poi, però, Meggie si illuminò. Summer sgranò gli occhi, annuendo.
“Sì, vero, come ho fatto a non pensarci prima!” esclamò entusiasta, prima però di lasciarsi sfuggire un gemito. “Il vero problema però è dove lo tengono” aggiunse sconsolata. Non sapeva in quale punto della casa, sempre che lì si trovasse, John tenesse il diario delle sue conquiste. Le sembrava troppo semplice rovistare nella sua camera e imbattersi nel quadernetto, pertanto il suo entusiasmo ne uscì ammaccato. Summer si passò una mano tra i capelli, pensierosa.
“Confronto diretto con John o Reynold?” domandò Summer, d’improvviso allarmata. L’idea di confrontarsi con il rampollo di Sean la terrorizzava parecchio. Non aveva voglia di intavolare alcun tipo di discussione con lui, né di rimembrare quegli orribili accadimenti occorsi l’estate precedente nella sua stanza. Parlare con John avrebbe riaperto una ferita non ancora rimarginata, cosa che Summer avrebbe evitato più che volentieri. Tuttavia, dalla piega che prese il discorso, la Serpeverde intuì che Meggie avesse davvero l’intenzione di mettere sotto torchio il maggiore dei cugini Sawyer-Butler.
“Ah, capisco… però, cioè, quando gli dovremmo parlare?” domandò cauta, dosando le parole e centellinandole con scrupolo.
“Se dovesse parlare di quel giorno io non so se sarei capace di parlare… cioè, ho ancora la sensazione di sentire le sue mani attorno ai polsi, il suo respiro caldo e putrido sul collo, i suoi occhi viscidi spogliarmi di peso… no, non posso farcela” concluse Summer, determinata a sviare ogni forma di confronto con il cugino. Non aveva voglia di lasciarsi trascinare in quella conversazione; John, per come lo conosceva lei, era molto furbo, fin troppo, e non avrebbe perso l’occasione di far passare sia lei sia Meggie come due stupide studentesse in cerca di un colpevole. L’aveva sentito più volte rigirare la frittata a suo favore, ribaltare le questioni in cui era nel torto uscendone con piena ragione e ottenere il consenso di Sean senza battere ciglio. Summer era arrivata a una conclusione, dopo tanti anni, conclusione che aveva trovato conferma quel lontano martedì pomeriggio tra le mura della sua stanza.
“John Sawyer-Butler è molto furbo, ma non è capace di provare alcun sentimento. Ci annienterebbe e non so quanto valga la pena rischiare per uno stronzo come lui” disse senza mezzi termini, una punta di rassegnazione ad attraversare il suo tono di voce.æ code © non copiare, triste sventurato. -
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Summer Sawyer-ButlerPurosangue13 anniIII annoSerpeverdeMeggie aveva imparato a riconoscere quando Summer sdrammatizzava per cambiare argomento; la Serpeverde lo faceva spesso quando si sentiva in trappola o quando non aveva le parole per sostenere una conversazione e portarla a termine. In quel momento avvertiva ambedue le cose: da un lato continuava a sentirsi schiacciata dal senso di colpa, da quell’opprimente pensiero di John, che le compariva come per magia trivellandole il cervello e facendola marcire da dentro, dall’altro non sapeva bene come proseguire. Non era brava con le parole, doveva farsene una ragione. Si limitò perciò a sorridere con gratitudine a Meggie, annuendo di fronte alle sue parole.
L’idillio durò molto poco, perché la conversazione tornò su argomenti ostici, come il presunto coinvolgimento della professoressa Grael in quella vicenda. Per quanto Summer stimasse la Direttrice di Serpeverde, era pur sempre convinta che, nel caso in cui le avesse colte con le mani nel calderone, non avrebbe perso tempo ad appurare cosa bollisse in pentola. Medea non era una sprovveduta e avrebbe iniziato a porre una serie di domande a entrambe. Summer reggeva molto bene la pressione, ma non era sicura di essere in grado di reggere un eventuale colpo basso da parte della docente: a furia di essere messa sotto processo da suo padre, vedeva complotti da tutte le parti. Cominciò così a macchinare, chiedendosi se la Grael potesse ribassarsi a usare la Legilimanzia o il Veritaserum su di lei o su Meggie per indagare e scoprire cosa le stessero nascondendo. Per di più Meggie non aveva la sua determinazione e la soggezione che le incuteva la professoressa di pozioni avrebbe potuto farla cantare senza troppi problemi. Lasciarla fuori le parve perciò la soluzione più sensata. A tale conclusione giunse alla fine anche la sua migliore amica, che si mostrò d’accordo con un breve mormorio d’assenso.
Per la Corvetta cercare un confronto con John sembrava la soluzione migliore. Summer non era dello stesso avviso, invece: s’era sforzata a più riprese di cancellare quel terribile episodio dalla sua mente, fino ad arrivare persino a maledirsi per non aver trovato nessuno a cui poter chiedere d’essere obliviata. L’idea di trovarsi faccia a faccia con suo cugino, con il carnefice, non la convinceva: non era sicura di voler scoprire come avrebbe reagito John di fronte a tali accuse. Summer deglutì nervosamente; la voce di Meggie pareva una eco lontana, quasi impercettibile.
E così vuoi parlarmi, Summer? Ci sto. Vieni, ti sto aspettando. Io e zio Sean siamo qui nell’ufficio di Villa Sawyer-Butler ad aspettare te e la tua amichetta del cuore. Di cosa volevate parlarmi, di preciso? Di come ti diverti a provocare gli uomini a soli tredici anni? Di quanto la tua sfacciataggine m’abbia costretto a darti una lezione? Oppure vuoi venire qui e confessare a tuo papà che non sei la piccola e innocente principessa che lui è convinto tu sia? Sai, Summer, Sean sospetta che tu possa aver combinato qualcosa con qualcuno, ma io lo so, il che è diverso. So dei baci che hai rubato ai ragazzi e non credo che lo zio sarebbe tanto contento di saperlo. Non si sorprenderebbe se gli dicessi che tu mi sei saltata al collo non appena ne hai avuto l’occasione. Non devi vergognarti, devi solo capire che è colpa tua.
Sorrideva John mentre le parlava. La sua voce rumoreggiava nel cervello di Summer che, pallida in viso, si portò le mani alle tempie, affondando le dita tra i capelli setosi e fissando il vuoto per un istante. Il vento muoveva i fili d’erba verde, mai suoi occhi erano incapaci di percepire qualsiasi movimento. Tutto ciò che le accadeva intorno era come una lontana reminiscenza di vita. Non c’era più il vociare dei compagni poco distanti che giocavano a Gobbiglie, non c’era più il sibilo del vento che le accarezzava il viso e le parole di Meggie suonavano vuote e spente se confrontate con quello che John le stava dicendo nella testa. Era come se il cugino fosse lì in quel momento, a tormentarla. C’erano istanti in cui i pensieri e i tormenti si facevano così vividi da farle sospettare che John avesse maturato la capacità di profanare la sua mente e di insinuarsi nel suo intimo più remoto. Boccheggiò per un istante e un soffio d’aria fresca inondò i suoi polmoni. Summer sbatté gli occhi due, forse tre volte, prima di tornare a concentrarsi su Meggie, spazzando via il volto ghignando del cugino. Quell’immagine la nauseava da troppo tempo ormai.
“Sì, certo” rispose meccanicamente senza nemmeno riflettere. In verità non aveva percepito granché della seconda affermazione dell’amica. Aveva avvertito solo il suo animo bellicoso, il modo agguerrito con cui si poneva nei confronti di quel cugino che aveva coperto le parole di Meggie con le sue insinuazioni mentali.
“No, infatti, non dobbiamo mandare tutto all’aria” ripeté per cercare di autoconvincersi. Nonostante tutto, una piccola parte di lei le continuava a ripetere di lasciare stare e di abbandonare qualsiasi proposito di vendetta, poiché a John tutto era concesso; lei non era che una pedina nelle mani di Sean e John aveva tutto il diritto di fare ciò che gli garbava, quando gli andava. Lei no, invece. Lei doveva limitarsi a non infangare il buon nome di famiglia e a mettersi in pari con quegli orribili voti che Sean le aveva imposto di non ottenere più, pena un biglietto di sola andata per il Belgio.
La serietà dell’espressione di Meggie contribuì a dare a Summer la sferzata di convinzione di cui aveva bisogno. Se fino a quell’istante s’era mostrata passiva e pensierosa, quando incrociò gli occhi della Corvetta e la determinazione da cui era mosso il suo sguardo, la Sawyer-Butler ebbe come un fremito. Si sentì scuotere da testa a piedi, come se d’un tratto tutto avesse un senso. Non era sola, c’era Meggie con lei. Il fatto che nella sua vita le persone a cui più teneva rispondessero al nome di Reynold era un balsamo per la sua autostima. Meggie, per di più, era una Reynolds. In quella S finale c’era tutto: la pluralità dell’affetto che provava per suo cugino e per la Corvetta stessa, come se in lei ci fosse anche una parte di quell’amore fraterno che fino a prima di conoscerla meglio aveva riversato nei confronti del solo cugino.
“Se mi garantisci che poi potrò alzargli il medio e mandarlo affanghoul allora ci sto” convenne infine, ritrovando quell’indole combattiva e determinata che la contraddistingueva da sempre. Era curioso come i ruoli si fossero invertiti e come per una volta fosse Meggie quella più forte tra le due. Fu in quel momento che Summer si rese conto che la Corvetta non aveva bisogno della sua protezione, perché era capace di badare a sé stessa da sola in modo egregio. Aveva bisogno solo della sua amicizia, ma questa non gliel’avrebbe mai negata per nessuna ragione al mondo.
“Certo che no! L’azienda è mia, sono io la figlia di Sean! L’azienda voglio portarmela a casa io, a costo della vita!” dichiarò con una punta di sano cinismo, battendosi il pugno sul petto e stringendo le labbra in una smorfia di disgusto nei confronti del cugino.
Summer si passò una mano nei capelli, questa volta senza alcun nervosismo, ma solo con la vanità con cui al suo solito era abituata a pavoneggiarsi.
“Ci penserò, certo” le promise, mettendosi una mano sul cuore e accennando un sorriso sincero. A quel punto, annuì di fronte alle parole della Corvetta. Quella confessione s’era rivelata davvero ostica e le aveva risvegliato anche un certo appetito.
“Mi è venuta una certa fame. Vieni in Sala Grande a mangiare qualcosa?” le propose. Era sicura che Meggie, viste le preoccupazioni che l’avevano costretta a tenersi lontana da luoghi potenzialmente frequentati da Edward, avesse a sua volta fame.
“Tranquilla, se c’è Sullivan ti proteggo io. Ti faccio da bodyguard, tipo che se Sullivan ti si avvicina lo schianto e gli dico: ehi, bello di notte, sono fidanzata, allontanati prima che il mio fidanzato si ingelosisca!”
Cercò un po’ di leggerezza, con l’obiettivo di strappare un sorriso alla migliore amica. In fondo si erano ritrovate lì per parlare di Edward e della situazione che si era venuta a creare tra lui e Margareth il sabato sera precedente, solo che poi il tutto era degenerato in una serie di accuse ai danni di suo cugino John, con conseguente arrabbiatura da parte di Meggie. Le sembrava doveroso far sì che la sua amica non evitasse più i luoghi comuni: in fondo era un Prefetto e prima o poi in qualche ronda avrebbe potuto imbattersi in Edward da sola, mentre lei era nel suo baldacchino a sonnecchiare o a recuperare qualche lezione arretrata imposta da Sean. Secondo Summer, se l’avessero incontrato assieme, avrebbero potuto scongiurare eventuali imbarazzi. Ci avrebbe pensato lei, nel caso, a fare pelo e contropelo a Sullivan.
“Andiamo allora?” la incalzò con un occhiolino. “Se poi te lo trovi davanti e ti viene da scappare, immaginatelo in una situazione imbarazzante. Tipo, in mutande durante una lezione della Grael o a testa in giù dalla scopa a colpire Pluffe con la fronte. Vedrai che ti verrà da ridere e non ti ricorderai nemmeno più perché lo stai evitando”.
Era forse un consiglio infantile, il suo, eppure in quel momento non aveva niente di meglio nel suo repertorio da fornire a Meggie.æ code © non copiare, triste sventurato. -
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Summer Sawyer-ButlerPurosangue13 anniIII annoSerpeverdeLa prospettiva di alzare il medio a John e di togliersi uno dei tanti sassolini nelle scarpe che contribuivano a rendere il suo sentiero faticoso e irto di ostacoli l’allettava parecchio. Da mesi Summer trascorreva i suoi pomeriggi domandandosi se mai avrebbe trovato il coraggio di fare un passo in avanti per riscattare la sua immagine e per far capire a John che non era la poco di buono che lui amava dipingere. Quel riscatto avrebbe dovuto, almeno nei suoi pensieri, configurarsi come una sorta di biglietto di sola andata per la gloria eterna, ma anche e soprattutto per il Belgio. Ogni volta che si profilava all’orizzonte la possibilità di mandare a quel paese John, i suoi sensi di colpa e la tenacia con cui suo padre non la spalleggiava mai nemmeno per errore non facevano altro che farle fare un passo all’indietro, tornando nell’oblio. Si comportava in quel frangente esattamente come aveva fatto sua mamma: silenziosa, remissiva e incapace di difendersi o di prendere una posizione a suo vantaggio. Dopo la sua morte, Summer aveva riflettuto a lungo sul comportamento che la donna aveva assunto nei confronti del marito e ne aveva tratto alcune conclusioni; in particolare s’era ripromessa di non compiere mai gli stessi errori compiuti da Kathleen, ma quand’era stato il momento di agire l’impresa s’era rivelata più ardua del previsto. C’erano state occasioni in cui il fiato le era morto in gola, la lingua s’era irrimediabilmente impastata e il cervello l’aveva privata di quelle poche e rare facoltà intellettive di cui era dotata. Insomma, era consapevole d’essersi comportata come una vigliacca incapace, così come tutti avevano da cinque anni a quella parte etichettato sua madre, scatenando l’ira funesta della figlia.
“Credo che sarà uno dei medi più soddisfacenti della mia vita” si beò, sforzandosi di trarre forza da quel pensiero. L’espressione che John avrebbe fatto valeva più di mille galeoni: Summer se la pregustava, sognando di vederlo diventare di tutti i colori mentre il suo medio si alzava, con un’unghia scintillante e glitterata a illuminare quel momento.
La conversazione proseguì placida, con impennate di pathos e momenti in cui Margareth mostrava un lato combattivo che Summer non aveva idea potesse albergare in lei; c’erano attimi in cui si era ritrovata a chiedersi dove fosse stata quell’indole così bellicosa negli anni addietro. Tuttavia, quando la chiacchierata tornò a imperniarsi su Edward Sullivan, Summer non poté che ridacchiare sotto i baffi, con aria furba.
“Tranquilla, io lo schianterei fisicamente, non moralmente” ci tenne a precisare con una punta di orgoglio.
Meggie accettò la proposta, nonostante la possibilità di incontrare Eddy; così le due decisero di incamminarsi alla volta della Sala Grande. Summer aveva ritrovato parte della sua indole consueta e si faceva scudo di sé stessa spinta dall’obiettivo di difendere Meggie da eventuali incursioni da parte di Sullivan. Aveva deciso di dimenticarsi di John e d quella conversazione e di tornare a relegarla in un angolo nascosto e oscuro della sua mente per far finta di non aver mai vissuto quei momenti. Aveva bisogno di spensieratezza ed era sicura che al tavolo della Sala Grande, con la sua migliore amica e una distesa infinita di cibo, l’avrebbe trovata.
“Oh, beh, se per quello pure io. Non credo abbia questo gran fisico, Sullivan” precisò Summer, ancora una volta rivendicando il fatto che una persona interessata a Meggie, per quanto quest’ultima poco ben disposta nei suoi confronti, non avrebbe mai fatto i conti con un suo eventuale interesse.
“Ci sto. Io, invece, continuo a ignorarlo, come faccio sempre. Credo sia un buon compromesso” concluse Summer, con leggerezza. Era riuscita a cacciare indietro quei terribili ricordi legati a John e a quel terribile martedì pomeriggio estivo. Tutto sommato, doveva un favore a Sullivan. Parlare di lui l’aveva aiutata a cancellare, ancora una volta, i momenti nefasti e a concentrarsi su altro.æ code © non copiare, triste sventurato.