Hogwarts: Il Paiolo Magico - {Harry Potter GDR}

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Summer & Margareth

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    Io e la pazienza, ora, ci stiamo inviando qualche cartolina.

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    Summer Sawyer-Butler

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    Purosangue


    13 anni

    III anno

    Serpeverde
    M
    eggie sembrò comprendere le parole di Summer; nessun fraintendimento avrebbe minato quel momento così speciale, in cui la Serpeverde, per la prima volta in vita sua, si stava sentendo finalmente utile. Era una sensazione strana, a tratti incomprensibile, come se il suo stomaco fosse in subbuglio. Summer era abituata a farsi salvare da Meggie; la Corvetta era per lei una sorta di faro nella nebbia, specialmente nei momenti in cui lo sconforto per l’assenza di Kathleen nella sua vita prorompeva con prepotenza nella sua vita. A parti invertite, si sentiva finalmente di molta utilità, come se le fosse stato concesso di chiudere almeno una piccola parte di quell’enorme debito che sentiva di avere nei confronti della migliore amica.
    “Nah, le delusioni d’amore finiscono alla svelta. Si piange un pochino, al massimo, ma poi ci si ributta nella mischia. Il mare è pieno di pesci, non ha senso struggersi l’anima perché un’esca è andata perduta”.
    Summer sorrise nel ripetere le parole che qualche tempo prima Megan le aveva riservato parlando di Cameron. Quando l’estate precedente aveva per un istante avuto il sospetto che quel bacio al ballo di fine anno avesse potuto significare qualcosa, la Sawyer-Butler era accorsa dalle cugine, più disincantate di lei nei confronti della vita, a chiedere un confronto. Non aveva posto quel dubbio a Meggie semplicemente perché aveva avuto il timore di poterle addossare un cruccio più grande del previsto. In quel frangente, Megan aveva utilizzato la metafora della pesca per parlare dei ragazzi. Summer in un primo momento aveva riso a crepapelle, rischiando persino di farsi la pipì addosso per l’ilarità, ma poi, nei giorni successivi, aveva riflettuto sulle parole della cugina e si era resa conto che era davvero così. Non valeva la pena buttarsi via per una persona che non provava alcun genere di sentimento. Probabilmente, se le avesse rivelato cosa stava combinando con Dante, non avrebbe esitato un solo istante a recuperare quella sua vecchia perla di saggezza.
    Il ringraziamento di Margareth la colse alla sprovvista. Summer la guardò con aria interrogativa, domandandosi cosa avesse spinto la migliore amica a ringraziarla. Non era questo che si faceva tra amiche, supportarsi e spalleggiarsi nel momento del bisogno? Ascoltarsi quando lo sconforto prendeva il sopravvento? Lasciare che gli sfoghi dell’una diventassero anche un problema dell’altra, per far sì che insieme non risultassero più così apparentemente enormi e insormontabili.
    “Perché mi ringrazi? Siamo amiche, è mio dovere sostenerti nei momenti di difficoltà. Anche se in questo caso stiamo parlando del cuoricino spezzato di quello sfigato di Sullivan” rispose Summer, cercando ancora una volta di sdrammatizzare con la sua proverbiale ironia, spesso anche fuori luogo.
    “Lo sai che quando hai bisogno io sono qui. Non essere più strana, non con me almeno. A volte può sembrare che non mi interessi di niente e di nessuno, ma, credimi, per te io ci sono e ci sarò sempre” le disse, questa volta con cipiglio serio, intenzionata a dimostrarle quanto quelle parole fossero vere.

    Quando la conversazione si spostò su un terreno per Summer più spinoso, la Sawyer-Butler perse quella patina di sicurezza e di autorevolezza di cui s’era fregiata fino a quel momento. L’indole di esperta in materia di uomini decadde nel dipingere suo cugino John come l’uomo ideale, così come era solito fare suo padre. Non c’era stata occasione in cui suo padre non avesse esitato a farle notare quanto John fosse l’incarnazione del ragazzo perfetto: di nobili origini, di sani principi e straripante di virtù. Tuttavia, quel giorno nella sua camera da letto, Summer non era riuscita a cogliere nemmeno un briciolo di tutte quelle qualità così decantate da Sean. John le era parso un viscido farabutto, una persona pronta a sfruttare ogni occasione per accaparrarsi ciò a cui ambiva; una sorta di arrampicatore sociale pronto a scavalcare ogni piccolo barlume di moralità e buonsenso pur di perseguire i propri obiettivi.
    “John è una merda. Credo sia l’unica roba a cui sia possibile paragonarlo” convenne con Meggie, ritenendo che la figura del lupo associata a qualche membro della sua famiglia fosse un vero paradosso. I Sawyer-Butler erano leader nati, ma capaci di primeggiare a costo di schiacciarsi l’un l’altro, vanificando gli sforzi altrui. Nessuno si spalleggiava mai con l’altro, nessuno prendeva le difese di un membro della famiglia, nonostante il motto della stessa recitasse: «la famiglia sopra ogni altra cosa». L’unica incarnazione positiva dei Sawyer-Butler era rappresentata da Reynold, il cugino prediletto di Summer, al quale la giovane Sawyer-Butler s’era appigliata dopo l’oscurità che la morte di sua madre aveva portato nella sua vita. Era stato l’unico capace di ascoltarla senza giudicare o a non fornirle consigli non richiesti. Forse lui avrebbe potuto essere l’unico lupo fattibile in quel branco di egoisti e arrivisti; quello che Summer però ancora non sapeva era che il vero lupo lì dentro fosse suo padre, Animagus non registrato la cui identità rimaneva un sordido segreto per tutti, Elizabeth compresa.
    “Io… sì, quest’estate starò più attenta. Non lascerò un solo istante Rey. Sento di essere sicura solo al suo fianco” ammise, abbassando lo sguardo. Non che Megan e Casey avessero mai avuto atteggiamenti ambigui nei suoi confronti, ma Summer spesso aveva percepito invidia e gelosia nei suoi confronti. Le gemelle invidiavano la sua indipendenza; l’avevano sempre chiamata «la fortunata», limitandosi a giudicare la patina di irreprensibilità che lo zio Sean aveva costruito intorno alla loro famiglia. Summer non si era mai sentita responsabile della lite tra i due zii; Sean e Byron avevano preso due strade diverse molto prima che i loro figli potessero maturare una propria consapevolezza e impedire la frattura del nucleo familiare. Se prima con Kathleen le redini di famiglia riuscivano a essere tese al punto da evitare di mandare fuori strada chiunque dei Sawyer-Butler si incontrasse, dopo il suo suicidio la distruzione era stata definitiva. I due fratelli si erano allontanati e i cugini avevano preso a vedersi e frequentarsi più di rado rispetto ai periodi precedenti. Megan e Casey avevano sempre invidiato la ricchezza dello zio Sean, la casa maestosa, la vita da ereditiera di Summer, ma non avevano mai vissuto sulla sua pelle i drammi che ogni giorno quella vita le portava: a fronte di un’immane ricchezza capace di viziarla, c’era una totale assenza di amore e comprensione da parte del padre, l’incapacità di farsi ascoltare da sua madre, il lutto che l’aveva colpita e la banalità con cui tutti avevano ridotto il suo dramma interiore a misera compassione. Megan e Casey avevano un padre che le amava all’inverosimile, senza fare disparità, una madre che, seppur vanitosa e molto ambiziosa, non aveva mai preso in considerazione di ferire i suoi figli per fare del male al marito. E la gente non le guardava con quell’aria di misera compassione, quasi a volerla far sentire piccola e sbagliata.
    Summer sorrise di fronte all’affermazione di Meggie. Sapeva quanto fosse importante averla sentita pronunciare simili parole: alla Corvetta non piaceva granché la presenza di suo padre. Sean la metteva in soggezione e, se poteva, faceva volentieri a meno di incrociarlo o di intavolare una conversazione con lui. Tuttavia, sarebbe stata disposta a sacrificare ogni sua rimostranza nei confronti di Sean pur di starle accanto. Questo bastò a scaldarle il cuore e ad allargare ulteriormente il suo sorriso.
    “Sei consapevole che passeresti un’estate intera cenando al tavolo con Sean Sawyer-Butler, vero?” le disse scherzosa, ritrovando un barlume di leggerezza a discapito di quell’oppressione che le aveva attanagliato il petto fino a quel momento.
    Meggie non sembrò condividere le idee di Summer in merito all’operato di John. Quando la Serpeverde ammise di volerlo lasciare fare pur di liberarsi di quel fardello, la Corvetta si dimostrò più risoluta che mai. Il suo corpo era attraversato da una rabbia che Summer non le aveva mai visto manifestare prima d’allora. Per di più, non aveva soppesato l’altra parte della medaglia, quella in cui una concessione avrebbe liberalizzato l’abuso su di lei. La Serpeverde si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo senza sapere di preciso come ribattere. Meggie aveva ragione, non poteva far altro che dargliene atto. Lasciare carta bianca a John avrebbe significato dargliela vinta un’altra volta, facendogli capire che era lui a comandare in casa sua; un vero Sawyer-Butler non l’avrebbe mai permesso. Tuttavia, un vero Sawyer-Butler era supportato da Sean e quel Sawyer-Butler non era lei, ma John, perciò le cose andavano complicandosi. Summer si grattò la nuca, pensierosa, fissando con sguardo vuoto i fili d’erba muoversi placidi sotto la spinta della brezza primaverile.
    “Hai ragione, ma Sean non perderebbe l’occasione per sfruttarla a suo vantaggio e usarla per spedirmi in Belgio. Sono disposta a lasciare fare a John quel che vuole pur di non perdere te e la tua amicizia”.
    Summer alzò lo sguardo sulla Corvetta con risolutezza. Voleva che sapesse che in nome della sua amicizia avrebbe sacrificato tutto ciò che di più prezioso aveva, cioè sé stessa.
    “Vuoi far bere il Veritaserum a John?” domandò poi sgranando gli occhi. Aveva la bocca spalancata, con l’aria di chi si stava domandando come avesse fatto a non pensarci prima. Tuttavia il Vertaserum lo preparava Sean e lo nascondeva nel suo ufficio, in un luogo inaccessibile e sotto chiave con l’Alohomora, perciò off-limits per le due studentesse.
    “Sean lo tiene nel suo ufficio. Ma è protetto dall’Alohomora, non possiamo farci molto” spiegò, gonfiando le guance in segno di disfatta. Avrebbe voluto sbuffare, tuttavia non faceva altro che trattenere l’aria in bocca e rigirarsela pensierosamente da una guancia all’altra, producendo smorfie sicuramente al limite della goffaggine.
    “Tu però sei intelligente e brava con le parole. Potresti aiutarmi a raggirarlo e a indurlo a confessare senza che se ne accorga. Tipo come quando i professori mi chiedono se ho studiato, poi io invento una scusa e loro se ne escono con una risposta assurda che mi fa dire «e lei come fa a saperlo?» e alla fine loro mi dicono «semplice, perché me l’hai appena confessato tu».
    Sapeva di chiedere troppo a Meggie. John era un osso duro, un ragazzo tenace e un abile oratore; Meggie invece aveva contro di sé la sua timidezza, la stessa che la ostacolava nel rapportarsi con Sean Sawyer-Butler. Però John era solo un ventunenne un po’ troppo vanitoso ed egocentrico, mentre suo padre aveva un’aria più austera e inquietante quando si arrabbiava.
    “Lo zio Byron, mmh?”
    Summer si grattò il mento pensierosa, riflettendo su quest’altra opzione. Byron non era tenuto molto in considerazione da suo padre e nemmeno da suo figlio, che lo vedeva come il fratello sfigato che non era stato capace di far soldi a palate sfruttando le ricchezze dei suoi antenati. John lo guardava sprezzante, dall’alto al basso, criticandolo senza troppi veli per la sua scelta di allenare una squadra di Quidditch di provincia, cosa ben poco remunerativa e che era costata grandi sacrifici per tutta la famiglia nel corso del tempo.
    “Byron sa già che suo figlio è uno stronzo. Si parlano molto poco. John lo tratta malissimo, gli dice che è uno sfigato perché si è tirato fuori dalla fabbrica di mio nonno, lasciandola per intero a mio papà. Questo a John non va giù e il suo sogno di riscatto è riuscire a strapparla di mano a mio papà, solo che lui non lo capisce e continua a trattarlo come se fosse il suo pupillo pronto a ereditare”.
    Quelle parole furono pregne di astio e rancore nei confronti di John. Summer non riusciva a sopportare nulla di ciò che facesse il cugino, troppo concentrato su sé stesso per aver un minimo di rispetto per il resto del mondo. Sapeva solo osannare Sean, ma soltanto perché desiderava fregare anche lui.
    “L’estate scorsa avrei voluto parlare con Reynold. Lui avrebbe capito, lui…”
    La Sawyer-Butler abbassò lo sguardo, sospirando.
    “… lo avrebbe preso a pugni. Solo che John è più allenato e muscoloso, lo avrebbe ammazzato di botte se si fosse fatto prendere la mano dalla collera. È molto collerico, John, intendo”.
    Sospirò di nuovo.
    “Forse dovrei assecondarlo per distruggerlo standogli accanto. Se raccogliessi i segreti di John e si fidasse di me potrebbe magari darci degli strumenti per fregarlo. No? Tipo, lo potrei baciare davanti a mio papà… bleah, però, che schifo. No, ci saranno cose migliori, no?” ipotizzò Summer, provando ancora una volta a giocarsi una carta non proprio intelligente o utile per far sapere al mondo quanto suo cugino fosse viscido.
    æ code © non copiare, triste sventurato
     
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    Ma il Mare è come l'Anima. E non fa silenzio mai. Nemmeno quando tutto tace

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    Corvonero
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    Margareth annuì con aria un po’ incerta alla constatazione di Summer. In realtà non aveva la più pallida idea di cosa significasse avere una delusione amorosa, né quanto ci avrebbe messo Eddy a riprendersi dal suo rifiuto. Quelle parole, però, non fecero altro che accrescere le sue convinzioni a proposto del fatto che l’amicizia fosse un sentimento più profondo e duraturo dell’amore. Quando aveva perso Abby aveva pianto parecchio, altro che un pochino, e non osava neanche immaginare cosa sarebbe successo se fosse stata costretta a separarsi dalla Serpeverde. In mare ci sarebbero stati sicuramente tantissimi altri pesci, ma lei non avrebbe mai sostituito la verde-argento con nessun altro. In amore, tuttavia, doveva sicuramente essere diverso, bastava vedere tutte le coppie che si formavano e poi si lasciavano con una rapidità quasi disarmante. Il sentimento che nutriva per Edward sarebbe stato sempre lo stesso, a prescindere dall’arrivo di un possibile fidanzato, e Meggie si augurò che Summer avesse ragione e che l’amico riuscisse a rialzarsi in fretta.
    Quella chiacchierata le aveva fatto proprio bene e, anche se il problema non era ancora risolto, il suo cuore le sembrava già più leggero, per questo la Corvonero avvertì il bisogno di esternare la sua gratitudine, suscitando però lo stupore dell’amica.
    “Perché voglio che tu sappia che il tuo supporto mi aiuta davvero tanto. Lo so che ci sei e che a volte tra noi le parole non sono nemmeno necessarie, ma ci tenevo a dirti quello che penso. A volte fa bene sentirsi apprezzati, no?” le rispose con un sorriso, preferendo sorvolare sul commento a proposito di Eddy che, questa volta, era sicura avesse perso ogni infelssione derisoria.
    “Vale lo stesso per me” affermò quindi, tornando seria. “No, te lo prometto” aggiunse poi, annuendo per dare maggiore enfasi a quella dichiarazione.
    “Lo so” concluse infine, senza il minimo dubbio sulla veridicità delle sue parole.

    Dopo aver sviscerato la questione riguardante Edward, giunse il momento di addentrarsi in un argomento di gran lunga peggiore. Il cuore di Meggie venne improvvisamente invaso da un turbinio di sentimenti diversi, tra cui spiccavano l’ansia e la preoccupazione per la sua migliore amica, l’odio nei confronti dell’artefice del suo malessere e la voglia di metterlo al suo posto e fargliela pagare, unita al desiderio di trovare il modo di tenere Summer al riparo da altre possibili aggressioni. Era però necessario andare per gradi e non lasciarsi sopraffare dalla rabbia poiché, agendo d’impulso, avrebbero potuto peggiorare le cose.
    Prima di tutto la Corvetta si premurò di lasciar sfogare l’amica e fu felice di vedere che si apriva piano piano, un po’ come un bocciolo in primavera: ben presto la riluttanza iniziale scomparve e la bronzo-blu venne messa a parte dell’intera storia, riuscendo persino a far sì che la compagna cominciasse a soppesare la possibilità di agire, anziché limitarsi a subire in silenzio.
    La ragazzina non se la sentì di obiettare davanti alla constatazione di Summer su John. Dal canto suo non avrebbe usato un termine così diretto e scurrile, ma effettivamente quel verme non meritava appellativi diversi, e vedere l’amica di nuovo agguerrita e combattiva la fece sentire molto meglio. Fortunatamente la verde-argento aveva smesso di incolparsi per l’accaduto e iniziava a tirare fuori la grinta necessaria per smuovere le acque e provare a risolvere la situazione.
    “Brava” approvò con un cenno del capo, iniziando a pensare che le sarebbe piaciuto conoscere Reynold. Summer non era solita affezionarsi troppo facilmente e, stando al modo in cui ogni volta tesseva le lodi del cugino, doveva sicuramente trattarsi di una persona meravigliosa. Meggie si sentì sollevata all’idea di sapere che l’amica non era sola e che poteva contare almeno su di lui. Crescere tra i Sawyer-Butler non doveva affatto essere semplice e trovare un alleato in famiglia era un grande vantaggio. Peccato solo che il signor Sean avesse scelto come prediletto il nipote sbagliato.
    Consapevole che Reynold non potesse piantonare la villa a tempo pieno alla stregua di una guardia del corpo, Margareth avvertì l’impulso di aggiungere anche il proprio contributo, cosa che suscitò il sorriso della sua interlocutrice.
    “Oh, ehm…” esitò un istante, immaginandosi per un attimo di dover cenare ogni singola sera con il signor Sean e magari anche Elizabeth. “Beh, ammetto che non è proprio il mio massimo, ma lo farei se servisse a farti stare più tranquilla” commentò infine, sperando però che non fosse necessario arrivare a tanto: sarebbe stata veramente disposta a tutto pur di aiutarla, ma si augurò che per la maggior parte dell’estate John si tenesse alla larga dalla villa e che Summer fosse libera di muoversi a suo piacimento, senza dover sempre essere accompagnata. Dovevano assolutamente risolvere la situazione ben prima che degenerasse fino a quel punto anche se, per un attimo, la Serpeverde prese in considerazione la possibilità di arrendersi alla volontà del cugino, suscitando la disapprovazione della Corvonero.
    Dopo qualche momento di riflessione, fortunatamente la compagna convenne con lei. Meggie provò un’ondata di sollievo, che però sparì in fretta quando sentì nominare il signor Sawyer-Butler e la minaccia del Belgio, sempre in agguato come un predatore in attesa del momento giusto per fare la sua mossa.
    “No, non dire così” scosse la testa con apprensione. “Non voglio che ti sacrifichi per me, se accadesse non me lo perdonerei mai” aggiunse con urgenza. “Sappi che, se mai tuo padre dovesse decidere di farti cambiare scuola, proverò in tutti i modi a dissuaderlo, anche a costo di supplicare ogni singolo professore affinché lo convinca. E comunque, se proprio dovessi andare in Belgio, la nostra amicizia non cambierebbe mai. La lontananza rende tutto più difficile, è vero, ma sono convinta che non riesca a spegnere un certo tipo di legame, se è sincero e se entrambe le parti si impegnano per tenerlo vivo” le disse con risolutezza, cercando di farle capire che non doveva assolutamente cedere sé stessa al cugino. In altre circostanze si sarebbe sentita lusingata da una simile prova di amicizia, ma al momento riusciva soltanto a scorgere l’atrocità di quella faccenda e per nulla al mondo avrebbe desiderato indurre la sua amica più cara a sacrificarsi per lei.
    Quell’eventualità la spaventò a tal punto che avvertì l’urgenza di trovare una soluzione: se fossero riuscite ad incastrare John, Summer non avrebbe più corso alcun rischio e magari il signor Sean avrebbe rivalutato il nipote in negativo, decidendo addirittura di smettere di vederlo come il suo erede.
    “Sì, se non c’è altro modo” replicò con piglio deciso. Di norma si sarebbe fatta mille scrupoli, ma quello schifoso non meritava alcun ripensamento in fatto di etica.
    Quel piano a dir poco banale aveva però alcuni punti fin troppo deboli, primo fra tutti il fatto che si trattasse di una pozione estremamente complicata sia da preparare, sia da reperire. Naturalmente, inoltre, sottrarne una fiala al signor Sean sarebbe stato tutt’altro che semplice.
    Meggie sospirò con aria rassegnata. “Lo immaginavo” osservò, rifiutandosi però di arrendersi.
    “Forse potrei prendere qualche libro in biblioteca e provare a esercitarmi dopo le lezioni, ma non penso di essere in grado di prepararlo come si deve” ammise, fin troppo consapevole dei propri limiti. Ci mancava soltanto di elaborare un piano con i fiocchi e vederlo fallire perché la sua pozione non aveva effetto.
    “Potrei anche chiedere alla Grael di darmi qualche lezione privata, però si insospettirebbe se, tra tutte, mostrassi interesse proprio per il Veritaserum” ritentò, essendo però costretta a scartare anche quell’opzione. Di tutti i professori, Medea era quella che la metteva maggiormente in soggezione e l’ultima cosa che desiderava era trascorrere del tempo extra con lei o con il suo terrificante zoo, ma sarebbe stata disposta a farlo pur di aiutare Summer. Riusciva però già quasi a vedere il sopracciglio inarcato della docente, fin troppo scaltra per lasciarsi raggirare dalle eventuali scuse accampate da una ragazzina. Lo stesso discorso valeva per il signor Sean: Margareth avrebbe potuto provare a chiedergli di assisterlo nella preparazione della pozione, ostentando un interesse puramente accademico, tuttavia dubitava che il mago accettasse di averla attorno, senza contare che sicuramente avrebbe subito pensato a qualche macchinazione della figlia.
    Summer, però, avanzò un’ipotesi molto più valida. Meggie la ascoltò con attenzione, soppesando la possibilità di mettere John alle strette e spingerlo a tradirsi da solo. Ma ne sarebbe davvero stata in grado? Era vero, con le parole ci sapeva fare, tuttavia non aveva neanche mai visto il suo avversario e riusciva soltanto a immaginarselo come un signor Sean più giovane, ma altrettanto scortese e privo di tatto.
    “Io…” esitò, pensierosa. “Immagino che un tentativo si possa fare, male che vada non otterremo un bel niente” decretò alla fine. “Però prima dobbiamo prepararci per bene, studiare attentamente le informazioni che abbiamo e capire come far prendere alla conversazione la piega che vogliamo noi” aggiunse, fermamente decisa a darsi da fare, anche se con le dovute cautele. Per quel pomeriggio avevano avuto abbastanza emozioni ed erano entrambe piuttosto stanche dopo un’intera giornata di lezioni, ma la ragazzina si ripromise di riflettere attentamente con più calma e di buttare giù i possibili approcci da usare per mettere quel verme in difficoltà.
    Quella sicuramente era una strategia da tenere in considerazione, tuttavia Meggie non volle lasciare nulla di intentato e sondò anche altri terreni, come ad esempio il signor Byron, che a quanto pareva condivideva la loro stessa opinione a proposito del figlio. Purtroppo, però, non aveva particolare ascendente, né sul fratello, né sul primogenito. Probabilmente non sarebbe stato difficile ottenere il suo appoggio, ma sarebbe davvero servito?
    Reynold, invece, era più agguerrito, ma non era stato coinvolto per paura che finisse in uno scontro dal quale difficilmente sarebbe uscito vincitore. E comunque, una rissa tra fratelli non avrebbe risolto il problema. Se anche Reynold fosse stato più forte, John avrebbe trovato il modo di rigirare la cosa a proprio vantaggio, lamentando un’aggressione immotivata e attirando ancora di più il favore del signor Sean.
    “Ho capito, ecco perché non gli hai voluto dire niente” dichiarò Meggie, non potendo biasimare l’amica per quella decisione.
    “No, ti ho già detto come la penso e assecondarlo non è un’opzione. Non pensarci neanche, ok?” le disse, guardandola con aria severa. Summer, però, aveva utilizzato un termine che catturò la sua attenzione. I segreti di John…
    “Scusa…” esordì poco dopo, riemergendo dalle sue riflessioni. “Non mi avevi detto tu che i tuoi cugini hanno un quaderno dove scrivono i nomi delle ragazze che conquistano, o qualcosa del genere? Credi che potrebbe anche parlare di te, da qualche parte?” le domandò. “Magari potresti provare a chiedere a Reynold, potremmo trovarci dentro qualcosa di interessante su cui far leva quando gli tenderemo la trappola” suggerì, continuando a ragionare.
    “Comunque, quaderno o meno, penso che al momento l’opzione migliore sia quella di un confronto diretto. È vero, tu non hai prove di ciò che ti ha fatto, ma lui non lo sa, o almeno non può averne l'assoluta certezza. Se riusciamo a fargli credere che invece queste prove esistono, lui si sentirà con le spalle al muro e finirà per tradirsi da solo” proseguì, avvertendo nel petto un barlume di speranza. Ci sarebbe voluto tanto tempo ma forse, con il giusto impegno, avrebbero trovato il modo di incastrare quel viscido farabutto.
    Ci son parole come bombe che brucian dentro
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    ummer annuì, grata per quelle parole di Meggie. Non le accadeva molto spesso di essere elogiata o apprezzata; al contrario, quando era a casa non facevano altro che farla sentire sbagliata e incapace. A scuola la situazione non variava: Summer non spiccava mai per il suo rendimento ed era molto raro che qualche professore si congratulasse con lei.
    “Sì, anche se è strano, non ci sono abituata” ammise, grattandosi la nuca pensierosa. Chissà quando mai sarebbe arrivato da parte di suo padre un complimento o un apprezzamento: Sean non faceva che denigrarla e per tutto il tempo che trascorrevano insieme a Villa Sawyer-Butler non perdeva l’occasione di farla sentire una nullità o una perdente, al punto che Summer s’era rassegnata a sentirsi considerare una sfigata da suo padre.
    Il sorriso si allargò di fronte alla promessa di Meggie. Averla vista così cogitabonda e preoccupata l’aveva scossa non poco: non era abituata a vedere la Corvetta tergiversare o restare deconcentrata in classe. Quel comportamento bizzarro l’aveva subito messa in allarme, inducendola persino a mettersi in dubbio e a chiedersi se per caso avesse detto accidentalmente qualcosa di sbagliato per ferirla. Invece l’artefice di quell’atteggiamento così inconsueto era stato Sullivan; scoprire di non aver avuto alcun ruolo nel malessere della migliore amica per certi versi le aveva rinfrancato lo spirito.

    Parlare di John stava diventando sempre più difficile e impegnativo. Summer si sentiva protetta, capita e accolta da Meggie. Le sue reazioni erano un toccasana per un’anima ferita come la sua, che aveva bisogno di supporto e comprensione. Da quando erano accaduti quei fatti a villa Sawyer-Butler, la sua serenità ne era uscita minata: non era in alcun modo riuscita a soprassedere e, per quanto ci si fosse sforzata, non era nemmeno stata in grado di allontanare quel ricordo nefasto che, in un modo o nell’altro, tornava spesso a tormentarla, rendendole impossibile relegarlo in un angolo remoto della sua mente.
    L’unico momento in cui riuscì a sorridere, fu quello in cui Margareth si disse disposta a pranzare con suo padre pur di proteggerla. Per quanto potesse sembrare un’affermazione strana e fuori dagli schemi, per Summer significava tantissimo.
    “Non ti chiederei tanto” la rassicurò con il sorriso che lentamente spuntò sulle labbra, segno che, per quanto egoista lei fosse per natura, non avrebbe mai pensato di chiedere tanto alla sua amica. Anche perché sentirla così disperata, con quell’inflessione d’urgenza nel tono di voce, aiutò a rinfrancarle lo spirito. Meggie sembrava davvero risoluta a non perdere la sua amicizia e questo per Summer valeva più di mille altre parole. Il modo in cui l’amica voleva difenderla con le unghie e coi denti era qualcosa di commovente, tanto che la ragazzina deglutì per evitare di sembrare troppo sentimentale.
    “Il problema è che io in Belgio non voglio andarci. Non parlano inglese, come farei a spiegare al parrucchiere come tagliarmi i capelli?” puntualizzò, arrivando a sdrammatizzare nell’ultima parte della sua affermazione; era il suo modo per farsi scudo dell’insicurezza che l’attanagliava e che emergeva ogni volta che si ritrovava a parlare del Belgio e del collegio per maghi sovversivi che fin troppo spesso Sean soleva menzionare.
    L’idea di Megareth di preparare il Veritaserum scemò rapida così com’era nata: nessuna delle opzioni sembrava fattibile, né sgraffignarlo, né prepararlo, anche perché richiedeva rudimenti complessi da parte di qualsiasi pozionista si fosse cimentato nella sua produzione. Nemmeno chiedere alla Grael poteva essere un’opzione: si sarebbe insospettita e non avrebbe perso tempo a indagare per capire cosa stesse accadendo.
    “Oh, no… no, no, no, la Grael no. Indagherebbe subito, è fuori discussione. A quella non sfugge niente e farebbe talmente tante domande che alla fine crolleremmo tutte e due” disse allarmata Summer, mettendo subito da parte quest’opzione. L’unica alternativa poteva essere usare le parole contro John, ma anche lì occorreva un’abilità fuori dal normale. Nemmeno Reynold era un punto fermo in quella questione.
    “Già, non volevo si mettesse troppo nei guai” sospirò, ben conoscendo l’indole bellicosa del cugino; le voleva troppo bene per permettere al fratello di passarla liscia, ma John era grosso almeno il doppio del fratello minore e in un duello lo avrebbe schiacciato, fosse esso magico o fisico. Poi, però, Meggie si illuminò. Summer sgranò gli occhi, annuendo.
    “Sì, vero, come ho fatto a non pensarci prima!” esclamò entusiasta, prima però di lasciarsi sfuggire un gemito. “Il vero problema però è dove lo tengono” aggiunse sconsolata. Non sapeva in quale punto della casa, sempre che lì si trovasse, John tenesse il diario delle sue conquiste. Le sembrava troppo semplice rovistare nella sua camera e imbattersi nel quadernetto, pertanto il suo entusiasmo ne uscì ammaccato. Summer si passò una mano tra i capelli, pensierosa.
    “Confronto diretto con John o Reynold?” domandò Summer, d’improvviso allarmata. L’idea di confrontarsi con il rampollo di Sean la terrorizzava parecchio. Non aveva voglia di intavolare alcun tipo di discussione con lui, né di rimembrare quegli orribili accadimenti occorsi l’estate precedente nella sua stanza. Parlare con John avrebbe riaperto una ferita non ancora rimarginata, cosa che Summer avrebbe evitato più che volentieri. Tuttavia, dalla piega che prese il discorso, la Serpeverde intuì che Meggie avesse davvero l’intenzione di mettere sotto torchio il maggiore dei cugini Sawyer-Butler.
    “Ah, capisco… però, cioè, quando gli dovremmo parlare?” domandò cauta, dosando le parole e centellinandole con scrupolo.
    “Se dovesse parlare di quel giorno io non so se sarei capace di parlare… cioè, ho ancora la sensazione di sentire le sue mani attorno ai polsi, il suo respiro caldo e putrido sul collo, i suoi occhi viscidi spogliarmi di peso… no, non posso farcela” concluse Summer, determinata a sviare ogni forma di confronto con il cugino. Non aveva voglia di lasciarsi trascinare in quella conversazione; John, per come lo conosceva lei, era molto furbo, fin troppo, e non avrebbe perso l’occasione di far passare sia lei sia Meggie come due stupide studentesse in cerca di un colpevole. L’aveva sentito più volte rigirare la frittata a suo favore, ribaltare le questioni in cui era nel torto uscendone con piena ragione e ottenere il consenso di Sean senza battere ciglio. Summer era arrivata a una conclusione, dopo tanti anni, conclusione che aveva trovato conferma quel lontano martedì pomeriggio tra le mura della sua stanza.
    “John Sawyer-Butler è molto furbo, ma non è capace di provare alcun sentimento. Ci annienterebbe e non so quanto valga la pena rischiare per uno stronzo come lui” disse senza mezzi termini, una punta di rassegnazione ad attraversare il suo tono di voce.
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    Margareth non esitò un solo istante a dichiararsi disposta ad accettare la compagnia del signor Sean pur di stare vicino alla sua migliore amica. La sua storia l’aveva scossa parecchio, si trattava di una situazione talmente delicata e complessa che non sapeva nemmeno bene come poterla affrontare. Di una cosa, però, era sicura: non avrebbe lasciato Summer da sola e avrebbe fatto il possibile per trovare una via d’uscita, anche se sicuramente ci sarebbe voluto del tempo.
    La sua reazione, se non altro, servì a strappare un sorriso alla verde-argento, il primo da quando si erano inoltrate in quella sordida vicenda. La Serpeverde parve apprezzare davvero tanto l'offerta di trasferirsi a casa sua in caso di necessità, anche se si premurò di farle sapere che non sarebbe mai arrivata a chiederle un sacrificio del genere. A quel punto, come spesso accadeva, Summer preferì smorzare il tono del discorso con una battuta che la fece sorridere, non tanto per la freddura in sé, quanto più per il fatto che preferisse mostrarsi dura e distogliere l’attenzione dalle sue insicurezze.
    “Sì certo, immaginavo che fosse questo il motivo principale” la assecondò con un sorrisetto malizioso, ben consapevole che dietro quelle parole si celava tutt’altro. In ogni caso, fortunatamente, la scuola in Belgio era ancora soltanto una minaccia non ancora concretizzata, per questo la Corvonero preferì concentrarsi su un problema molto più grave e ostico, ovvero John Sawyer-Butler.
    In certe occasioni l’idea più semplice risultava anche quella più efficace, ma purtroppo non era quello il loro caso: somministrare al cugino il Veritaserum si rivelò una soluzione tutt’altro che praticabile per svariati motivi.
    “Sono d’accordo” mormorò Meggie, fin troppo consapevole che coinvolgendo la professoressa di pozioni si sarebbero messe in un ginepraio da sole.
    Nella sua testa iniziarono quindi a susseguirsi mille altre ipotesi, che però vennero scartate altrettanto rapidamente dalla Corvonero. Neanche coinvolgere Reynold sembrava una strategia efficace, dal momento che il minore dei fratelli non avrebbe avuto alcuna possibilità in uno scontro con il primogenito, anche se quel discorso finì per far venire un’idea alla bronzo-blu, subito apprezzata dalla compagna. Sfortunatamente, quella trovata parve dissolversi in pochi istanti, come un fuoco di paglia: naturalmente Summer non aveva idea di dove fosse custodito questo fatidico quadernetto e difficilmente si sarebbero potute introdurre in casa dei cugini e setacciare la camera di John da cima a fondo. Probabilmente nemmeno Reynold era a conoscenza di questo nascondiglio e comunque non era nemmeno detto che all’interno delle pagine avrebbero trovato qualcosa che facesse al caso loro.
    “Con John, ovviamente” replicò alla sua domanda, anche se probabilmente l’amica conosceva già la risposta e aveva solo cercato una smentita. Nulla avrebbe vietato loro di chiedere un parere anche al minore dei due fratelli, ma esisteva sempre l’eventualità che quest’ultimo decidesse di fare giustizia da solo per via della sua impulsività, cosa che la Serpeverde aveva cercato di evitare.
    “Lo so che non vuoi avere niente a che fare con lui, ma dobbiamo trovare il modo di incastrarlo” aggiunse, agguerrita. Non sarebbe stato facile, ma non poteva permettere che la passasse liscia.
    “Quando?” ripeté la Prefetto, pensierosa. “Quando saremo pronte. Dobbiamo prepararci per bene, non possiamo rischiare di trovarcelo davanti e mandare tutto all’aria solo perché abbiamo fatto le cose di fretta” proseguì, più che altro riflettendo ad alta voce. Era un piano rischioso, anche perché non era assolutamente detto che due ragazzine riuscissero a battere un giovane uomo in astuzia, tuttavia, a meno che nel frattempo non fossero riuscite a trovare un’altra soluzione, il confronto diretto era la loro unica possibilità.
    “Certo che puoi farcela” obiettò Meggie, guardandola con espressione seria. Quelle ultime parole avevano riacceso la sua rabbia, nei suoi occhi verde prato quasi fiammeggiava tutto l’odio che provava per l’artefice dell’episodio appena riassunto dalla compagna. Detestava vederla in quello stato e, ancora una volta, si ripromise di trovare il modo di farla pagare a quel verme.
    “Ricordati che non saresti da sola, verrei anch’io con te” aggiunse per cercare di rassicurarla almeno un po’. “E poi non devi parlargli domani. Ci prepareremo con calma e lo faremo soltanto quando e se ce la sentiremo” dichiarò, imponendosi di mantenere la calma. Tra le due era Summer quella più impulsiva, mentre a lei spettava il ruolo di quella più razionale e riflessiva.
    L’entusiasmo iniziale dell’amica venne ben presto spazzato via da un’amara considerazione. Immaginandosi quel John come un signor Sean più giovane, la Corvonero non fece fatica a credere alle parole della compagna, tuttavia si rifiutava di cedere alla sua prepotenza senza fare nulla.
    “So di chiederti molto, ma vuoi davvero che tuo cugino la passi liscia? Pensi di lasciargli l’azienda di tuo padre senza muovere un dito?” provò a scuoterla, facendo leva sul suo orgoglio. Non aveva certo intenzione di forzarla a fare qualcosa che non si sentiva, tuttavia sarebbe stata una pessima amica se avesse assecondato le sue paure senza spronarla a riflettere e senza aiutarla a cercare una soluzione. “Con questo non voglio obbligarti a parlargli per forza, ma almeno proviamo a valutare questa possibilità. Facciamo finta che in futuro questa conversazione ci sarà davvero e proviamo a studiare un piano d’attacco. Se poi non ci convince facciamo sempre in tempo a lasciar perdere, ma non credo sia giusto arrenderci senza averci nemmeno provato" concluse, decisa.
    "Se adesso sei stanca e vuoi rientrare lo capisco, ma promettimi che almeno ci penserai" affermò infine, guardandola con espressione più mite, consapevole di averla già messa a dura prova per il solo fatto di aver insistito e farsi raccontare tutto.
    Di solito non era da lei cimentarsi in imprese rischiose o in giochi d'astuzia, ma quella conversazione le aveva instillato il desiderio ormai indelebile di aiutare la sua migliore amica a riscattarsi. Era già faticoso sopportare senza fare nulla il modo in cui suo padre la trattava, ma sapere che il cugino aveva cercato di approfittarsi di lei e che, nonostante questo, godesse ancora della stima indiscussa dello zio le risultava intollerabile.
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    eggie aveva imparato a riconoscere quando Summer sdrammatizzava per cambiare argomento; la Serpeverde lo faceva spesso quando si sentiva in trappola o quando non aveva le parole per sostenere una conversazione e portarla a termine. In quel momento avvertiva ambedue le cose: da un lato continuava a sentirsi schiacciata dal senso di colpa, da quell’opprimente pensiero di John, che le compariva come per magia trivellandole il cervello e facendola marcire da dentro, dall’altro non sapeva bene come proseguire. Non era brava con le parole, doveva farsene una ragione. Si limitò perciò a sorridere con gratitudine a Meggie, annuendo di fronte alle sue parole.
    L’idillio durò molto poco, perché la conversazione tornò su argomenti ostici, come il presunto coinvolgimento della professoressa Grael in quella vicenda. Per quanto Summer stimasse la Direttrice di Serpeverde, era pur sempre convinta che, nel caso in cui le avesse colte con le mani nel calderone, non avrebbe perso tempo ad appurare cosa bollisse in pentola. Medea non era una sprovveduta e avrebbe iniziato a porre una serie di domande a entrambe. Summer reggeva molto bene la pressione, ma non era sicura di essere in grado di reggere un eventuale colpo basso da parte della docente: a furia di essere messa sotto processo da suo padre, vedeva complotti da tutte le parti. Cominciò così a macchinare, chiedendosi se la Grael potesse ribassarsi a usare la Legilimanzia o il Veritaserum su di lei o su Meggie per indagare e scoprire cosa le stessero nascondendo. Per di più Meggie non aveva la sua determinazione e la soggezione che le incuteva la professoressa di pozioni avrebbe potuto farla cantare senza troppi problemi. Lasciarla fuori le parve perciò la soluzione più sensata. A tale conclusione giunse alla fine anche la sua migliore amica, che si mostrò d’accordo con un breve mormorio d’assenso.
    Per la Corvetta cercare un confronto con John sembrava la soluzione migliore. Summer non era dello stesso avviso, invece: s’era sforzata a più riprese di cancellare quel terribile episodio dalla sua mente, fino ad arrivare persino a maledirsi per non aver trovato nessuno a cui poter chiedere d’essere obliviata. L’idea di trovarsi faccia a faccia con suo cugino, con il carnefice, non la convinceva: non era sicura di voler scoprire come avrebbe reagito John di fronte a tali accuse. Summer deglutì nervosamente; la voce di Meggie pareva una eco lontana, quasi impercettibile.
    E così vuoi parlarmi, Summer? Ci sto. Vieni, ti sto aspettando. Io e zio Sean siamo qui nell’ufficio di Villa Sawyer-Butler ad aspettare te e la tua amichetta del cuore. Di cosa volevate parlarmi, di preciso? Di come ti diverti a provocare gli uomini a soli tredici anni? Di quanto la tua sfacciataggine m’abbia costretto a darti una lezione? Oppure vuoi venire qui e confessare a tuo papà che non sei la piccola e innocente principessa che lui è convinto tu sia? Sai, Summer, Sean sospetta che tu possa aver combinato qualcosa con qualcuno, ma io lo so, il che è diverso. So dei baci che hai rubato ai ragazzi e non credo che lo zio sarebbe tanto contento di saperlo. Non si sorprenderebbe se gli dicessi che tu mi sei saltata al collo non appena ne hai avuto l’occasione. Non devi vergognarti, devi solo capire che è colpa tua.
    Sorrideva John mentre le parlava. La sua voce rumoreggiava nel cervello di Summer che, pallida in viso, si portò le mani alle tempie, affondando le dita tra i capelli setosi e fissando il vuoto per un istante. Il vento muoveva i fili d’erba verde, mai suoi occhi erano incapaci di percepire qualsiasi movimento. Tutto ciò che le accadeva intorno era come una lontana reminiscenza di vita. Non c’era più il vociare dei compagni poco distanti che giocavano a Gobbiglie, non c’era più il sibilo del vento che le accarezzava il viso e le parole di Meggie suonavano vuote e spente se confrontate con quello che John le stava dicendo nella testa. Era come se il cugino fosse lì in quel momento, a tormentarla. C’erano istanti in cui i pensieri e i tormenti si facevano così vividi da farle sospettare che John avesse maturato la capacità di profanare la sua mente e di insinuarsi nel suo intimo più remoto. Boccheggiò per un istante e un soffio d’aria fresca inondò i suoi polmoni. Summer sbatté gli occhi due, forse tre volte, prima di tornare a concentrarsi su Meggie, spazzando via il volto ghignando del cugino. Quell’immagine la nauseava da troppo tempo ormai.
    “Sì, certo” rispose meccanicamente senza nemmeno riflettere. In verità non aveva percepito granché della seconda affermazione dell’amica. Aveva avvertito solo il suo animo bellicoso, il modo agguerrito con cui si poneva nei confronti di quel cugino che aveva coperto le parole di Meggie con le sue insinuazioni mentali.
    “No, infatti, non dobbiamo mandare tutto all’aria” ripeté per cercare di autoconvincersi. Nonostante tutto, una piccola parte di lei le continuava a ripetere di lasciare stare e di abbandonare qualsiasi proposito di vendetta, poiché a John tutto era concesso; lei non era che una pedina nelle mani di Sean e John aveva tutto il diritto di fare ciò che gli garbava, quando gli andava. Lei no, invece. Lei doveva limitarsi a non infangare il buon nome di famiglia e a mettersi in pari con quegli orribili voti che Sean le aveva imposto di non ottenere più, pena un biglietto di sola andata per il Belgio.
    La serietà dell’espressione di Meggie contribuì a dare a Summer la sferzata di convinzione di cui aveva bisogno. Se fino a quell’istante s’era mostrata passiva e pensierosa, quando incrociò gli occhi della Corvetta e la determinazione da cui era mosso il suo sguardo, la Sawyer-Butler ebbe come un fremito. Si sentì scuotere da testa a piedi, come se d’un tratto tutto avesse un senso. Non era sola, c’era Meggie con lei. Il fatto che nella sua vita le persone a cui più teneva rispondessero al nome di Reynold era un balsamo per la sua autostima. Meggie, per di più, era una Reynolds. In quella S finale c’era tutto: la pluralità dell’affetto che provava per suo cugino e per la Corvetta stessa, come se in lei ci fosse anche una parte di quell’amore fraterno che fino a prima di conoscerla meglio aveva riversato nei confronti del solo cugino.
    “Se mi garantisci che poi potrò alzargli il medio e mandarlo affanghoul allora ci sto” convenne infine, ritrovando quell’indole combattiva e determinata che la contraddistingueva da sempre. Era curioso come i ruoli si fossero invertiti e come per una volta fosse Meggie quella più forte tra le due. Fu in quel momento che Summer si rese conto che la Corvetta non aveva bisogno della sua protezione, perché era capace di badare a sé stessa da sola in modo egregio. Aveva bisogno solo della sua amicizia, ma questa non gliel’avrebbe mai negata per nessuna ragione al mondo.
    “Certo che no! L’azienda è mia, sono io la figlia di Sean! L’azienda voglio portarmela a casa io, a costo della vita!” dichiarò con una punta di sano cinismo, battendosi il pugno sul petto e stringendo le labbra in una smorfia di disgusto nei confronti del cugino.
    Summer si passò una mano nei capelli, questa volta senza alcun nervosismo, ma solo con la vanità con cui al suo solito era abituata a pavoneggiarsi.
    “Ci penserò, certo” le promise, mettendosi una mano sul cuore e accennando un sorriso sincero. A quel punto, annuì di fronte alle parole della Corvetta. Quella confessione s’era rivelata davvero ostica e le aveva risvegliato anche un certo appetito.
    “Mi è venuta una certa fame. Vieni in Sala Grande a mangiare qualcosa?” le propose. Era sicura che Meggie, viste le preoccupazioni che l’avevano costretta a tenersi lontana da luoghi potenzialmente frequentati da Edward, avesse a sua volta fame.
    “Tranquilla, se c’è Sullivan ti proteggo io. Ti faccio da bodyguard, tipo che se Sullivan ti si avvicina lo schianto e gli dico: ehi, bello di notte, sono fidanzata, allontanati prima che il mio fidanzato si ingelosisca!”
    Cercò un po’ di leggerezza, con l’obiettivo di strappare un sorriso alla migliore amica. In fondo si erano ritrovate lì per parlare di Edward e della situazione che si era venuta a creare tra lui e Margareth il sabato sera precedente, solo che poi il tutto era degenerato in una serie di accuse ai danni di suo cugino John, con conseguente arrabbiatura da parte di Meggie. Le sembrava doveroso far sì che la sua amica non evitasse più i luoghi comuni: in fondo era un Prefetto e prima o poi in qualche ronda avrebbe potuto imbattersi in Edward da sola, mentre lei era nel suo baldacchino a sonnecchiare o a recuperare qualche lezione arretrata imposta da Sean. Secondo Summer, se l’avessero incontrato assieme, avrebbero potuto scongiurare eventuali imbarazzi. Ci avrebbe pensato lei, nel caso, a fare pelo e contropelo a Sullivan.
    “Andiamo allora?” la incalzò con un occhiolino. “Se poi te lo trovi davanti e ti viene da scappare, immaginatelo in una situazione imbarazzante. Tipo, in mutande durante una lezione della Grael o a testa in giù dalla scopa a colpire Pluffe con la fronte. Vedrai che ti verrà da ridere e non ti ricorderai nemmeno più perché lo stai evitando”.
    Era forse un consiglio infantile, il suo, eppure in quel momento non aveva niente di meglio nel suo repertorio da fornire a Meggie.
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    Lo sguardo di Summer parve farsi momentaneamente molto distante, come se la sua testa fosse attraversata da chissà quale pensiero. A Margareth non sfuggì l’improvviso pallore del suo volto mentre si portava le mani al capo in un gesto di puro sconforto e quella vista le fece stringere il cuore. Non era certo difficile intuire la causa di quel malessere, a cui purtroppo non era in grado di trovare una soluzione. La Prefetto si sentiva catapultata in una vicenda più grande di lei e cercava di destreggiarsi tra il senso di colpa per non aver minimamente sospettato il peso che la sua migliore amica si portava dentro da quasi un anno e il desiderio di aiutarla, proteggerla e riscattarla, che però faceva a pugni con la consapevolezza di dover agire con discrezione e rispettare i sentimenti della compagna. Fosse stato per lei, avrebbe preso il primo treno e si sarebbe recata a Ottery anche subito, ma il suo lato più razionale le suggeriva di non fare niente di avventato e di aspettare di aver elaborato un piano efficace. Sapeva inoltre che per la Serpeverde era già stato fin troppo impegnativo decidere di aprirsi e condividere con lei quel fardello faticosamente celato al resto del mondo, chiederle anche di affrontare il cugino era davvero troppo per un solo pomeriggio.
    A riprova di ciò, arrivò la risposta della verde-argento. Di solito era lei quella impulsiva e pronta a passare al contrattacco, ma in quel momento era perfettamente d’accordo con la Corvonero sul fatto di attendere il momento giusto e di non prendere decisioni affrettate.
    Meggie cercò quindi di dominarsi e tornare a rivestirsi della calma riflessiva che la caratterizzava, fornendo però al contempo all’amica la solidità di cui aveva bisogno. Voleva darle l’impressione di esserci stando però al suo posto, senza invadere uno spazio fin troppo personale o forzarla a fare qualcosa per cui non si sentiva pronta, facendole però capire che restare zitta e continuare a subire le molestie di quel vigliacco non era l'unica opzione disponibile.
    In quel momento non furono necessarie altre parole: bastò un solo sguardo affinché le due comunicassero e si capissero al volo, una frazione di secondo in cui gli occhi color caramello dell’una incontrarono quelli verde prato dell’altra. Determinazione e coraggio passarono così dall’una all’altra e, a quel punto, scattò qualcosa, come un interruttore che fa ripartire tutto di colpo dopo un blackout. L’espressione di Summer divenne nuovamente tenace e, in quell’esatto istante, Margareth iniziò seriamente a pensare che insieme ce l’avrebbero fatta.
    “Sai cosa ti dico? Alla fine sì, potrai farlo, e io sarò al tuo fianco a godermi la scena” ghignò con un lampo di determinazione negli occhi. Non era da lei fare gestacci o essere maleducata e non avrebbe certo iniziato per colpa di quel farabutto, ma fremeva dalla voglia di vedere la sua immagine angelica sbriciolarsi davanti allo sguardo disgustato del signor Sean mentre John transitava sconfitto davanti alle due ragazzine con il divieto assoluto di mettere più piede nella villa. Forse era una scena un po’ troppo pretenziosa, anche perché non sarebbe stato affatto semplice far cambiare opinione al signor Sawyer-Butler, tuttavia la bronzo-blu era portata a credere che, con tantissimo impegno, pazienza e dedizione si potessero ottenere anche i risultati più inaspettati. I Serpeverde erano determinati per natura e, con l’arguzia e la solerzia dei Corvonero, avrebbero formato una squadra perfetta. Naturalmente non era detto che le cose andassero proprio come sperava, ma non si sarebbe arresa senza nemmeno provarci.
    Proprio come aveva immaginato, far leva sull’orgoglio dell’amica si rivelò una carta vincente: al solo pensiero di essere costretta a cedere la fabbrica al cugino la ragazzina si rianimò all’improvviso, tornando ad assumere quell’aria fiera e combattiva che così spesso Meggie le aveva visto sul volto.
    La Corvetta le sorrise, compiaciuta. Erano ancora ben lontane dalla soluzione tuttavia, rispetto al punto di partenza, avevano già fatto enormi passi in avanti e il solo fatto che Summer avesse abbandonato quell’atteggiamento remissivo in favore della voglia di riscattarsi era già una bella conquista, mirata a far perdere terreno a John e alla morsa di paura all’interno della quale l’aveva imprigionata.
    La successiva affermazione dell’amica le lasciò intendere che quella conversazione era servita a qualcosa e che il suo cuore si era alleggerito almeno un po’. La verde-argento, infatti, si dichiarò affamata, il che la fece sorridere: il senso di colpa e di disgusto suscitati da quel terribile ricordo si erano finalmente affievoliti e le avevano fatto ritrovare il suo proverbiale appetito.
    La Corvonero stava quindi per accettare con gioia il suo invito, quando all’improvviso le piombò addosso la consapevolezza che la questione che l’aveva spinta a dare appuntamento alla migliore amica era tutt’altro che risolta. Adesso si sentiva più serena, ma la dichiarazione di Eddy costituiva ancora un grosso ostacolo e non era ancora minimamente preparata a rivederlo.
    Fortunatamente Summer comprese al volo i suoi pensieri e si affrettò a rassicurarla.
    “No dai, poveretto… e poi mi sa che ci ho già pensato io a schiantarlo” commentò con una punta di amarezza, riferendosi ovviamente al momento in cui gli aveva detto di non ricambiare i suoi sentimenti. Era però perfettamente consapevole di non poterlo evitare in eterno e, se proprio avesse dovuto incontrarlo, avrebbe preferito farlo in compagnia della migliore amica. Inoltre non voleva vanificare gli sforzi di Summer immergendosi nuovamente in quel baratro di malinconia, per questo si affrettò a sostituire quell’espressione mesta con una più serena.
    “Sì, andiamo” confermò quindi, sfiorando per un istante il suo ciondolo e agganciando infine la mano alla tracolla della borsa, come a volerne trarre la sicurezza necessaria. Era quasi assurdo pensare che non si sarebbe fatta alcuno scrupolo ad affrontare John Sawyer-Bulter e poi tremava alla sola idea di incontrare il suo migliore amico in Sala Grande, ma si sa che, quando si è coinvolti in prima persona, diventa subito tutto più complicato.
    La voce della verde-argento la distolse da queste riflessioni, riportandola alla realtà.
    “Ehm… a dire il vero preferisco immaginarmelo completamente vestito” si affrettò a precisare, rifiutandosi anche solo di avvicinarsi all’idea di vederlo in mutande. Sapeva che si trattava di un modo di dire e che Summer stava solo cercando di aiutarla, ma non era il caso di aggiungere altre possibili fonti di imbarazzo, anche perché erano ancora lontani i tempi in cui non avrebbe disdegnato la vista di un ragazzo a torso nudo.
    “Facciamo che, se lo incontro, lo saluto e tiro dritto, ok?” propose quindi, pensando che potesse essere un buon compromesso. Nonostante l’accaduto, continuava infatti a volergli bene e credeva che l’amico meritasse di essere trattato con educazione e rispetto e non come un criminale da cui tenersi alla larga, anche se le serviva ancora un po’ di tempo per metabolizzare tutto quanto.
    Parlare con Summer, tuttavia, le era stato di grande aiuto e conforto e la sua presenza la fece sentire meno sola. Era rincuorante sapere di poter contare su di lei ed era sicura che, con il tempo, si sarebbero aiutate a vicenda a risolvere i rispettivi problemi.
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    a prospettiva di alzare il medio a John e di togliersi uno dei tanti sassolini nelle scarpe che contribuivano a rendere il suo sentiero faticoso e irto di ostacoli l’allettava parecchio. Da mesi Summer trascorreva i suoi pomeriggi domandandosi se mai avrebbe trovato il coraggio di fare un passo in avanti per riscattare la sua immagine e per far capire a John che non era la poco di buono che lui amava dipingere. Quel riscatto avrebbe dovuto, almeno nei suoi pensieri, configurarsi come una sorta di biglietto di sola andata per la gloria eterna, ma anche e soprattutto per il Belgio. Ogni volta che si profilava all’orizzonte la possibilità di mandare a quel paese John, i suoi sensi di colpa e la tenacia con cui suo padre non la spalleggiava mai nemmeno per errore non facevano altro che farle fare un passo all’indietro, tornando nell’oblio. Si comportava in quel frangente esattamente come aveva fatto sua mamma: silenziosa, remissiva e incapace di difendersi o di prendere una posizione a suo vantaggio. Dopo la sua morte, Summer aveva riflettuto a lungo sul comportamento che la donna aveva assunto nei confronti del marito e ne aveva tratto alcune conclusioni; in particolare s’era ripromessa di non compiere mai gli stessi errori compiuti da Kathleen, ma quand’era stato il momento di agire l’impresa s’era rivelata più ardua del previsto. C’erano state occasioni in cui il fiato le era morto in gola, la lingua s’era irrimediabilmente impastata e il cervello l’aveva privata di quelle poche e rare facoltà intellettive di cui era dotata. Insomma, era consapevole d’essersi comportata come una vigliacca incapace, così come tutti avevano da cinque anni a quella parte etichettato sua madre, scatenando l’ira funesta della figlia.
    “Credo che sarà uno dei medi più soddisfacenti della mia vita” si beò, sforzandosi di trarre forza da quel pensiero. L’espressione che John avrebbe fatto valeva più di mille galeoni: Summer se la pregustava, sognando di vederlo diventare di tutti i colori mentre il suo medio si alzava, con un’unghia scintillante e glitterata a illuminare quel momento.
    La conversazione proseguì placida, con impennate di pathos e momenti in cui Margareth mostrava un lato combattivo che Summer non aveva idea potesse albergare in lei; c’erano attimi in cui si era ritrovata a chiedersi dove fosse stata quell’indole così bellicosa negli anni addietro. Tuttavia, quando la chiacchierata tornò a imperniarsi su Edward Sullivan, Summer non poté che ridacchiare sotto i baffi, con aria furba.
    “Tranquilla, io lo schianterei fisicamente, non moralmente” ci tenne a precisare con una punta di orgoglio.
    Meggie accettò la proposta, nonostante la possibilità di incontrare Eddy; così le due decisero di incamminarsi alla volta della Sala Grande. Summer aveva ritrovato parte della sua indole consueta e si faceva scudo di sé stessa spinta dall’obiettivo di difendere Meggie da eventuali incursioni da parte di Sullivan. Aveva deciso di dimenticarsi di John e d quella conversazione e di tornare a relegarla in un angolo nascosto e oscuro della sua mente per far finta di non aver mai vissuto quei momenti. Aveva bisogno di spensieratezza ed era sicura che al tavolo della Sala Grande, con la sua migliore amica e una distesa infinita di cibo, l’avrebbe trovata.
    “Oh, beh, se per quello pure io. Non credo abbia questo gran fisico, Sullivan” precisò Summer, ancora una volta rivendicando il fatto che una persona interessata a Meggie, per quanto quest’ultima poco ben disposta nei suoi confronti, non avrebbe mai fatto i conti con un suo eventuale interesse.
    “Ci sto. Io, invece, continuo a ignorarlo, come faccio sempre. Credo sia un buon compromesso” concluse Summer, con leggerezza. Era riuscita a cacciare indietro quei terribili ricordi legati a John e a quel terribile martedì pomeriggio estivo. Tutto sommato, doveva un favore a Sullivan. Parlare di lui l’aveva aiutata a cancellare, ancora una volta, i momenti nefasti e a concentrarsi su altro.
    æ code © non copiare, triste sventurato
     
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