Irene Adler-Darkola vita imita l'arte più di quanto l'arte non imiti la vita Le ronde notturne stavano diventando noiose, appena il profumo della novità si era dissolto nell'aria e aveva lasciato puzzare la cruda realtà, si era fatta sentire anche la noia della routine. Nessuno che provava a fare qualche cavolata, nessuno che si aggirava per i corridoi, neanche un sonnambulo, neanche un fantasma: Irene non incontrava un anima, viva o morta che fosse, da almeno cinque o sei ronde. Ecco perché quella notte si aggirava per i corridoi del castello tra uno sbadiglio e l'altro, senza riuscire a tenere davvero in allerta i suoi sensi. Un piede di fronte all'altro, camminava con una lentezza inesorabile e i corridoi si facevano sempre assurdamente più lunghi, passo dopo passo, per inerzia riusciva a tenere il braccio steso di fronte a se, con la bacchetta illuminata da una punta di luce che a sua volta rischiarava l'ambiente circostante, creando inquietanti e mutevole ombre in ogni anfratto della roccia e dei marmi che componevano le mura di Hogwarts. La divisa scolastica perfettamente in ordine rivestiva il corpicino minuto, sul bavero brillava la spilla da prefetto ogni volta che un raggio di luce ci andava a sbattere contro, Irene era circondata dalla solita nuvola di profumo alla vaniglia che si allargava insieme al mantello e alla lunga chioma biondissima, di impeccabili boccoli vaporosi e morbidi. Si fermò per un attimo ad osservare il suo riflesso distorto nell'elmo di un'armatura, i suoi occhi grigi erano spenti e stanchi e il suo viso appariva forse un po' sciupato anche se gli altri, l'avrebbero comunque vista fin troppo bella. Irene non si sentiva più bella però, da quando aveva scoperto di essere una mezza Veela, si sentiva soltanto più lontana dal suo corpo, estranea quasi, come se stesse svolazzando a svariati metri di distanza da terreno, legata alla sua carne soltanto da un esile e fragile spago. Niente in lei era vero, era giunta a questa conclusione all'ennesima bugia che suo padre aveva tentato di rifilarle prima di ammettere che sì, sua madre era in parte Veela... soltanto una cosa, era certa che fosse sinceramente reale: che la sua vita era composta da incertezze, era nata nelle bugie, era cresciuta in mezzo ad altrettante bugie e per quanto si fosse sforzata di comprendere e scoprire la verità, questa era ancora troppo lontana da lei e dalle sue attualità possibilità. Era nel bel mezzo di un tour mentale di autocommiserazione quando sentì delle voci che provenivano dal corridoio sulla destra, un po' d'azione finalmente. Irene era una ragazzina con i piedi per terra, ma se c'era qualcosa che non sopportava era la noia, i momenti vuoti dove restava da sola con la propria testa, quindi senza pensarci due volte cominciò a correre nella direzione da cui pensava provenissero le voci. « Non lo farà invece » esordì Irene, spuntando alle spalle dei due Serpeverde più grandi, illuminò i loro visi con la bacchetta quando questi si girarono senza preoccuparsi di accecarli e infine diede luce anche ad un volto che conosceva quasi bene e di cui aveva riconosciuto la voce. Sperava non fosse vero, però. Corrugò le sopracciglia guardando il primino e abbassando ora la bacchetta in modo che anche lui potesse guardare lei « Nathan » pronunciò il suo nome come se fosse una sorta di saluto, ma poi si rivolse immediatamente dopo a tutti e tre. Fece un sospiro tirato e assunse un cipiglio severo, deluso in fondo « Perché volete per forza farci perdere punti? » chiese retorica « Siamo già dietro ai Tassorosso, volete davvero che ci sorpassino anche i Corvonero? » guardò tutti uno per uno, soffermandosi però sui due più grandi « Tornate nei vostri dormitori, sarete in punizione con me per una settimana ma se vi ritrovo in giro di notte dovrò togliervi dei punti, chiaro? » sembrava stesse parlando soltanto unicamente con i ragazzi del terzo anno lasciando fuori Nathan, ma fu in quel momento che Irene avanzò di qualche passo avvicinandosi fin troppo al suo tutorato. Con la bacchetta puntata sempre verso il basso, Irene fece cenno con la mano libera ai due coetanei di andare via e poi si concentrò su quel ragazzo. Voleva capire. Lo osservò dritto negli occhi per qualche secondo e senza dire mezza parola attese come se dovesse essere lui a parlare, ma poi si decise « Tu resti qui con me » fece una breve pausa « E mi spieghi che diavolo ti salta in testa: ti fai mandare dal preside da Collins, fai le scampagnate notturne... Vuoi un premio per il più grande stupido dell'anno? » chiese in un sibilo quasi unico, con gli occhi ridotti a due fessure e le labbra strette e contratte in un'espressione all'apparenza calma ma lievemente accigliata: non era furiosa, era confusa. « parlato » - pensato - narrato
Edited by himë - 9/12/2015, 21:57 |